Lo scaffale di agosto 2022 si presente a voi con un’immagine di frutti di bosco, da sempre delizia del palato.
Nel mese propizio per la loro raccolta, tra una passeggiata e una buona lettura, ci piace ricordarvi che miti e leggende raccontano dei frutti di bosco, come quella di Plinio il Vecchio ad esempio, secondo il quale il monte Ida era ricchissimo di lamponi. Un giorno la ninfa Ida trovò Zeus in lacrime e, per calmarlo, pensò di offrirgli dei lamponi, ma nel coglierli si punse con le spine della pianta e il sangue scaturito tinse di rosso i frutti, fino ad allora bianchi. Il suo nome scientifico, “Rubus idaeus” ovvero “rovo del Monte Ida”, nasce proprio da questo luogo tra il reale ed il mitologico che si trova sull’isola di Creta. Nei boschi dell’isola, secondo un’altra leggenda, la dea Afrodite passeggiava con un cesto intenta a raccogliere questi frutti color rubino. Un’altra leggenda racconta che Marte, geloso dell’amore di Venere per il bellissimo Adone, si trasformò in cinghiale e lo trafisse con le sue zanne durante una battuta di caccia. Venere pianse l’amato e nel luogo dove caddero le sue lacrime spuntarono bellissime piantine di fragole di bosco, dalla forma di cuore rosso. E infine, non scordiamoci che secondo le leggende del Nord il mirtillo protegge anche dalla malasorte: che ci si creda o no, lasciamoci coccolare da queste delizie estive!
Federica Bosco, Dopo Narciso la primavera, Vallardi
Tutti ne hanno sentito parlare, molti l’hanno incontrato, chi ci è passato non può dimenticare. La dinamica creata dal narcisista maligno prende il cervello delle sue vittime in ostaggio, ne calpesta l’identità e la fiducia in se stesse. L’amore diventa ossessione, annullamento, demolizione del sé. Federica Bosco è passata attraverso tutto questo: come lei, ogni giorno, tantissime donne (e uomini) affrontano l’incubo di una relazione tossica, perché il narcisismo patologico è un disturbo della personalità sempre più diffuso. L’autrice ha trovato il coraggio di non arrendersi e, con tenacia e pazienza ha ricomposto i pezzi della sua vita, della sua anima, in un ordine nuovo. Per rinascere migliore, più forte, più solida, più vera. Soprattutto ha deciso di usare la sua esperienza e la sua penna e di metterle al servizio di chiunque ne abbia bisogno, per far sì che sempre meno persone cadano nella trappola dei narcisisti.
Matias Faldbakken, Il cameriere, Mondadori
In un ristorante di lusso di Oslo, The Hills, il protagonista (un nevrotico con “una faccia da poker”) svolge il suo lavoro di cameriere. Di lui sappiamo solo che ha un’aria nervosa, dei baffi ispidi e che non gli piacciono le sorprese o i cambiamenti. È un uomo di rigide routine che presta il suo servizio in modo poco appariscente. Ma questo non gli impedisce di osservare e descrivere con attenzione tutto quello che avviene nella sala del ristorante: il comportamento dei clienti abituali, dei suoi colleghi, il volto di Maître. Il ristorante è un baluardo della tradizione dove i clienti hanno a disposizione dei giornali da leggere, e dove gli odiati cellulari e social network sono visti con disprezzo come forme di “disgustosa contemporaneità”. Poi, un giorno, fa la sua comparsa una giovane donna bella e dall’aspetto curato, che sconvolge il delicato equilibrio del ristorante e tutto ciò che è arrivato a rappresentare, gettando i primi semi del caos in questo universo fin troppo ordinato. Il cameriere si ritrova improvvisamente a commettere piccoli errori, a macchiarsi di piccole disattenzioni. L’intera facciata comincia a sgretolarsi e le certezze si dissolvono: a poco a poco si crea un’atmosfera oscuramente minacciosa di accenni e vaghi sospetti. L’impressione sempre più forte è che stia per succedere qualcosa: una profanazione, un incidente, forse un’aggressione, uno scoppio di violenza Il microcosmo del ristorante fatto di tradizione e stabilità è una potente metafora di una società ammuffita, di un universo elitario che si aggrappa a vecchi valori in decomposizione.
