Danilo Giordana, piemontese, classe 1965, è uno scrittore esordiente.
Un altro, verrebbe da pensare…..e benchè il pensiero sia di per sé corretto, in questa occasione si scopre, leggendo il suo primo romanzo, una predisposizione alla buona scrittura che lo innalza sulla moltitudine di ansiosi scribacchini che affollano il nostro presente.
Lontano dal mondo delle lettere per questioni lavorative, Danilo Giordana ha tenuto a lungo per sé il desiderio di un libro suo, realizzandolo quando il momento sembrava il migliore e centrando l’obiettivo.
“Kelev” è nato così, a tanti anni di distanza dal tempo scolastico in cui Danilo era l’allievo che scriveva i temi più belli, come ancora ricordano i suoi amici di allora.
E’ nato nei ritagli di tempo che il lavoro, la famiglia, i figli ti permettono di inanellare ed è stato scritto di getto, dando concretezza ad un’idea originale scaturita dalle profonde conoscenze in materia teologica possedute dall’autore.
Toccare argomenti delicati come i Vangeli può essere rischioso, a meno di porsi in una posizione straniata rispetto alla materia di partenza, tecnica a cui fanno riferimento spesso i Formalisti russi del primo Novecento: consiste nel compiere un passo ardito, scegliendo un punto di vista ed una voce narrante a cui nessuno abbia ancora pensato, che renda il racconto nuovo pur rifacendosi a materia antica, con duemila anni di storia.
E se Gesù avesse avuto un cane come amico fedele durante il suo peregrinare? Cosa avrebbe intuito, l’animale, dell’uomo osannato e poi crocefisso? Come avrebbe potuto lasciare un’impronta nel cammino del Figlio di Dio, nei suoi ultimi tre anni di vita?
Eccola, l’intuizione di Danilo Giordana, riscrivere con delicatezza e rispetto un arco di tempo all’interno del quale il Cristo mostra qual è il suo destino, ma anche il suo messaggio, la fede che ne deriva, il compito a cui è stato preposto affidando il racconto alla muta voce del cane.
Tre anni, in cui, come scrive l’autore in quarta di copertina, “Due esseri camminano nella Storia. Uno è il Cristo. L’altro è un cane, senza nemmeno un nome.”
Il mondo secondo Kelev, nel romanzo di Danilo Giordana
Duemila anni fa in Palestina i cani erano utili ai pastori, venivano utilizzati per tenere a bada e ricomporre le greggi, potevano sperare in un pasto sufficiente se sapevano ubbidire e tenere lontani i predatori, null’altro a livello affettivo.
Un cane, un kelev, non era considerato da nessuno una compagnia, se era randagio la suo sorte era legata al caso, al cibo che riusciva a rubacchiare senza essere scoperto.
Uno di questi cani, dopo aver assistito all’uccisione del proprio padre per mano dell’uomo, fugge abbandonando il padrone e trasformandosi in un randagio, senza meta ma libero dalle catene e da una vita di dolore e fatica.
E’ lui che ci racconta la sua storia, ma Danilo Giordana è stato molto bravo a non trasformarlo in una caricatura, in un cane da fumetti capace di pensare e parlare come un umano.
Questo animale, indegno persino di un nome proprio per sottolineare l’indifferenza del suo passaggio nel mondo, chiamato dal suo padrone solo Kelev, cane, osserva e ragiona in base a quelle che sono le sue potenzialità, utilizzando i principi fondamentali di una vita animale, non umana, il che lo rende estremamente plausibile come voce narrante.
Nella sua fuga dal vecchio padrone Kelev incontra un uomo mite vestito di pelli, che vive in una grotta nei pressi del fiume Giordano e si rivolge a lui con rispetto, in quanto creatura di Dio: per Kelev è l’inizio di una nuova vita, che avrà ancora una svolta quando deciderà di seguire Yeoshua, dopo che questi ha ricevuto il battesimo da Yohanan nel fiume.
Il figlio di Dio ha ancora un tempo lungo dinnanzi a sé, nel quale incontrerà folle, guarirà ammalati, predicherà alle genti, compirà miracoli e abbatterà i veli della menzogna, ma ognuno di questi momenti sarà vissuto anche da Kelev, suo inseparabile compagno, a volte incredulo altre compiaciuto delle grandi cose che Yeoshua sta realizzando ( il primo miracolo a cui l’animale assiste è la trasformazione di un sasso in un pane bianco e dolce, a lui destinato, di cui si ciba senza giustamente porsi altre domande).
