
Da tanto, troppo, tempo finalmente si parla di garanzia alle persone dello stesso sesso degli stessi diritti delle coppie eterosessuali sposate. Si discute della reversibilità della pensione, della facoltà di adottare il figlio del partner, della certezza di potersi assistere reciprocamente in ospedale, dei diritti di successione e di eredità: sogni, speranze, battaglie decennali, finora puntualmente disattesi. Ma questa potrebbe essere la davvero la volta buona: sì, perché in Italia (se non ci saranno barricate) a settembre approderà in aula la legge che istituisce le unioni civili per le coppie omosex. Unica differenza con le coppie eterosessuali: nelle unioni gay non è consentita l’adozione di bambini, al di fuori appunto della “stepchild adoption”, che è forse la norma più attesa dalle famiglie omogenitoriali. Oggi, infatti, nelle coppie gay i bambini non hanno alcun legame giuridico con la compagna della madre o con il compagno del padre. Quindi, se venisse a mancare il genitore biologico si ritroverebbero soli davanti alla legge…
Ecco con il nuovo provvedimento i figli “arcobaleno” avranno due genitori resi tali dall’unione civile. Una svolta epocale ad opera di una proposta di legge voluta fortemente dal premier Matteo Renzi, convinto della necessità di un adeguamento italiano alla realtà europea. D’altra parte, i venti di cambiamento hanno iniziato a farsi sentire già qualche mese fa con un’ordinanza del Tribunale di Grosseto – destinata senza ombra di dubbio a fare scuola nelle aule universitarie e nei palazzi di giustizia – che ordina la trascrizione (anche se non di natura costitutiva ma soltanto certificativa e di pubblicità di un atto già valido di per sé sulla base del principio “tempus regit actum”) nel registro di Stato civile perché non «è previsto nel nostro ordinamento, alcun ulteriore diverso impedimento derivante da disposizioni di legge alla trascrizione di un atto di matrimonio celebrato all’estero», non essendo esso contrario all’ordine pubblico. I Giudici toscani rimandano a quanto stabilito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella sent. n. 4148/12 (Corte Eur. Dir. Uomo Shalk c. Kopf), secondo la quale «il diritto al matrimonio riconosciuto dall’art. 12 CEDU ha acquisito un nuovo e più ampio contenuto, inclusivo anche del matrimonio contratto tra due persone dello stesso sesso». Alla luce di ciò, ha suscitato un dibattito particolarmente acceso, a suon di hashtag e di tweets, lo scontro dei giorni scorsi che ha visto in prima linea il sindaco di Bologna Virginio Merola, a seguito della richiesta del prefetto Ennio Mario Sodano, proprio nel primo giorno in cui nel capoluogo emiliano è possibile trascrivere sui registri dello stato civile i matrimoni di persone dello stesso sesso, contratti all’estero, di annullare la direttiva del 30 giugno scorso che dava il via libera. Secondo il prefetto, il ritiro della direttiva sarebbe necessario perché la registrazione non è prevista dall’ordinamento italiano. Ma il Primo Cittadino tira dritto, difendendo a spada tratta gli effetti simbolici dell’atto, nel segno di una ‹‹battaglia di civiltà››.
Al di là dei casi singoli, che l’Italia non possa più aspettare è un dato di fatto: il primo sì gay è olandese e da allora ben tredici anni sono passati; nel corso del tempo si sono aggiunti alla lista la Spagna di Zapatero, il Portogallo, il Belgio, la Svezia, la Norvegia ed ultima, in ordine di tempo, la Danimarca. La soluzione delle unioni gay civili registrate, che consentono al partner di godere di fatto dei diritti e dei doveri connessi al matrimonio tradizionale, è quella adottata nel Regno Unito, in Francia (i famosi “PACS – PActe Civil de Solidarité”), ma anche in Germania, Austria, Svizzera, Repubblica Ceca, Ungheria e Finlandia. Nel nostro paese si è tentato un approccio simile con i DICO, acronimo di “DIritti e doveri delle persone stabilmente Conviventi”, che un disegno di legge dalle allora ministre Barbara Pollastrini e Rosy Bindi avrebbe dovuto portare all’approvazione segnando una sorta di compromesso fra le componenti progressiste e quelle cattoliche della coalizione che sosteneva il secondo esecutivo guidato da Romano Prodi. Poi il nulla. La situazione è complessa, ma è inevitabile notare come il nostro sia l’unico paese a non avere una legislazione nazionale sul tema (gli esperimenti dei registri delle unioni civili avviate da alcuni enti locali restano poco più che simboliche dichiarazioni di intenti) insieme alla Bosnia Erzegovina. E non consola il fatto che i Paesi dall’Est facciano anche peggio di noi.