Paolo Mazzarello, Il mulino di Leibniz, Neri Pozza
Il protagonista, il colpevole di questo giallo efferato e cupo, è indicibile. Non puoi dargli un nome e non puoi svelarlo. L’autore racconta una storia di omicidi, compiuti da qualcuno, che sembrano obbedire a una logica, a un disegno, come nella migliore tradizione giallistica, che seguono un filo, unico appiglio per degli investigatori sgomenti e turbati. Peccato che questo filo sia governato dal caos, dall’imponderabile, da una mente superiore che si ha persino paura di scoprire, perché il fatto stesso che possa esistere cambia il nostro modo di guardare il mondo, e mette in profonda crisi la nostra idea positiva della scienza e della tecnologia. È una terra di nessuno quella in cui si muovono i personaggi di questo libro, che comincia con un delitto in un mulino negli Stati Uniti e con un rapimento, e continua a crescere come fosse una foresta, un bosco narrativo che non ha disegnato nessuno, dove non ci sono sentieri. Mazzarello ci porta in un mondo diverso da quello frequentato dai giallisti tradizionali. Non si tratta soltanto di commissari e di pazzi maniaci che mandano mail misteriose, non si tratta di capire cosa accade ma soprattutto perché accade. E in quel perché c’è una vera e propria teologia, c’è il male e il caso, l’orrore e l’indifferenza.
Paola Biribanti, Palme,datteri e risate. Il salone internazionale dell’umorismo di Bordighera (1947 – 1999), Graphe.it
Un brulicare di disegnatori, un incrociarsi di sguardi e destini, uno stringere amicizie e un progressivo allargare lo sguardo sul multiforme mondo dell’umorismo: è il Salone Internazionale dell’Umorismo di Bordighera (1947-1999). Qual è il denominatore comune fra Giovannino Guareschi, Giulio Andreotti, Mordillo, Jacovitti, Peynet, Renzo Arbore, Quino e Maurizio Costanzo? Aver vinto la Palma d’oro al Salone Internazionale dell’Umorismo di Bordighera, ovvero il massimo riconoscimento alla prima – e per molto tempo unica – manifestazione del settore in Italia e nel mondo. Nato all’alba della Liberazione e continuato fino alle soglie del Duemila, il Salone ha attratto umoristi da ogni angolo del pianeta, superando differenze culturali, barriere linguistiche e cortine di ferro. Attingendo al materiale d’archivio e con la complicità di numerosi protagonisti delle varie edizioni, Paola Biribanti ha riacceso i riflettori su una manifestazione unica e irripetibile, che ha aperto una finestra sul mondo quando Internet non c’era e fatto emergere con leggerezza i lati migliori dell’italianità.
Lavinia Monti, La ragazza con l’Europa in tasca, Bookabook
La storia di Ludovica, “generazione Erasmus”, in un viaggio alla ricerca di sé e del proprio posto nel mondo, tra nuovi amori e grandi amicizie. Un percorso di crescita e formazione alla scoperta di sé, delle proprie capacità e dei propri limiti che prende inizio dai primi anni dell’infanzia fino all’età adulta: Ludovica nasce alla fine degli anni settanta in un elegante quartiere romano con un papà professore universitario, affettuoso ma sempre in ritardo e una madre in carriera con una forte impronta catto-socialista che la mattina la spedisce a una scuola popolare di borgata e il pomeriggio la trasporta in un quartiere alto borghese, prima a un corso di catechismo snob e poi da un gruppo di scout vetero-comunisti. Ludovica cresce e le sue peripezie si snodano veloci tra due licei romani, l’Università, i primi intrighi sentimentali, le vacanze, l’Erasmus e gli stage all’estero. Tanti sono i luoghi narrati tra vacanze e viaggi studio e di lavoro, che fanno da sfondo alla narrazione: in dialoghi ed esperienze il Vecchio Continente è sempre presente, compagno fisso delle avventure di Ludovica, che partono e tornano a Roma ma la vedono passare perGrecia, Inghilterra, Francia, Spagna, Norvegia, Austria e Belgio, arricchendo la propria esperienza di tutte le persone incontrate sul suo percorso. La protagonista si ingarbuglia più volte, indecisa tra due amori, ma non si scoraggia e continua a cercare il suo posto nel mondo. Un romanzo di formazione, un ritratto familiare, una storia di amori e di amicizie, una cronaca, ironica e a tratti emozionale, delle difficoltà giovanili di conoscersi e di farsi conoscere.
