Qui, Dopo. Viaggio di sola andata. E’ Il palpitante diario di una donna che ha lottato contro il cancro e ha vinto. Ultima parte. Per leggere il capitolo precedente CLICCA QUI.
Sono circa le 13,30 quando salgo in reparto. Adesso ho una tetta finta. Sergio è lì che mi aspetta.
Da ora, ogni giorno, sarà un giorno in più che mi allontana dal dolore.
Vittoria, l’infermiera di turno, viene spesso a controllarmi, da 1 a 10 quando il dolore arriva a 5 mi fanno la flebo per darmi sollievo.
Mi sembra che non sia terribile come l’altra volta, realizzo che stranamente è il seno sano quello che mi fa più male …
”…che senso di pace, il mondo mi sembra diverso, finalmente la pace…”
mercoledì, inizia il primo giorno “dopo”.
Mi accorgo di avere in camera due compagne di sventura.
Nelle camere accanto ce ne sono altre tre.
Io chiedo scusa a tutti per la mia crisi di panico della mattina precedente…e la risposta è sempre la stessa: ne avevo tutto il diritto.
E parliamo, ci raccontiamo, ci confidiamo…ogni una ha la sua storia ma tutte, TUTTE, hanno vissuto quello che ho vissuto io.
Stessa rabbia, stesso senso di impotenza, stessa mancanza di spiegazioni da parte dei chirurghi, stessa arroganza maschile subita, stessa impossibilità di scelta.
Caspita! Allora non sono solo io…è una condivisione molto terapeutica.
Anche loro avrebbero scelto di rimanere senza seno evitando tutto il percorso imposto…se solo l’avessero saputo.
E vengono a trovarci le sorelle, le figlie, le amiche, le mamme, le zie, le nonne…anche le infermiere, che in questo reparto ne vedono tante, solidarizzano con noi…un mondo di donne che rivendica il diritto di sapere e di decidere per se stesse.
Reggiseno scafandro, fasciatura stretta notte e giorno, medicazione tutti i giorni…domani, se i drenaggi non “danno” li togliamo e la mandiamo a casa.
È venerdì, quattro giorni sono volati, è stata una esperienza difficilmente descrivibile, fisicamente, emotivamente e psicologicamente.
In realtà li ho vissuti come a rallentatore, ho voluto rimanere strettamente in contatto con me stessa, ho voluto vivere il più intensamente possibile ogni attimo, anche se era difficile, anche se era doloroso, consapevole del fatto che questo pezzo di vita sarebbe stato unico.
Il seno è rifatto, non sono più asimmetrica, credo, ma non ho ancora voluto guardare il risultato…il dottor C. è molto soddisfatto e ho l’impressione che anche Sergio lo sia. Buon pro…
Per me è ancora troppo presto, ora non mi interessa sapere cosa ho “davanti”, cercherò di prendere confidenza con le protesi più tardi…tra un po’ di tempo.
Per ora sono di nuovo bloccata nei movimenti e dal dolore (due mesi di fasciatura stretta e di reggiseno scafandro notte e giorno), sono di nuovo spiaccicata sul letto e sono di nuovo impedita nella mia autonomia (tre settimane senza muovere le braccia!)
”…perche? In nome del cielo…per chi?”
Ora vorrei solo stare bene, non sentire più male, fare pace con la vita, vorrei occuparmi di tutte quelle cose che ho in sospeso e che ho deciso di fare.
Vorrei darmi il tempo di conoscere questa Antonella che sono. Vorrei godermi questo pezzo di strada che Qualcuno ha deciso di lasciarmi.
In questi giorni in ospedale ho avuto tutto il tempo per riflettere: tumore, morte, dolore, sopportazione, costrizione, demolizione, ricostruzione, rinascita.
Guardo la vita come quando guardo l’orizzonte dal mio balcone al sesto piano, in quelle giornate primaverili terse e luminosissime: vedo tutto sino in lontananza, ogni piccolo particolare, ogni dettaglio, una lente di ingrandimento sul mondo, ma contemporaneamente sono abbagliata da tanta luce e mi sembra che tutto questo “brillare” sia quasi irreale.
