Un seno tutto nuovo, sodo, ben definito e magari con una taglia in più. Il tutto senza l’uso di protesi. Un sogno impossibile? a quanto pare no. Secondo un recente studio, infatti, il 70% dei chirurghi plastici americani ha usato qualche forma di impianto di grasso della paziente per gli interventi al seno (sia ricostruttivi che estetici).
“Il grasso ‘autologo’ viene prelevato dall’addome o dalle cosce della paziente stessa con una piccola cannula da liposuzione, il grasso viene poi trattato, purificato e reinserito utilizzandolo alla stregua di un filler riempitivo”, spiega Carlo Macro, specialista in Chirurgia Plastica, dirigente medico della Divisione di Chirurgia Maxillo Facciale Ospedale San Camillo di Roma.
“La tecnica sta spopolando in tutto il mondo per molti motivi e diversi utilizzi, il risultato infatti è più naturale e meno soggetto a rischi di rigetto o effetti collaterali. Il grasso viene usato per aumentare i volumi del viso come gli zigomi o il mento, riempire depressioni cutanee e rughe profonde, come forma della medicina estetica detta ‘rigenerativa’, ma si sta spostando verso il corpo. In particolare nella chirurgia del seno il grasso può essere usato come complemento e perfezionamento di un intervento di protesi per rendere più morbidi i contorni, riempire svuotamenti della parte superiore del seno e riempire zone delimitate come l’asportazione di quadranti della mammella a causa di un tumore”.
“Nella scelta della tecnica di intervento è però necessario valutare limiti e rischi e già dal 1980, quando l’impianto di cellule adipose era agli albori, vi era il dubbio che questo materiale potesse rappresentare un ostacolo alla diagnosi precoce di tumore e nelle procedure di screening in quanto il grasso non permetterebbe una corretta visibilità dei tessuti con la mammografia” continua il dottor Macro “Altra problematica è quella della stabilità dell’impianto di grasso: a seconda delle tecniche di purificazione e processamento, le percentuali di riassorbimento variano tra il 10 e il 35% e questo mette a rischio il grado di soddisfazione della paziente che cerca un risultato ‘estetico’ e la obbliga ad un secondo impianto, sia pure effettuato con la tecnica iniettiva, a distanza di tempo”.
I chirurghi americani scelgono la tecnica iniettiva nel 90% dei casi di ricostruzione mammaria post-cancro: “In caso di una mastectomia radicale, il seno viene completamente rimosso insieme alla pelle che lo ricopriva”, spiega Macro. ” Questo significa che per la ricostruzione sono necessarie due fasi successive: l’inserimento di un ‘espansore’, un dispositivo che viene periodicamente riempito di soluzione salina. L’espansore sfrutta l’elasticità della pelle per aumentarne la dimensione e permettere, in seguito, l’inserimento di una protesi mammaria. E’ evidente che una donna che ha già subito un intervento traumatico come l’asportazione di un tumore e della mammella (o entrambe) la decisione di operarsi di nuovo altre due volte deve essere sostenuta da una forte motivazione. Alcune donne sono talmente provate e traumatizzate da entrare in un meccanismo chiamato ‘evitamento’ che le porta a non ricostruire il seno mai più Ecco allora che un impianto di grasso autologo diventa una procedura meno invasiva”.
Il grasso può essere prelevato con sottili cannule, trattato e impiantato per via iniettiva nell’arco della stessa giornata. Le donne che hanno subito un intervento per cancro hanno esigenze psicologiche e meno ‘estetiche’. Sono consapevoli del fatto che non potranno avere il seno ‘di prima’, ma spesso desiderano tornare a sentirsi donne complete. Per se stesse ma anche per i loro partner, i figli. E’ una sorta di rito di passaggio per celebrare il ritorno alla vita, il fatto di aver sconfitto la paura.
L’unico limite attuale di questa tecnica è una certa quota di riassorbimento del grasso, la percentuale di perdita dell’impianto dipende principalmente dalla tecnica di lavorazione delle cellule adipose. Ne esistono diverse e ciascun centro medico sceglie il proprio. Per ovviare al problema del riassorbimento molti chirurghi consigliano di inserire una percentuale di grasso in più in modo che quando si sarà riassorbito sarà possibile apprezzare il risultato finale.
E’ interessante comunque notare che esistono alcune differenze sia nei modi di intervenire, sia nella scelta dei canoni estetici. I chirurghi americani preferiscono utilizzare la zona periareolare per accedere alla mammella, mentre da noi si opta prevalentemente per il solco sotto mammario. Ci sono differenze anche nella forma da dare al seno e alla proiezione: più tonde negli Usa dove la chirurgia plastica è ancora considerata uno status da esibire, anatomiche e meno proiettate in avanti da noi dove prevale l’approccio naturale. Ma diverse sono soprattutto le dimensioni: “La media di aumento richiesta italiana è di 250 cc, mentre negli Stati Uniti 350 cc è il livello di partenza!” , dice il dottor Macro “Va specificato che simili quantità sono ingestibili con il grasso e che gli aumenti ideali con questo straordinario ma delicato materiale biologico si aggirano intorno ai 180-220 cc. Il grasso autologo quindi come le altre tecniche ha vantaggi e limiti ma nel caso della ricostruzione ha il vantaggio di non presentare alcun rischio di rigetto e nemmeno di reazione capsulare. Rappresentare un’ alternativa molto sicura che, per essere gradevole, deve essere eseguita da specialisti esperti in questo tipo di impianto”.
Immagine copertina di Karolina Grabowska https://www.pexels.com/it-it/foto/salutare-uomo-mano-senza-volto-4021779/