Esiste la Sindrome di alienazione parentale? (il caso di Angela)
Angela: una bambina da salvare. A Brescia, dopo una separazione, una ragazzina di appena 10 anni è stata affidata in via esclusiva al padre. Una madre amorevole e attenta potrà vederla soltanto tre giorni a settimana, alla presenza di un educatore incaricato dai servizi sociali. Dopo la sentenza, già il mondo ha assistito alle crisi di pianto della bambina che viene allontanata dalla donna. Un consulente tecnico è stato incaricato dal Tribunale di svolgere la perizia, sulla base della quale è stata emessa, come detto, la sentenza di allontanamento della piccola dalla casa materna. Ma c’è di più. Il padre ha manifestato in realtà più volte comportamenti violenti, motivo per il quale la bambina si rifiuterebbe di vederlo. Ora bisognerebbe ascoltare i piccoli e non fare troppe cose alle loro spalle. La piccola lo avrebbe detto chiaramente al perito, il quale, invece di prendere in considerazione le sue parole, ha accusato la madre di aver fatto una sorta di “lavaggio del cervello” alla figlia per screditare ai suoi occhi la figura paterna (si parla di Sindrome di alienazione parentale, come vedremo) e avrebbe minacciato la piccola di fare e dire quello che voleva lui, altrimenti l’avrebbe trasferita in una comunità. “Un comportamento gravissimo, per il quale lo abbiamo denunciato per minacce” aggiunge l’avvocato Francesco Miraglia, che difende la signora. “Con tutti questi atti rispondo al legale del padre della bambina, che continua ad affermare come il suo cliente non sia persona violenta, ma che sia la madre ad attuare comportamenti lesivi della salute psicologica della bambina, a tal punto da doverla allontanare da lei”.
Sindrome di alienazione parentale: di che cosa si tratta?
Sindrome di alienazione parentale (Pas, Parental alienation syndrome): un genitore trasferirebbe sul figlio la sua ostilità verso l’altro. E’ possibile definirla ascientifica. Esiste davvero? Abbiamo interpellato tre esperti in argomento.
Il dottor Adriano Formoso è psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista di gruppo. E’ consulente tecnico stragiudiziale e in passato ha lavorato per il Ministero di Grazia e Giustizia presso l’Ipm “C. Beccaria” di Milano. Ha una lunga esperienza professionale rivolta ai minori, alla coppia e alla famiglia. Queste le sue parole. Sindrome di alienazione parentale: chiariamo il concetto? “Richard Gardner, psichiatra infantile statunitense, nel 1985 ha ritenuto che all’interno delle coppie conflittuali, specie quelle costrette a separarsi, insorgesse un disturbo nel contesto delle ‘controversie per la custodia dei figli’, frutto di una manipolazione dei figli da parte di un genitore, ritenuto patologico e che sarebbe quello ‘alienante’ al fine di indurre evitamento, avversità e timore nel figlio verso l’altro genitore ovvero, il genitore ‘alienato’. Dalla mia esperienza clinica mi sento di testimoniare che laddove un genitore assuma un comportamento disfunzionale, tirannico o violento verso un membro della famiglia, che sia la madre o un fratello, il figlio mette in atto spontaneamente una serie di meccanismi di difesa verso il genitore disfunzionale indipendentemente dalla manipolazione da parte dei genitori sulle sue convinzioni”. C’è da chiedersi se, in presenza di questi meccanismi di difesa, mettere il fanciullo di fronte al fatto compiuto di dover vivere con il genitore che sente ostile, ammesso che lo consideri tale, sia una buona idea. Il piccolo si trova di fronte a dilemmi che non può sciogliere e non può che avere reazioni incongrue. Continua l’esperto: “Questi elementi prescindono dal racconto del minore, ma vengono manifestati da altri linguaggi che un esperto diagnosta deve rigorosamente saper leggere”. Potrebbe illustrarci qualche caso pratico? “Una madre complice di un co-genitore che abusava della loro figlia cercava di promuovere nella vittima una visione positiva della figura paterna. Malgrado il tentativo di plagio e manipolazione da parte della madre in difesa di un marito deviante, la figlia riuscì nella relazione con altri adulti di riferimento ad esprimere la reale condizione in cui viveva”. Torniamo alla Sindrome di alienazione parentale: che cosa possiamo aggiungere? “Può accadere spesso che un figlio, ‘addestrato e non educato’ a una visione negativa dell’altro genitore, perda