Joe Petrosino sarebbe stato un personaggio destinato all’oblìo, se non fosse che il suo sacrificio riuscì a gettare una nuova luce sulla nascente mafia italo-americana; fenomeno molto sottovalutato negli anni a cavallo tra ‘800 e ‘900. Joe, Giuseppe, Petrosino era italiano, di Padula (Salerno), ma nel 1873 emigrò con tutta la famiglia negli Stati Uniti, a New York, nel celebre sobborgo di Little Italy.
Dopo un’infanzia passata tra piccoli lavoretti come il lustrascarpe e lo strillone, riuscì a diventare netturbino e infine caposquadra. In breve tempo, diventò una specie di informatore della polizia di New York e infine addirittura poliziotto effettivo. La sua sede di lavoro fu proprio Little Italy, dove in breve tempo diventò famoso per i suoi modi spicci, che impiegava molto spesso per dirimere in modo molto… “fisico” certe questioni che potevano sorgere con i suoi connazionali. In questo quartiere malfamato, fetido e malsano, cominciavano già a crescere i germi di quella organizzazione criminale mafiosa che aveva il nome di Black Hand (Mano Nera), che continava a tenere contatti molto forti con la Sicilia, dalla quale provenivano molti mafiosi italiani. Come si vede in molti film di ambientazione “primi ‘900” quella del poliziotto era quasi una vocazione per molti italiani e irlandesi naturalizzati americani. Questa cosa non era casuale, ma data dal fatto che la malavita dell’epoca era solita comunicare nella lingua della nazione d’origine; quindi, avere poliziotti come Joe Petrosino consentiva non solo di velocizzare le indagini, ma anche di capire usi e profili psicologici di certi malviventi. Ben presto, Petrosino diventò sergente e fu incaricato dall’allora Assessore cittadino alla Polizia Theodore Roosvelt (futuro Presidente degli Stati Uniti d’America) di svolgere indagini proprio sulla Mano Nera. Indagini che portò avanti rivelando una grinta e una intelligenza non comuni, tanto da meritarsi in breve tempo i galloni di tenente. Molto famose furono i successi relativi a casi eclatanti, come il ricatto subìto dal tenore Caruso, durante una sua tournée a New York, e il “delitto del barile”, ancora citato nelle scuole di polizia americane come esempio di perfetta conduzione delle indagini. Fu proprio seguendo una pista che avrebbe dovuto portarlo a scoprire le ramificazione siciliane della Mano Nera, che Petrosino arrivò a Palermo da solo, contando solo sul proprio coraggio e la propria determinazione. Qui doveva incontrare un informatore, ma era una trappola. In Piazza Marina, nel cuore del Centro Storico di Palermo, incontrò invece la morte: un sicario, quasi sicuramente inviato dal boss Vito Cascio Ferro di Bisacquino, lo freddò con tre colpi di pistola. La vita di Joe Petrosino è stata ricostruita e ripercorsa in tantissimi saggi, tra cui molto interessante e di piacevole lettura è quella scritta da Arrigo Petacco nel 1972. Molto emozionante e trascritto con grande rigore storico fu anche lo sceneggiato in cinque puntate realizzato dalla Rai, sempre nel 1972, con una perfetta interpretazione di un grandissimo Adolfo Celi. Oggi, in Piazza Marina, nel punto esatto dove Joe Petrosino fu ucciso, si può ancora vedere sul cordolo una croce e un nome: “Petrosino”. Accadde il 12 marzo 1909.
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