Christina Riggs, Vedo cose meravigliose. Come la tomba di Tutankhamon ha plasmato cento anni di storia, Bollati Boringhieri
Quando fu scoperta nel 1922 – in un Egitto appena diventato indipendente dall’Impero Britannico – la tomba di Tutankhamon, vecchia di 3300 anni, produsse un’enorme onda d’urto in tutto il mondo. Da un giorno all’altro il nome del «faraone bambino» divenne familiare, dando vita a un’ossessione internazionale che dura ancora oggi. Dalla cultura pop alla politica, dal turismo all’economia della cultura, è impossibile immaginare gli ultimi cento anni senza Tutankhamon. Eppure gran parte della storia del ritrovamento della tomba e delle molte vicende che seguirono rimane sconosciuta. Ma non tutto ciò che riguarda il «Re Tut» luccica: le esposizioni dei suoi tesori negli anni settanta andavano mano nella mano con gli eccessi del capitalismo e la politica della guerra fredda; i suoi resti sono stati sfruttati in nome della scienza e il racconto della scoperta della sua tomba ha escluso gli archeologi egiziani – che pure ne sono stati protagonisti. Christina Riggs intreccia le avvincenti analisi storiche con i racconti delle vite toccate o, come la sua, cambiate per sempre dall’incontro con Tutankhamon. La storia del giovane faraone che ne emerge è nuova e audace, e ha tanto da dirci sul nostro mondo quanto sul suo. Perché l’archeologia, nello stesso modo di molte altre discipline, non è affatto un sapere neutrale: si alimenta invece delle convinzioni e degli interessi della cultura che l’ha prodotta. La storia del rinvenimento e della notorietà della tomba di Tutankhamon riflette gli squilibri di potere fra gli Stati coinvolti e le tante contraddizioni che ne derivano: ipocrisie e infingimenti, cupidigia e ambizione, nazionalismi e velleità neoimperiali. L’ombra scura celata dietro l’ammaliante splendore della maschera del faraone bambino.
Cristina Comencini, Flashback, Feltrinelli
Quattro momenti di assenza, quattro flashback che producono una sensazione straordinaria: “io non esistevo e non avevo il mio nome e la mia storia”. La narratrice, nella quale il lettore non fatica a riconoscere l’autrice stessa, in un periodo della sua vita particolarmente difficile, inizia a soffrire di brevi perdite di coscienza, che la immergono in storie più vaste di lei, e nondimeno intime. Vite che si sforza di tenersi strette anche quando ritorna in sé: perché le quattro donne del passato che l’hanno visitata intrattengono una sotterranea corrispondenza con il suo presente. Come accade con Eloisa, splendida cocotte desiderata da nobili e intellettuali, la cui esistenza viene sovvertita dalla partecipazione alla Comune parigina del 1871: l’incontro con Eloisa, il desiderio di seguirne la storia, finisce per segnare la fine del matrimonio della narratrice. Perché, suggerisce Comencini, la scrittura è un atto che modifica, che travolge. “La letteratura è un’esistenza nascosta e pericolosa.” Le offre invece una misura della sua solitudine la visione di Sofia, una ragazza che vuole diventare attrice ma sulla sua strada incontra due ragazzi straordinari, Sergio nel cui personaggio riconosciamo Ejzenstejn – e Gregori, ed ecco che i suoi progetti vengono deviati dall’amore, e dalla Rivoluzione d’ottobre. La terza ragazza che appare alla narratrice è Elda, una giovane operaia friulana ai tempi della Seconda guerra mondiale, nello spietato inverno fra il 1944 e il ’45. Mentre l’ultima è una diciassettenne della Swinging London con cui ripercorriamo la rivoluzione sessuale dei primi anni sessanta nelle sue libertà e nei suoi malintesi. Donne comuni, per questo straordinarie, e diversissime fra loro, ma con lo sguardo laterale sulla complessità degli eventi che sono chiamate a vivere. Eroine che incarnano una metà della Storia a lungo nascosta, negletta, ritenuta meno degna, che qui invece Cristina Comencini, narrandola con mirabile vividezza e potenza scenica, chiama a esistere perché appartenga a tutti.