il contatto con la realtà degli affetti e metta in atto comportamenti caratterizzati da disprezzo ingiustificato e perseverante verso il genitore alienato. Si assiste talvolta a una vera ‘programmazione’ del genitore alienante verso il figlio contro il coniuge o l’ex coniuge che utilizza espressioni denigratorie riferite alla sua ‘controparte’, accuse varie approfittando di dettagli affrontati con clamore, per far leva sul figlio con l’enfatizzare critiche verso ogni minima fragilità del genitore alienato”. Ma nel caso di Angela quale dei due genitori enfatizza maggiormente le critiche nei confronti dell’altro? La domanda resta. Come si vive la Pas nel quotidiano? “E’ come se il genitore alienante costruisse una ‘realtà virtuale familiare’ di terrore e vessazione con lo scopo di generare nei figli sentimenti di disprezzo e paura verso l’altro genitore”. Che cosa è possibile fare? “Ritengo che quando un genitore ha condotte disfunzionali, limitando il regolare sviluppo psicologico del figlio, e abbia comportamenti violenti tali da generare sofferenza e malattia sia verso il minore che la restante famiglia, questo genitore debba essere fermato, allontanato e aiutato a costruire una relazione sufficientemente buona con i propri figli”. Quanto detto avviene nella pratica? “Non tutti hanno la comprensione che i propri figli siano esseri indipendenti dai genitori sul piano psicologico e dell’esperienza e, pensando ai figli come se fossero soltanto l’estensione di se stessi, alcuni genitori fanno dei propri eredi un uso strumentale specialmente quando nella coppia vi è in atto una lotta per il potere”. Quali sono gli strumenti della ricerca? “Esistono validi strumenti di diagnosi psicometrica per comprendere se un minore ci restituisce una realtà oggettiva o frutto di una rappresentazione soggettiva e influenzata da fattori esterni. Questo ci permette anche di comprendere quanto l’affiancamento educativo sia stato adeguato o dannoso nell’autonomia di costruzione del pensiero nel bambino”. Ecco che il concetto di Sindrome di alienazione parentale diviene più chiaro.
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Sindrome di alienazione parentale: i rischi
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“Ritengo quindi che sia rischioso e inopportuno alla luce di tutti gli interessi che ruotano intorno alla lite nel diritto di famiglia legittimare una teoria come l’Alienazione parentale ritenendola uno strumento determinante per emettere una sentenza o un provvedimento del Giudice. Ritengo altresì sottolineare quanto la Pas non sia scientificamente riconosciuta dalla maggior parte dei clinici che operano quotidianamente in aiuto a famiglie e minori e anche dai ricercatori che si adoperano nel collegio scientifico per gli approfondimenti e le revisioni del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm), che non riconosce la Sindrome di alienazione parentale (Pas) come malattia soprattutto dopo le ricerche di vari autori che nel 2008 hanno sottolineato la mancanza di rigore scientifico del concetto di Pas. Invito tutti i colleghi designati alle valutazioni a salvaguardare il benessere nel presente e soprattutto nel futuro di ogni minore ad essere cauti e coscienziosi nell’utilizzo degli strumenti diagnostici e nell’interpretazione dei contenuti espressi sia dai genitori, sia dai loro figli”. Nel caso di Angela, c’è da domandarsi se sia davvero la madre a cercare di screditare il padre: potrebbero essere entrambi i genitori a screditarsi l’un l’altro, oppure il padre potrebbe voler cercare di screditare la madre. Alcune realtà sono chiare soltanto a chi vive in una determinata famiglia. Parliamo, del resto, della mente umana. Di quel complesso di dati acquisiti, istinto, indole, reazione alle singole circostanze che è il nostro cervello. Tutto si svolge in quella miscela di concreto e astratto che è il quotidiano: definendo una patologia, si perde sempre qualcosa del singolo caso. Un’ostilità, poi, non si risolve con una sentenza. Il rifiuto del bambino, se c’è, non si elimina con il gesto di affidarlo proprio al genitore cui sarebbe ostile: lo abbiamo già affermato. Non sembra sufficiente la preparazione psicologica del minore, richiesta dal giudice ai servizi sociali. Questi chiede anche l’inserimento della minore nei “Gruppi di parola per i figli di genitori separati”.