E mi rimane ancora una domanda, quella che mi faccio e mi hanno fatto, dall’inizio di questa storia. Sono almeno dieci minuti che sono ferma davanti al computer di casa…so cosa rispondere, ma non trovo le parole giuste.
Il tumore è stato l’inizio, il colpo di pistola della partenza, lo starter di questi otto mesi di vita. Affrontato, combattuto, strappato via, curato. Ma otto mesi senza più la spinta di vivere sono una bella sfida. Dall’inizio alla fine è stato tutto un susseguirsi di situazioni senza uscita, senza scelta. Strade a senso unico.
Se oggi una donna, una mia amica mi dicesse: “ho un tumore al seno, devo operarmi, mi dicono di ricostruirmi, cosa faresti al mio posto? “
Cara, amica mia, donna sola che affronterai il tuo specchio. Personalmente, se mi fosse data la possibilità di scegliere, NON metterei l’espansore, mi risparmierei mesi di dolore, mi risparmierei un secondo intervento, mi risparmierei di avere ancora più lungo e difficile il rientro alla normalità. Una tetta finta, per me, non vale tutti questi sacrifici.
Solo qualche consiglio:
Chiedi, pretendi che ti venga sempre detta la verità, che ti sia spiegato tutto con sincerità, non lasciare che ti si nasconda quale calvario ti aspetta, fai in modo che la strada che dovrai seguire ti sia spiegata passo per passo, non ascoltare chi minimizza, chi ti fa sentire inadeguata, chi parla del tuo dolore come se lo conoscesse e invece non ne sa niente, fai che sia la piena consapevolezza a guidarti nelle scelte.
Pretendi che ti siano date tutte le possibilità per soffrire il meno possibile, medicine giuste, aiuto psicologico…non è una gara, non dobbiamo immolarci su nessun altare, concediti il pianto e confidati con le donne che ci sono già passate, noi magliette rosa possiamo capirci e aiutarci. Affidati ai medici che abbiamo ma fai che sia tu a decidere.
ALLORA, SE LO VUOI, COSÌ, SI PUÒ FARE.
Venerdì 30 maggio
La prigione delle cose finte. Quando sono nata ho avuto 20 mesi per godere della posizione di figlia unica. Poi è arrivata mia sorella. Non so se vi è un nesso, ma da quel momento io mi sono sempre sentita in dovere di “guadagnarmi” l’affetto di cui avevo un immenso bisogno. E così sono cresciuta brava bambina, diligente, ordinata, sempre all’altezza delle aspettative, sempre al massimo delle mie possibilità. Una grande fatica!
Ripensandoci posso affermare che la mia vita sia stata tutta un susseguirsi di azioni , di comportamenti, di scelte mirate a far si che potessi piacere. Ai genitori, ai fratelli, alle amiche, …
Poi sono cresciuta, adolescente vedevo le mie amiche diventare donne, mentre a me non accadeva nulla, vedevo crescere il seno delle altre ed io restavo sempre mingherlina, alle medie mi chiamavano “Olivia” la moglie di braccio di ferro.
I ragazzi sono implacabili.
Essere ordinata e brava a scuola non bastava più, ora c’era un’altra categoria a cui piacere…i ragazzi. Ma a quell’età fa testo solo la carne…il resto è optional, e io di carne ne avevo veramente poca.
Ma avevo molto altro, lo avrei presto scoperto.
Così pian piano sono cresciuta, sono diventata donna anch’io e ho avuto diritto alle mie piccole tettine, tutto il resto è stata una esplosione di forte carattere, di voglia di ridere e di giocare, di sensualità sottile e temeraria.
Mi sono abituata a questo corpo esile dalle movenze delicate e ho voluto bene a questo piccolo corpo che la natura mi aveva dato.
È in quegli anni che ho sviluppato un modo tutto mio, originale, autentico di essere, di vestire, di propormi, sganciato dalle mode e dai modelli donna oggetto che regolarmente vengono lanciati sulla massa.
Certo rimaneva sempre il bisogno di piacere, così di trucchi ne ho trovati veramente tanti…purtroppo molti erano sempre a mio discapito.
