Pasta reale di Tortorici: il nuovo Presidio Slow Food dalla Sicilia
Alimentazione

Pasta reale di Tortorici: il nuovo Presidio Slow Food dalla Sicilia

20/07/2022
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Nel medioevo era chiamato il paese delle campane, perché qui si fondevano rame, stagno e bronzo per produrre strumenti finiti poi nelle chiese di tutta la regione e non solo.

Oggi, invece, è noto soprattutto per la produzione di nocciole: parliamo di Tortorici, centro di seimila abitanti in provincia di Messina, da dove arriva l’ultimo nato tra i Presìdi Slow Food, la pasta reale.

Si tratta di un dolce, una ricetta semplice per la cui preparazione occorrono soltanto tre ingredienti: acqua, zucchero e proprio quelle nocciole che crescono sui monti dei Nebrodi.

Pasta reale di Tortorici: questione di fede e di manualità

“Si tratta di una preparazione dalle origini antichissime, di cui abbiamo testimonianze già alla fine del Seicento”, dice Lidia Calà Scarcione, pasticcera e referente dei due produttori che attualmente aderiscono al Presidio.

La storia ci riporta all’epoca in cui, a Tortorici, sorgeva il convento delle suore clarisse.

Come in molti altri casi, il dolce nasce infatti dalla tradizione dei conventi, dove le monache vivevano, pregavano ed erano solite preparare dolcini e biscotti.

“Poi, però, con le leggi del 1866 e del 1867, il neonato Regno d’Italia confiscò i beni ecclesiastici”, spiega Vincenzo Pruiti, referente Slow Food del Presidio della pasta reale di Tortorici.

“E così anche il convento della cittadina venne chiuso”.

Le suore, rimaste di fatto sfollate, furono accolte nelle case delle famiglie più benestanti di Tortorici, portando con sé e tramandando oralmente anche i segreti della preparazione del dolce.

Già, perché pur avendo pochissimi ingredienti, la preparazione nasconde alcune insidie.

Infatti, la pasta reale di Tortorici si presenta di forma piatta e irregolare, con un rigonfiamento nella parte centrale.

Il rigonfiamento si produce durante la cottura.

“In forno i dolci scoppiano”, dice la referente dei produttori.

“Non esiste una ricetta precisa, molto dipende da come sono tritate le nocciole tostate.

A seconda della loro finezza, la granella di nocciole assorbe più o meno acqua, quindi bisogna regolarsi con l’esperienza e la manualità”.

Una volta preparato l’impasto di acqua, zucchero e nocciole tritate, aiutandosi con un po’ di farina si formano delle sfere e le si lasciano riposare su un tagliere di legno per due o tre giorni, a seconda del clima e della temperatura.

A quel punto si infornano e si attende che la pasta reale scoppi, facendo sciogliere lo zucchero e generando la caratteristica forma del dolce.

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Sicilia uguale mandorle, ma non solo

“La Sicilia non è soltanto mandorle e dolci a base di pasta di mandorle”, dice Pruiti.

“Qui in provincia di Messina esiste una lunga tradizione legata ai noccioleti e i prodotti a base di nocciole non sono secondi alle pur eccezionali mandorle.

La presenza del nocciolo da queste parti è testimoniata fin dal Cinquecento.

La zona in cui viviamo è montuosa e questa pianta ben si presta a questo tipo di terreno, perché ha radici fitte ma superficiali.

Oltre alla morfologia del territorio, c’è anche una ragione storica che ha fatto sì che i noccioleti si diffondessero ulteriormente all’inizio del secolo scorso: l’arrivo della fillossera che decimò i vigneti.

Disperati, molti contadini scelsero di piantare noccioli”.

Così, all’interno del Parco naturale dei Nebrodi, ancora oggi si preservano numerosi ecotipi locali di nocciole: un patrimonio di biodiversità che fa la fortuna del luogo e di chi sa valorizzare in pasticceria il frutto di queste piante.

“Le nocciole sono il frutto del nostro territorio”, dice Lidia Calà Scarcione.

“E la pasta reale di Tortorici, da questo punto di vista, è emblematica di quest’angolo di Sicilia”.

Un patrimonio che è in pericolo

“Noto un progressivo abbandono dei noccioleti, che un tempo rappresentavano la principale fonte di sostentamento degli abitanti della zona”, spiega Calà Scarcione.

“Oggi le piante vengono abbandonate perché qui il terreno non è pianeggiante, quindi coltivarle risulta faticoso e poco conveniente: non c’è possibilità di meccanizzare il lavoro né di avere appezzamenti particolarmente grandi.

Ma l’abbandono non è privo di conseguenze: comporta che le foreste “si abbassino”.

In altre parole, la vegetazione sta riconquistando aree un tempo coltivate”.

Può sembrare paradossale, in un’epoca segnata dal consumo di suolo, dall’urbanizzazione selvaggia e dall’antropizzazione di habitat naturali, lamentare l’avanzata dei boschi.

Eppure, anche se apparentemente controintuitivo, il fenomeno è problematico.

Per secoli, infatti, l’agricoltura è stata lo strumento con cui l’uomo è entrato in rapporto con la natura, anche addomesticandola e rendendola produttiva, sempre rispettando un implicito patto.

Lavorare la terra per coglierne i frutti, ma tutelando l’equilibrio e la capacità di rigenerazione del suolo.

Ma non può esistere equilibrio e rigenerazione né nell’abbandono né nel sovrasfruttamento, due tendenze diffuse che oggi dobbiamo invertire a livello globale.

Ecco, dunque, il valore di un Presidio Slow Food e dei suoi produttori.

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