30 tra i maggiori esperti mondiali dei disturbi correlati al glutine hanno tracciato le nuove linee guida per la diagnosi della Sensibilità al Glutine Non Celiaca (SGNC).
Non è facile, infatti, distinguere questa sindrome con la Celiachia. La prima è caratterizzata essenzialmente da sintomi multi-sistemici intestinali ed extra-intestinali, collegati alla reazione del nostro organismo ai cibi contenenti glutine. Secondo l’ultima revisione degli studi, dal punto di vista epidemiologico, si stima che sia più frequente della celiachia (1% della popolazione) e che colpisca soprattutto le donne, rispetto agli uomini.
In generale, l’insorgenza dei sintomi appare dopo poche ore, ma possono anche passare dei giorni, dall’assunzione di glutine. Per quanto riguarda la terapia, la risposta degli esperti è che questa sia rappresentata da una dieta senza glutine, esattamente come nel caso della celiachia. Quelle su cui ancora non sia hanno certezze precise sono, invece, le modalità con cui la dieta dovrebbe essere seguita dai pazienti. Uno degli elementi che è apparso chiaro fin da subito, infatti, è che la SGNC può presentarsi in molti casi come una sindrome transitoria, che non rende necessario un regime di dieta senza glutine particolarmente rigido e sicuramente non a vita, come è invece necessario per la celiachia. In altre parole, mentre la celiachia accompagnerà l’intera esistenza del paziente, la Sensibilità al Glutine non Celiaca potrebbe presentarsi come un disturbo non necessariamente permanente.
Ma come agire a livello di indagini cliniche per capire se il disturbo è causato da vera e propria celiachia o da Sensibilità al Glutine Non Celiaca?
La recente pubblicazione sulla rivista scientifica Nutrients, dal titolo “Diagnosis of Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS): The Salerno Experts’ Criteria”, in assenza di biomarker, rappresenta la prima raccomandazione, condivisa a livello internazionale, di protocollo diagnostico per la conferma della patologia.
“La diagnosi della Sensibilità al Glutine Non Celiaca – spiega il Professor Carlo Catassi, Università Politecnica delle Marche e coordinatore del Comitato Scientifico del Dr. Schär Institute – non dovrebbe essere solo una diagnosi di esclusione. Esiste nel mondo scientifico e nella classe medica in generale, la precisa necessità di definire procedure standardizzate e comparabili, che possano guidare gli operatori della salute alla conferma dei casi di sospetta SGNC. Questo perché è sempre necessario avere una diagnosi chiara e certa, prima di avviare il paziente alla dieta senza glutine. Per stabilire le linee guida per questo protocollo di indagini, oltre 30 esperti si sono riuniti lo scorso 6 e 7 di ottobre del 2014 a Salerno, sotto l’egida del Dr. Schär Institute. Il risultato del dibattito è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nutrients con il titolo: “Diagnosis of Non-Celiac Gluten Sensitivity (NCGS): The Salerno Experts’ Criteria”.
Le fasi per arrivare alla diagnosi differenziale
L’analisi e la comparazione di oltre 26 studi scientifici, che costituiscono le referenze del paper, hanno portato gli esperti a scrivere un protocollo diagnostico composto da 2 fasi, oltre alla semplice esclusione della celiachia e dell’allergia al grano tramite le analisi sierologiche:
1) Il riconoscimento certo, di un paziente davvero “responsivo” alla dieta senza glutine.
2) La misurazione degli effetti della reintroduzione del glutine dopo un periodo di dieta gluten free.
“Superata la necessaria esclusione di celiachia ed allergia al grano, si tratta quindi di avviare il paziente con sospetta Sensibilità al Glutine Non Celiaca verso un percorso in grado di testare le sue risposte e confermare la diagnosi – spiega il Dott. Luca Elli, responsabile del Centro per la Prevenzione e la Diagnosi della Malattia Celiachia del Policlinico di Milano e membro del Dr. Schär Institute – Per prima cosa, abbiamo quindi chiarito come per misurare i sintomi fosse necessaria una scala di valori condivisa, e l’abbiamo identificata in una versione leggermente modificata della “Gastrointestinal Symptom Rating Scale”, uno strumento costruito sulla base dell’esperienza clinica. Quindi, settata la base di partenza, abbiamo potuto porre le basi per chiarire chi sono i pazienti che, veramente, rispondono in modo positivo alla dieta senza glutine, sottoponendoli attraverso un tale regime controllato per 6 settimane. Se al termine del percorso il paziente dimostra una diminuzione dei suoi sintomi con un punteggio, pari o maggiore al 30% dei valori dichiarati in partenza, questo per noi è un paziente che ha altissime probabilità di essere affetto da sensibilità al glutine non celiaca.”
L’ultimo step: evitare l’effetto placebo
Per fugare definitivamente i dubbi della comunità scientifica circa il reale peso dell’effetto placebo nel risolvere i disturbi dei pazienti con sensibilità al glutine, gli esperti hanno impostato un protocollo diagnostico tra i più rigorosi: il Double-Blind Placebo-Controlled Challenge con crossover. Questo modello consiste nel sottoporre i pazienti che hanno superato il primo step ad un periodo di somministrazione giornaliera per una settimana di una capsula che può contenere alternativamente 8 g di glutine oppure una sostanza inerte (placebo). Nessuno, né i medici, né i pazienti, sanno quali capsule stanno somministrando e assumendo, da ciò la definizione di “doppio cieco”. Alla fine del periodo-test, l’apertura dei codici e dei risultati darà la più che ragionevole certezza scientifica della diagnosi di sensibilità al glutine non celiaca.