Il lato oscuro della pesca industriale
Attualità

Il lato oscuro della pesca industriale: impatto ambientale, sociale ed economico

08/08/2025
213 Visite

Negli ultimi decenni, la tecnologia ha trasformato la pesca in un’attività su scala globale. Navi lunghe decine di metri solcano gli oceani con reti giganti, radar avanzati e sistemi di congelamento a bordo. L’obiettivo? Massimizzare le catture, minimizzare i costi. La pesca industriale, nata per rispondere alla crescente domanda globale di pesce, ha rappresentato una vera e propria rivoluzione per l’approvvigionamento alimentare, in grado di garantire enormi quantità di prodotto alimentare. Tuttavia, oggi costituisce una delle principali minacce per gli ecosistemi marini. Produce effetti devastanti sull’ambiente, sulla biodiversità e sulle comunità locali che vivono di pesca artigianale.

Che cos’è la pesca industriale?

A differenza della pesca artigianale, la pesca industriale ricorre all’utilizzo di sistemi che consentono di pescare tonnellate di pesce in breve tempo, spesso senza selezione tra le specie. Per esempio, è tipico della pesca industriale l’impiego di grandi imbarcazioni, tecnologie avanzate e tecniche di cattura su larga scala come le reti a strascico, i palangari e le reti derivanti.

Immagine di copertina
Benessere
Lifestyle-Non mi sento bene. Vado dal dottor Web
La salute è da sempre uno dei valori più importanti per la nostra società, un interesse…
Conseguenze ambientali della pesca industriale

La pesca industriale genera un profondo impatto ambientale, a più livelli. Innanzitutto determina un sovrasfruttamento degli stock ittici. Infatti, rimuove pesce a un ritmo molto più veloce di quanto gli ecosistemi possano rigenerare. Il risultato è che specie come il merluzzo, il tonno rosso e il nasello sono oggi al limite della sopravvivenza. Secondo uno studio di Fishcount e Ciwf  pubblicato sulla rivista Animal Welfare dal titolo “Estimating global numbers of fishes caught from the wild annually from 2000 to 2019“, ogni anno vengono estratti dagli oceani tra 1,1 e 2,2 trilioni di pesci selvatici: una quantità abnorme. Fra l’altro una buona parte di questi pesci, molti dei quali appartengono a specie di piccole dimensioni cruciali per la biodiversità marina, vengono ridotti a farina di pesce e olio usati  come mangimi per l’allevamento di altri animali.

Un altro grave problema della pesca industriale è il bycatch, ossia la cattura accidentale di specie non commerciali, soprattutto tartarughe marine, squali, delfini e uccelli marini. Questi animali, spesso protetti, vengono feriti o uccisi e rigettati in mare. A questo si aggiunge anche una distruzione degli habitat marini, che impoverisce ulteriormente la biodiversità marina e riduce la resilienza degli ecosistemi. Tecniche come la pesca a strascico devastano i fondali oceanici, distruggendo habitat delicati, in primis le barriere coralline e le praterie di posidonia.

La pesca industriale si associa inoltre all’emissione di grandi quantità di gas serra, contribuendo al cambiamento climatico. Le grandi navi industriali, infatti, consumano enormi quantità di carburante, e l’uso di navi frigorifero e trasporti internazionali aggrava l’impronta ecologica.

Impatti sociali della pesca industriale

Oltre ad avere un profondo impatto ambientale, la pesca industriale genera anche pesanti conseguenze sociali. Le grandi flotte spesso pescano in zone presidiate dalle comunità artigianali locali, impoverendole e costringendole a ridurre o abbandonare la propria attività. Quando poi le pratiche aggressive di pesca industriale avvengono in acque internazionali o nei pressi delle zone economiche esclusive (ZEE) di altri Stati spesso portano alla nascita di conflitti diplomatici e geopolitici.

Fra l’altro, in molti casi i lavoratori delle navi industriali operano in condizioni di lavoro durissime, senza diritti né protezione, se non in vere e proprie forme di lavoro forzato e schiavitù moderna.

Pesca eccessiva, conseguenze economiche

Paradossalmente, la pesca industriale ha effetti negativi anche a livello economico e rischia di sabotare se stessa. Infatti, riducendo la biodiversità e creando di fatto una monocoltura ittica rende il sistema più fragile. Bisogna sapere poi che la sovrapproduzione legata alla pesca industriale altera il mercato, deprimendo i prezzi del pesce e penalizzando i piccoli pescatori.

Non solo: molti governi finanziano la pesca industriale con sussidi pubblici, incentivando l’uso eccessivo delle risorse marine. Secondo la FAO, circa 35 miliardi di dollari all’anno vengono spesi in sussidi che favoriscono lo sfruttamento eccessivo.

Quale via d’uscita?

La pesca industriale rappresenta dunque una minaccia diretta alla salute del pianeta. Non è troppo tardi, però, per invertire la rotta e affrontare le sue conseguenze. Tra le strategie possibili:

  • regolamentazione internazionale più severa per proteggere gli oceani;
  • aree marine protette per limitare la pesca in zone ecologicamente sensibili;
  • tracciabilità, certificazioni ed etichette trasparenti (come la certificazione MSC), che permettano ai consumatori di scegliere responsabilmente;
  • promozione della pesca artigianale e sostenibile, che rispetti l’ambiente e le comunità locali;
  • riduzione dei sussidi dannosi, riorientandoli verso pratiche sostenibili.

Cosa possono fare i singoli

  • Scegliere pesce locale e di stagione.
  • Evitare le specie sovrasfruttate.
  • Prediligere prodotti certificati.
  • Informarsi su come e dove viene pescato il pesce che si porta in tavola.

Si consiglia anche di non acquistare il mosciolo selvatico di Portonovo, riconosciuto Presidio Slow Food nel 2004. Infatti, è in costante calo. Per questo motivo, Slow Food, in accordo con la sua rete locale che segue da anni il progetto di valorizzazione del mosciolo, ha deciso di sospendere il Presidio Slow Food fino a quando non si sarà verificata una reale ripresa della specie.