L’uomo buono e il suo fedele amico sono accompagnati dai discepoli ed hanno modo di incontrare molta gente nelle stagioni che condividono, ma l’autore ha mantenuto una fedeltà assoluta alle storie narrate nei Vangeli, senza stravolgerle.
In questo modo il lettore si ritrova a navigare in acque sicure anche quando le vicende sono presentate nel modo semplice in cui un animale le può intendere, in quanto Danilo Giordana ha bilanciato con cautela ciò che può essere o non essere coerente nel pensiero di Kelev, ciò che può comprendere o non comprendere nei suoi monologhi interiori.
Gesù e Kelev comunicano empaticamente, il primo parla al suo fedele amico quasi volesse a volte dargli delle spiegazioni, il secondo si esprime con lo sguardo, col suo attirare l’attenzione, col desiderio di rendere in qualche modo all’uomo il bene che da lui riceve.
Il viaggio è lungo, tre anni sono tanti, ma l’epilogo è inevitabile: nessuno lo conosce, tranne Yeoshua, che sancisce il limite oltre il quale Kelev non può andare: per una scelta di rispetto, Danilo Giordana ha volutamente evitato di raccontare i due momenti dell’Eucarestia e della Crocifissione, a cui a Kelev non è consentito partecipare.
I due protagonisti incrociano i loro sguardi ancora una volta durante la sofferta salita al Calvario, il compito del cane ora è di seguire Petros nei viaggi a venire. La vita terrena di Yeoshua è conclusa.
Un ultimo incontro, di cui Kelev sarà l’unico a non stupirsi, avverrà nei pressi del Sepolcro, tra l’incredulità dei discepoli e di Miryam, prima che inizi il viaggio che porterà tutti lontano dalla terra di Palestina. Tutti, ma non Kelev, stanco e provato, impossibilitato a proseguire.
Il suo viaggio è finito, come quello dell’uomo buono che ha accompagnato fedelmente su sentieri impervi. L’amore e il rispetto dei discepoli sono tutti per lui, ma la separazione è inevitabile: è tempo di cose nuove, sconosciute a qualsiasi uomo, anche per Kelev.
Danilo Giordana, un romanzo per tutti
“Kelev”, nato nel pensiero dell’autore come un racconto lungo, si è trasformato in fieri in un romanzo, di cui Danilo Giordana ricorda sempre con piacere la genesi e lo sviluppo, le ansie in attesa di risposte da case editrici, la decisione iniziale di stamparne poche copie da regalare agli amici in occasione del Natale.
Invece ora il libro esiste, il muso rassicurante di una cane dallo sguardo acuto e penetrante, ma molto buono, campeggia sulla copertina, con fare invitante.
E’ un romanzo per tutti, indipendentemente dal proprio pensiero in materia di credo religioso.
C’è infatti un messaggio più profondo alla base di questa storia, che Danilo Giordana ricollega ad una enciclica di Papa Francesco, la “Laudato si’”, nella quale si ribadisce il legame paterno di Dio con tutte le sue creature, l’attenzione e l’affetto di Gesù nei confronti della natura, opera del Padre suo.
Non importa se Kelev non è veramente esistito, chissà quante creature del mondo animale hanno interagito col Cristo nel corso della sua vita, quello che conta è imitare il suo atteggiamento, rispettare ogni creatura vivente, ricordarsi che solo nel rispetto della natura è compreso un futuro per il nostro pianeta, che stiamo consegnando ferito e vilipeso ai nostri figli.
Che si sia credenti o no è, sotto questo punto di vista, irrilevante: lo aveva compreso anche Giacomo Leopardi, lontano quanto mai dall’idea di un Dio creatore, quando ricordava agli uomini che il motore del mondo, la Natura, si ribella ai soprusi perpetrati nei suoi confronti, non per volontà propria, ma per ovvia conseguenza delle scelte dell’uomo.
Sono trascorsi due secoli e siamo ancora ciechi come allora, nonostante il frenetico progresso a cui siamo sottoposti: “Kelev” ci può servire anche a questo, a riflettere su ciò che siamo e ciò che speriamo possano essere un giorno i figli dei nostri figli.
TITOLO : Kelev
EDITORE : Il seme bianco
PAGG. 150, EURO 14,90