La protesi al pene dopo il tumore è una conquista che riguarda soltanto un paziente su dieci. Si tratta di un intervento che il sistema sanitario nazionale rimborsa interamente, ma sono pochi gli ospedali nei quali è possibile usufruirne, per limiti legati al budget: parliamo, in questo caso, di strutture pubbliche. Nel 90% dei casi, avendo l’ovvia esigenza di ripristinare una normale attività sessuale, il paziente si rivolge a strutture private. Qual è la prossima cosa da fare? Inserire l’operazione tra Lea, livelli essenziali di assistenza. Al momento nelle strutture pubbliche si crea la necessità di selezionare i pazienti e la precedenza viene data, appunto, a chi ha subito un intervento chirurgico a causa di un tumore. Alcuni riescono a farsi operare da strutture pubbliche chiedendo assistenza in regioni diverse da quelle di provenienza.
Ma come sono fatte le protesi di ultima generazione? Semirigide, gonfiabili, garantiscono un’erezione il più possibile somigliante a quella fisiologica. I costi, come detto, sono alti.
Lo afferma l’Associazione urologi italiani, che oggi a Bologna conclude il ventiduesimo congresso nazionale. In questa sede si è discusso in merito al deficit erettile, posto che l’impotenza è una problematica tale da colpire 3 milioni di italiani, il cui 10 % soltanto viene sottoposto a terapia. Questo disturbo può essere un campanello d’allarme, legato a patologie più gravi: parliamo di ipertensione, infarto, diabete o ipercolesterolemia.