Giuliano Montaldo è venuto a mancare ai suoi affetti e al suo pubblico all’età di 93 anni.
Uomo di spettacolo, ma sempre defilato, con l’eleganza innata di chi sa che non servono esternazioni o comparsate per dare valore al proprio lavoro, ha chiuso una straordinaria carriera durata settant’anni.
Nato come attore nei primi anni Cinquanta con la regia di Carlo Lizzani, dopo una decina d’anni si spostò dall’altra parte della macchina da presa, per iniziare una carriera da regista mai interrotta.
I primi grandi successi negli anni Settanta, con un sostegno di pubblico e critica non sempre pieno e lineare.
Dopo aver ottenuto i giusti riconoscimenti per il suo impegno civile, visse nel silenzio per alcuni anni, ritornando sul campo solo all’inizio del nuovo millennio, rinnovato nella produzione ma non nello spirito.
Le sue ultime regie furono per documentari e opere liriche, in cui traspare il suo grande amore per la letteratura.
Molti film di Giuliano Montaldo sono diventati specchio di un’epoca, riflesso di un presente sfilacciato e vuoto di valori.
I suoi esordi da attore, mai dimenticati, gli permisero di costruire personaggi vivissimi per le sue pellicole, troppo distanti dai film hollywoodiani perché gli fosse gradita l’attenzione a lui rivolta da oltreoceano.
Memorabili le sue collaborazioni con Ennio Morricone e Vittorio Storaro, di per sé indicatori del valore aggiunto delle sue pellicole.
Giuliano Montaldo, letteratura e cinema
Nel lavoro di tanti anni spiccano i momenti in cui Giuliano Montaldo volse il suo sguardo alla letteratura, dimostrando come la settima arte possieda il potere che le fu profetizzato, ovvero la sinergia di spazio e tempo.
Come attore, fu chiamato da Carlo Lizzani nel 1954 per una parte in Cronache di poveri amanti, tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini.
I demoni di San Pietroburgo (2008) è invece un omaggio di Giuliano Montaldo regista a Dostoevskij e al suo romanzo Il giocatore: ripercorre, romanzandole, vicende biografiche dello scrittore, combattuto tra indecisioni e tormenti derivanti dall’aver alimentato, coi suoi scritti giovanili, l’attività di società segrete sovversive e rivoluzionarie.
Nel 2010, a cent’anni dalla nascita, venne realizzato un documentario su Ennio Flaiano, a cui Giuliano Montaldo partecipò in veste di attore.
In realtà i due erano legati da un film tratto dal libro premio Strega di Flaiano, “Tempo di uccidere”, un film che Giuliano Montaldo realizzò nel 1989.
Flaiano in quel romanzo manifestava la sua costante vena surrealista, offrendosi come interprete senza eguali dei costumi degli italiani, specchio delle loro bugie comportamentali.
Il romanzo non aveva avuto un grande successo e lo stesso fu per il film, piaciuto poco ai critici cinematografici presenti a Venezia, i quali giudicarono troppo neorealista ciò che era stato concepito come surrealista.
Nel 2017, per la regia di Daniele Ceccarini e Mario Molinari, partecipò con la sua testimonianza a Tonino, un documentario su Tonino Guerra, un intellettuale di grande valori e profondi interessi, non solo un poeta dialettale.
Giuliano Montaldo e Renata Viganò
Nel 1949, in piena fase post-bellica, venne pubblicato in Italia il romanzo L’Agnese va a morire di Renata Viganò.
Inserito nel filone del neorealismo, il romanzo racconta di come, durante la seconda guerra mondiale, nelle valli di Comacchio Agnese, una lavandaia di mezz’età, colpita dalla morte del marito deportato, pur non essendosi mai interessata prima di politica, inizia a collaborare con i partigiani come staffetta di collegamento.
Il ritratto di questa donna, che non può rimanere insensibile di fronte alla violenza gratuita dei soldati tedeschi, risente della lotta partigiana che la stessa autrice aveva vissuto di persona insieme al marito.
Per Agnese, però, non esiste lieto fine, né possibilità di salvezza.
Nel 1976 Giuliano Montaldo trasse l’omonimo film dalle pagine della Viganò, mantenendosi fedele al personaggio di “mamma Agnese” con l’attrice protagonista Ingrid Thulin.
Vennero fedelmente ricreati i contesti e gli ambienti, le fatiche delle staffette che percorrevano chilometri in sella alle loro biciclette, sempre col pericolo di essere intercettate.
Agnese, di cui è rimasta celebre la considerazione quasi fatalista “Cosa vuoi che ti dica? Quello che si deve fare, si fa…” porta per la prima volta sullo schermo una donna come protagonista della lotta partigiana.
La regia partecipata di Giuliano Montaldo si fa sentire nel racconto di una storia quotidiana molto faticosa, costellata di momenti quasi eroici e di vigliacchi tradimenti.
Agnese lotta contro i tedeschi mentre le sue vicine di casa si divertono in loro compagnia, prende posizione sulla spinta della sua coscienza e del dolore per l’uccisione del marito, è protagonista di una storia semplice, una cronaca di paura quotidiana, spesso fatta di freddo e di fame.
Agnese racchiude in sé tutte le donne che lottarono per la libertà tanto agognata.
Giuliano Montaldo e Giorgio Bassani
Nel 1987 è lo scrittore Giorgio Bassani ad essere al centro di un film di Giuliano Montaldo, Gli occhiali d’oro.
Pubblicato nel 1958 il romanzo omonimo sviluppa una tematica affine alla precedente, raffigurando l’aspetto ottuso e finto perbenista del fascismo.
Protagonista un medico di grande valore emarginato dalla società perché omosessuale, facile bersaglio del cinismo di un giovane universitario che non fa che prendersi gioco di lui per derubarlo e così indurlo a mettere fine alla sua esistenza.
Giuliano Montaldo nel suo film ripercorre fedelmente la vicenda del medico, scegliendo come attore protagonista Philippe Noiret.
Viene accentuato volutamente il clima di paura maturato nel 1938 nella comunità ebraica di Ferrara, con le persecuzioni razziali ormai definite e tali da dividere la popolazione in modo netto tra perseguitati e persecutori.
Personaggi emotivamente toccanti, scandagliati nel profondo: l’accoglienza del pubblico non fu troppo calorosa, la tematica dell’omosessualità era ancora un tabù intoccabile.
Il film ricevette nel 1988 il David di Donatello per la miglior colonna sonora, composta da Ennio Morricone.
Una storia di sé
Di tutta la sua vita, del cinema e del suo grande amore, la moglie Vera Pescarolo, Giuliano Montaldo parla nella sua autobiografia, Un grande amore.
Oltre settant’anni di carriera, davanti e dietro la macchina da presa, raccolti dal filo rosso che lo lega alla moglie Vera.
Pagine in cui lavoro e vita si intrecciano con momenti di crisi acuta alternati ad altri di grande successo.
E’ la storia semplice di un uomo che ha scritto pagine importanti nella nostra cinematografia, un uomo dalle scelte trasparenti sempre all’insegna dell’impegno civile e della denuncia, il più lontano possibile dai compromessi.