Arriva dalla Cina l’Sos di uno schiavo contemporaneo
Stephanie Wilson una bionda australiana che vive ad Harlem, uscita dal grande magazzino del lusso Saks Fifth Avenue (qui a Manhattan), cerca la ricevuta dell’acquisto ma nella shopper trova un messaggio.
Scritto di pugno su foglio a righe il messaggio inizia con” Aiuto, aiuto, aiuto” e continua…
La disperata richiesta è nascosta nella shopper di Saks e pare autentica: descrivere le condizioni di lavoro da lager in cui il mittente della missiva descrive la sua prigionia in Cina.“Siamo trattati in modo disumano, lavoriamo 13/14/15 ore al giorno tutti i giorni, dobbiamo produrre in batteria in questa fabbrica prigione” e conclude con un ”mi scuso per il disturbo”.
Allegati al SOS disperato una fotocopia del passaporto del mittente con tanto di immagine del volto di un uomo di colore. Intelligentemente la signora Wilson non perde un istante: porta il messaggio alla Laogai Research Foundation a Washington DC, organismo che si occupa di combattere gli abusi subiti dai prigionieri in Cina.
La fondazione è stata creata da Harry Wo, asiatico che in prima persona ha scontato 19 anni come prigioniero, condannato al lavoro forzato, in fabbriche di produzione per abbigliamento e accessori, proprio in Cina. Il caso diventa internazionale, si cerca il mittente coinvolgendo anche l’Immigration statunitense senza successo, fino a quando il portale di giornalismo locale “DNA info” avvia una strenua ricerca e, finalmente, il mittente viene rintracciato.
Si tratta di Mr. Njong, un 34enne originario del Cameroon. Si trovava in Cina, a Shenzhne, quando nel maggio 2011 è stato arrestato per una presunta frode. Dichiaratosi immediatamente innocente, Njong è stato comunque detenuto per 10 mesi in attesa di giudizio mentre si cercava un avvocato d’ufficio. Condannato senza capire nulla del processo e imprigionato nella provincia di Shandong, Njong è stato recluso con nessuna possibilità di comunicazione verso l’esterno. La sua famiglia ha pensato fosse morto.
Il campo di prigionia-lavoro era una fabbrica in cui dalle 6 del mattino alle 10 di sera esisteva solo la catena di produzione, sette giorni su sette. La speranza di Njong, nello scrivere il messaggio per poi nasconderlo all’interno della borsa, era che qualcuno avvisasse la sua famiglia, prima ancora di immaginare la possibilità di essere liberato. Recentemente il prigioniero, innocente, è stato scarcerato e ha potuto riunirsi alla famiglia per poi ricominciare a esercitare la sua professione: insegnare inglese, a Dubai.
Stephanie Wilson non può dimenticare quando per la prima volta, sulla via dello shopping newyorkese, s’è trovata quel messaggio in mano e come in un film dell’orrore le tornano i flashback di quella lettera disperata.
Il caso di Njong ha procurato acide critiche alle leggi di importazione e manifattura dei prodotti che arrivano negli Stati Uniti, oltre che una feroce polemica verso Saks Fifth Avenue, il grande magazzino accusato di non controllare i suoi fornitori sulla base di quelle leggi che dovrebbero evitare l’uso di manodopera sfruttata ed invece fanno acqua da tutte le parti.
Immagine copertina di Roberto Vivancos https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-dell-orizzonte-dell-empire-state-building-a-new-york-city-2190283/