Sindrome di alienazione parentale: la parola allo psichiatra
Paolo Pomero è specialista in Neurologia e Psichiatria, con oltre quarant’anni di esperienza. La sua
testimonianza ci permette di chiarire quanto diversi siano i casi patologici nei quali si determina ostilità nei confronti del genitore. “Dell’esistenza della Sindrome di alienazione parentale non tutti sono convinti in ambito clinico. In ambito psichiatrico, è accreditata la definizione di paranoia. Il bene del figlio, nella realtà, non interessa nessuno. Posso descrivervi tre casi. In una separazione, appunto, uno dei genitori aveva deliri di persecuzione. Una volta prese con sé le figlie, le chiudeva in casa per paura che qualcuno le violentasse. Accusava di pedofilia la nonna delle bambine (non sua madre, ndr). Descriveva l’altro genitore (un uomo) come uno stupratore. In un secondo caso, il padre diceva che la moglie aveva un amante. Allora si separava e prendeva i figli con sé. Attuava un colpo di mano. Si appropriava totalmente del ruolo della moglie. La paranoia, quella sì, giustifica che i figli siano tolti al genitore, poiché aliena i figli, per esempio, dai rapporti con gli altri bambini. Un’altra mia esperienza riguarda il caso di un italiano che aveva sposato una straniera. L’uomo aveva una religione non convenzionale e non si era mai svincolato dalla famiglia di origine. Accusava la coniuge di gravi mancanze e di tradimento. Aveva preso con sé il figlio. Il ragazzo, grandicello, aveva creduto in pieno a questa storia e ne condivideva la posizione senza rielaborarla e ragionare, poiché non ne aveva gli strumenti. E’ chiaro che i figli non possono, in casi simili, avere la percezione della non veridicità dell’affermazione di un genitore nei confronti dell’altro. Il delirante convince anche gli altri. Parliamo di coppie conflittuali, fuori dalla normalità. Gli interventi per scalfire la paranoia, quando diagnosticata, devono essere opera di specialisti. E’ spesso impossibile creare l’occasione di un incontro con il genitore considerato ostile. Il paranoico, del resto, rifiuta l’evidenza e quanto dice, naturalmente, non ha riscontro nei fatti. Per capire bisogna vedere come il soggetto si comporta con i figli. I paranoici conservano una vita sociale e hanno deliri verosimili. Queste esperienze creano una influenza nefasta sulla vita futura del fanciullo o della fanciulla”. E’ chiaro che l’azione nei confronti dei minori deve essere svolta con attenzione. Non lo diciamo soltanto noi.
Chiara Mastrantonio, psicoterapeuta a indirizzo clinico, dinamico e della salute, ha esperienza maturata nell’ambito proprio dell’infanzia. Segue la progettazione e realizzazione di progetti sulla prevenzione alla violenza di genere. Si è espressa in questo modo. Esiste la sindrome di alienazione parentale? “Il tema è veramente spinoso è complesso e sicuramente necessita degli approfondimenti relativi a ogni specifica situazione. Proverò in questa sede a fare una sintesi ed esporre dei punti per la conoscenza di questo delicato fenomeno, che porta grande sofferenza sia nei minori, sia negli adulti coinvolti. La Pas più che una condizione clinica può essere definita come una dinamica relazionale disfunzionale, che si può attivare sui figli minori coinvolti in contesti di separazioni altamente conflittuali. E’ stata descritta nella sua fenomenologia, come già affermato, dal medico Gardner nel 1985. E’ stata messa in discussione più che altro nelle aule di Tribunale, perché non citata come sindrome clinica. In verità nell’ultima edizione del “manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali- Dsm V”, tradotto in italiano nel 2014, il professor William Bernet individua il fenomeno nei capitoli relativi agli effetti negativi del disagio relazione dei genitori sul bambino.
