Che cosa può significare, per un uomo, vivere da schiavo per dodici anni, dopo aver assaporato una vita fatta di libertà, di famiglia, di amore?
Come può la dignità di un uomo essere calpestata, distrutta, annientata sino a ridurre l’individuo al pari di una bestia, se non ad un livello addirittura inferiore?
Solo chi ha vissuto sulla propria pelle una simile esperienza,le cui cicatrici rimangono imperiture ed indelebili, ammesso che la sopravvivenza sia garantita, può provare a rispondere a queste domande.
Solomon Northup lo ha fatto, più di centocinquanta anni fa, per la precisione nel 1853.
Erano gli anni in cui gli Stati Uniti, a nemmeno un secolo dalla loro indipendenza, stavano per precipitare nella guerra civile, troppo spesso erroneamente definita come una lotta contro o a favore della schiavitù,con le piantagioni di cotone che costituivano una grande fonte di reddito grazie all’impiego degli schiavi come mano d’opera.

Non tutti gli uomini di colore erano schiavi, non lo era per esempio Salomon Northup che fu rapito con l’inganno nel 1841 per essere venduto al mercato come molti suoi simili a seguito del drammatico commercio triangolare, senza che la sua famiglia sapesse più niente di lui.

Dodici anni di calvario, quelli vissuti da Salomon, che terminarono solo grazie alla fortuita conoscenza di un abolizionista che prese a cuore la sua sorte e gli fece riavere la dignità di persona di cui era stato privato.
Tornato alla vita di uomo libero, Solomon scrisse le sue memorie, “12 anni schiavo”,a testimonianza di quanto era accaduto in un paese che si proclamava moderno ed ispirato dai grandi ideali umanitari dell’appena tramontato Illuminismo.
Dodici anni da schiavo non sono un peso facile di cui liberarsi, ma la parola possiede il magico potere liberatorio di rendere l’animo più leggero, e Solomon si liberò almeno parzialmente del macigno dei ricordi attraverso questo libro, che ha un ruolo fondamentale nella storia della letteratura americana, mentre era a mala pena conosciuto nella traduzione italiana.
Era, e non è, perché la sua notorietà si è amplificata esponenzialmente dopo che lo sceneggiatore John Ridley e il regista Steve McQueen lo hanno utilizzato come base per realizzare il film omonimo “12 anni schiavo”,vincitore di innumerevoli premi nell’arco di pochi mesi, tra cui anche il più recente Oscar.
Il romanzo lascia certo trapelare il peso degli anni, ma è sempre interessante il confronto libro/film per un esame critico dell’arte della scrittura e di quella della cinematografia.
Quest’ultima si ritiene molto libera di agire sul testo originale, come verificatosi anche in quest’occasione, con tagli e aggiunte talora discutibili, come quello di eliminare la figura della figlia dell’autore e dell’avvocato che lo aiutò a riprendersi la sua vita.
La crudezza di alcune scelte di regia è poi molto attenuata nel testo, dove si raccontano sì gli orrori vissuti da schiavo, ma anche il percorso di rinascita vicino alla propria famiglia, ritrovata dopo dodici anni.
Una storia autobiografica raccontata per combattere il muro del silenzio e dare voce potente e forte anche agli ultimi, i più deboli, ai quali possono essere applicate, indipendentemente dal tempo e dalla storia, le più dolorose parole scritte da Primo Levi: “ditemi se questo è un uomo….”.
Autore: Solomon Northup
Titolo: 12 anni schiavo
Editore: Newton Compton
Pagg. 288, euro 9,90
Disponibile in versione Ebook euro 4,99