Tessa Hadley, L’arte del matrimonio, Bompiani
Alex, Christine, Zachary, Lydia si conoscono da quando hanno vent’anni, anche da prima, e ora ne hanno un po’ più di cinquanta. Hanno amato, odiato, scelto strade giuste e sbagliate, o non hanno scelto affatto; hanno cresciuto bambini, creato case, covato e soffocato ambizioni. Quando Zachary muore all’improvviso l’equilibrio magico che reggeva il loro quartetto salta; Lydia, l’eterna seduttrice, non sa stare da sola, va a vivere a casa di Alex e Chris, occupa un territorio non suo col disordine degli oggetti e l’invadenza affascinante che è sempre stata il suo tratto. Ciò che succede è imprevisto e insieme fatale. Ma questo non è solo un romanzo di coppie fluide, di amore e amicizia e ancora amore intrecciati fino a cancellare o calpestare i limiti; c’è anche l’arte, comprata e venduta da Zachary nella sua bonomia esuberante, cercata e praticata con fatica e pudore da Chris, ripudiata per orgoglio da Alex; ci sono i figli: la selvatica Grace, la solida, seria Isobel, l’ombroso Sandy con la sua musica; e ci sono le città belle: la Londra dei vicoli segreti e delle gallerie, sempre tagliata da una luce prodigiosa, e Venezia, luogo di una vacanza pigra ed equivoca. Tessa Hadley fa musica da camera con le parole, le sceglie una per una, gioca con le simmetrie e i contrasti, racconta semplicemente la vita, che semplice non è mai.
Federica De Paolis, Le distrazioni, HarperCollins
Viola, come ogni giorno, ha portato Elia ai giardinetti del quartiere. Da quando ha avuto l’incidente, poco meno di due anni prima, tutto le è faticoso, quasi insopportabile. Così come sono insopportabili i continui ritardi di Paolo. Per questo, quando lo vede arrivare da lontano, Viola non aspetta neanche che entri nel parco e se ne va. Ma proprio in quel momento lui è raggiunto da una telefonata, deve tornare in ufficio, un impianto di cui è responsabile ha preso fuoco. Elia, che ha solo diciotto mesi, resta solo. Abbandonato al suo destino. In una porzione di Roma grigia e desolata come una landa. Prima che la coppia si accorga che è scomparso passano secondi, minuti. Poi, la consapevolezza. Dov’è Elia? Si è solo allontanato? Qualcuno lo ha preso? Chi può essere stato? C’entrano i Rom del campo vicino? O riguarda il lavoro di Paolo, che da avvocato ha a che fare con persone influenti e corrotte? Oppure potrebbe averlo trovato Dora, l’inseparabile amica di Viola, che Paolo non sopporta? L’autrice indaga nella vita di una coppia, scandaglia le relazioni famigliari, rovescia la realtà, mentre il tempo inesorabile scorre; racconta il lato oscuro della normalità, i silenzi, le omissioni, le piccole menzogne e le verità impronunciabili. E, dando corpo a una delle paure più atroci di un genitore, regala ai lettori un romanzo esplosivo e intensissimo, fino allo straordinario, inatteso, finale.
Nicola Gardini, Nicolas, Garzanti
Nicolas è il racconto di un amore, lungo vent’anni, tra due uomini; è la visione limpida e travolgente di una malattia terminale; è la storia di una vita intensa, vissuta senza rimpianti fino all’ultimo giorno. Navigando nella memoria e contemplando i ricordi che a mano a mano riemergono – viaggi, frammenti d’infanzia, libri, fotografie, musiche, case – l’autore risponde all’urgenza di riappropriarsi di un passato ormai sommerso eppure ancora capace di esprimere messaggi di felicità. Nel disegnare con grazia e delicatezza un rapporto costretto a fare i conti con il dolore, Nicola Gardini riesce a rappresentare la forza e la bellezza di un’esistenza che si confronta quotidianamente con l’idea della fine. E così, attraverso il ritratto di un uomo, celebra poeticamente la vita di tutti.