Indipendentemente dall’ambito diagnostico, sicuramente è una dinamica alla quale purtroppo si assiste e che spesso viene attivata in modalità non completamente consapevole dal genitore detto alienante, che è vittima di sentimenti di vendetta nei confronti del partner che diventa poi alienato. Nel giro di poco tempo dalla separazione, genitori un tempo amati e apprezzati all’improvviso diventano odiati e temuti dal/dai figli, con motivazioni che non sembrano giustificare l’astio o i comportamenti evitanti che da quel momento vengono attivati. A volte purtroppo, soprattutto quando i bambini sono molto piccoli è facile assistere a fenomeni di ‘fantasie di abusi e maltrattamenti’, indotti nella memoria dai costanti racconti falsati del genitore ostile: nel bambino si instaura così una falsa memoria che può compromettere il ricordo reale. È importante rilevare che in presenza di una ragione legittima che giustifichi la paura e l’ostilità del bambino nei confronti del genitore oggetto di alienazione (abusi vissuti o assistiti, negligenza), la reazione negativa verso quel genitore non può considerarsi Pas”. Ecco un punto importante. Nella notizia che abbiamo letto una ragione legittima si presenta di fatto. Come si agisce sul bambino in questi casi? “La valutazione di Pas deve essere effettuata da esperti e spesso sono i Servizi sociali territoriali, interpellati dai tribunali, che individuano il fenomeno. Come anticipato è una situazione che genera un profondo malessere in tutti i personaggi coinvolti, in particolare nei minori, che si ritrovano a giurare interiormente fedeltà al genitore che vedono più debole o che li ha fatti sentire particolarmente importanti in quella situazione. Spesso i genitori che si ritrovano a essere alienati provano astio sia nei confronti dell’ex partner, sia nei confronti dei figli che sembrano, dai loro racconti, essere vittime di un maleficio.
È importante da parte di un professionista, che sia avvocato o terapeuta ricordare al genitore che i figli purtroppo sono vittime inconsapevoli di un processo che li ha resi armi letali, proprio per questo il primo intervento non è tanto sul bambino quanto sui genitori stessi”. Bisognerebbe capire perché l’oggetto dei provvedimenti, chi ne subisce le conseguenze, sia spesso il bambino.
“Prezioso è l’intervento di una psicoterapia che porti a consapevolezza del fenomeno in primis gli adulti, rispettivamente aiutando il genitore detto alienante a elaborare i vissuti di rabbia e vendetta e supportando l’alienato a non perdere la speranza e a non colpevolizzare il figlio. Sul bambino è importante procedere con incontri inizialmente protetti ovvero in presenza di un esperto per rassicurarlo sul rapporto con il genitore immotivatamente temuto, per poi procedere con la ricostruzione della fiducia”. In sintesi, gli incontri protetti si dovrebbero svolgere alla presenza del genitore che si sente ostile: nel nostro caso, è il padre. Perché allora è stato stabilito che incontri protetti, alla presenza dei servizi sociali, si svolgano con la madre? E’ stato fatto esattamente il contrario. Ma mettiamoci nei panni del bambino. Che cosa gli succede? “Il bambino vive una grande sofferenza e purtroppo con il tempo si ritrova a provare realmente sentimenti di paura verso un genitore e a idealizzare l’altro”. Nel nostro caso: quale dei due?
Sindrome di alienazione partentale: riavvicinamento graduale
“È molto importante che ci sia un riavvicinamento graduale, fino ad arrivare a vivere un rapporto di reciprocità e fiducia con entrambi i genitori. Le conseguenze della Sindrome di alienazione parentale si vedono soprattutto nel lungo termine in cui il bambino, divenuto adulto, potrà avere grandi problemi nello strutturare relazioni affettive basate sulla fiducia, oltre che possibili disturbi di tipo ansioso o depressivo e sentimenti di colpa profonda, qualora nel tempo dovesse rendersi conto di quanto avvenuto e rendersi conto di non avere più tempo per riparare”. Ammesso e non concesso che si verifichi una situazione tanto delicata (per la bambina abbiamo utilizzato un nome di fantasia), perché creare in una fanciulla un nuovo trauma?