E così, man mano che crescevo, cresceva anche questo sotterraneo bisogno di essere “piaciuta” così come sono, senza trucco, senza inganno, ma sempre, anche nella sofferenza, anche nel dolore, anche nella tristezza, anche nei guai io ho cercato di non deludere le aspettative di chiunque.
Una grande fatica.
Questi cinquanta chili scarsi non mi hanno mai impedita di avere innamorati, mariti, pretendenti.
Non ho mai capito cosa spinge le donne a fare tutti quegli interventi sul proprio corpo per modificare l’aspetto e diventare così qulcun’altra.
Ho avuto due gravidanze, ho cominciato ad invecchiare, ho notato le prime avvisaglie di decadenza…ma ho sempre accettato tutte queste modifiche perchè “naturali”, persino tingere i capelli bianchi non mi interessava più, nella vita avevo altro da fare.
Quando il tumore è arrivato io avevo fatto pace col mio corpo da tempo ormai, me ne curavo e lo intrattenevo come una cosa preziosa, ogni centimetro della mia pelle era mio, non avrei cambiato nulla per nulla al mondo, il mio minuscolo seno era ciò che avevo e ciò che volevo. Ogni cambiamento lo avrei accettato come qualcosa di “naturale”.
Le cose finte, sia si tratti di modi di vivere sia si tratti di qualcosa di fisico, non mi sono mai piaciute, non le ho mai capite, alcune volte me le sono imposte per sopravvivere e per piacere, ma sempre con grande fatica.
Ora mi ritrovo con due protuberanze davanti: finte, asimmetriche, grosse e diverse una dall’altra, ma soprattutto diversissime da quello che ho avuto per 55 anni e da quello che avrei potuto tenere di me se mi avessero lasciata in pace…un solo seno ma “mio”.
Mi sento violentata e ingannata. Io stessa mi sono fatta violenza per tornare sotto ai ferri la seconda volta. Ora mi ritrovo in una prigione da cui non potrò mai più uscire, una prigione di cose finte.
In questi giorni mi sveglio spesso di soprassalto oppure mi ritrovo a sentire la vita senza ascoltare perchè la mia mente ha un chiodo fisso…
Chissà se un giorno riuscirò a far capire ai chirurghi e magari anche a tutti coloro che identificano nelle “tettone” l’unica massima aspirazione di una donna, quanto si sbagliano.
Chissà se un giorno sarò capace di spiegare loro che una cicatrice non è la fine del mondo se si è in pace con se stesse e se si vuole essere accettate per quello che si è.
Chissà se un giorno potrò perdonare chi, forse in buona fede ma sicuramente con tanta arroganza, mi ha incastrata in questa condizione senza prendere minimamente in considerazione che nessuna è uguale all’altra.
Chissà se riuscirò anche a perdonare me stessa per non essere riuscita a ribellarmi, a gridare forte la mia contrarietà.
Chissà se dopo il perdono arriverà anche la pace, senza più rabbia senza più dolore.
Per ora la mia barchetta è trascinata, sballottata dalla corrente e a me non resta che cercare di non affondare, di restare a galla, di non farmi travolgere.
Il prossimo passo che dovrei fare è la ricostruzione del capezzolo: trapianto di pelle in anestesia locale, prelevata dalle “grandi labbra”, e tatuaggio per avere l’areola mammaria dello stesso colore di quella rimasta.
Non so se lo farò, ci penserò molto a lungo, non è certo una mia priorità.
Oppure il prossimo passo sarà di farmi togliere tutto e dare un finale tutto mio a questa situazione…
Non dimenticherò mai tutto questo, non posso dimenticare…ma vorrei non pensarci più.
Da oggi è tutto da scrivere…corpo diverso, mente diversa, sensazioni diverse.
Dovrò scoprire giorno per giorno come sarà essere qui, dopo.
Fine
P.S. Poiché sei arrivata/o a leggermi sino in fondo ti chiedo un regalo: avresti voglia di lasciarmi una parola, un pensiero, una lettera? Quello che ti senti…
Saranno il mio specchio.
Antonella Beretta
In alto: Corpi di Vadim Stein
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