Batteri utili, sanno fare un po’ di tutto. Anche i restauratori, ma solo bio
Sanno produrre formaggi e yogurt, depurano le acque e si sono ormai ritagliati anche il posto di aiutanti al fianco dei restauratori: sono i batteri utili all’uomo e, da qualche tempo, anche alle opere d’arte. Si parla di “biorestauro” ed è una delle molteplici applicazioni della biotecnologia.
Se un tempo ci si affidava a metodi che potevano danneggiare l’opera d’arte stessa o essere un rischio per la salute degli operatori, oggi affreschi e statue che hanno subìto gli effetti del tempo possono, in molti casi, vivere una nuova vita grazie all’azione di microrganismi. Non tutti i batteri presenti in natura sono infatti in grado di deteriorare le superfici artistiche ma per alcuni – rigorosamente non patogeni – si è scoperto un utilizzo vantaggioso.
I batteri utili amano l’arte
Come è possibile? Tutto si basa sul poter sfruttare a favore dell’opera d’arte il metabolismo selettivo di alcuni batteri utili, cioè la capacità di ottenere energia solo da alcune molecole che si trovano sulla superficie colonizzata, lasciandola intatta. Spesso sugli affreschi si trovano patine dovute all’invecchiamento dei prodotti applicati in passato per proteggere l’opera, come le colle. Il problema è che col passare del tempo queste tendono a cambiare colore, scurendosi, alterando così l’aspetto del dipinto. Esistono però batteri utili che sono in grado di “mangiare” queste patine ridando l’aspetto originale a quanto c’era sotto, a volte anche con migliori risultati rispetto all’applicazione di prodotti tradizionali. Si parla in questo caso di “biopulitura”, una possibilità del biorestauro su cui in Italia la ricerca lavora attivamente.
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Il laboratorio di Microbiologia ambientale e biotecnologie microbiche dell’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ha sviluppato un brevetto che consente di ripulire le opere d’arte da depositi organici e non organici che le ricoprono. Per fare questo lavoro, si ricorre a ceppi batterici che degradano solo specifiche molecole. Nel 2012, per esempio, i ricercatori dell’ENEA ne hanno utilizzati alcuni per rimuovere le patine che coprivano i dipinti murali delle logge della Casina Farnese nel sito archeologico del Colle Palatino a Roma.
Risalenti al Rinascimento, questi dipinti narrano la leggenda di Ercole e Caco, il mostro sputafuoco mitologico sconfitto dall’eroe in una delle sue dodici fatiche. “Questo brevetto e le attività che abbiamo realizzato, sono tappe di un percorso scientifico che dimostra come le conoscenze prodotte dalla ricerca, interessando diversi settori di applicazione, possono portare allo sviluppo di tecniche a volte inattese”, spiega la ricercatrice Anna Rosa Sprocati, responsabile dell’attività. “I ceppi batterici impiegati che sono parte integrante del nostro brevetto, e che provengono da miniere site in Italia e in Polonia o da tombe etrusche, erano stati selezionatiin origine per le loro caratteristiche metaboliche che li rendevano adatti ad altre finalità, come l’impiego nel risanamento di ambienti di miniera”.
Batteri utili anche contro i depositi di smog
Destino simile per un’altra categoria di batteri utili arrivati in soccorso dei restauratori nella rimozione delle cosiddette ‘croste nere’, vale a dire i depositi di inquinanti atmosferici che anneriscono le superfici di edifici e statue in pietra.
Il trattamento classico di pulitura si basa sull’applicazione di sostanze chimiche ma già dalla fine degli anni ’80 si è scoperta la possibilità di ottenere effetti migliori con batteri solforiduttori, in grado cioè ottenere energia da solfati e altri composti dello zolfo, già adottati per il trattamento delle acque di scolo per rimuovere solfato e metalli tossici. Batteri utili come Desulfovibrio desulfuricans e vulgaris rimuovono la patina di anidride solforosa – un inquinante atmosferico – lasciando intatta la superficie marmorea sottostante. Una tecnica innovativa che ha avuto successo anche nel ripulire un ornamento del Duomo di Milano.