Da sempre vista come pratica ascetica ed estrema, il digiuno ha accompagnato l’uomo fin dai tempi arcaici.
Tutte le religioni più diffuse e antiche del mondo prevedono questa pratica: dal cristianesimo all’islamismo, dall’induismo al buddismo. Seppur in forme e con finalità differenti, tutte attribuiscono a questa astensione volontaria dal cibo proprietà purificanti, sia nel corpo che nell’anima, oltre a essere considerata come segno di prostrazione e dedizione.
Anche oggi molte ricerche scientifiche attribuiscono reali vantaggi nella pratica del digiuno; pare infatti che esso possa realmente apportare benefici al nostro organismo grazie all’azione detossinante.
Sarà vero?
Digiuno: cosa succede se riduco al minimo le calorie
Prima di affrontare il tema del digiuno propriamente detto, è bene capire cosa succede quando al nostro organismo, in un arco di tempo relativamente lungo, viene fornita meno energia di quanto esso ne consuma.
L’autofagia è un processo molto discusso ultimamente, ed è proprio una diretta conseguenza del deficit energetico. Durante un periodo di restrizione calorica, il corpo si trova costretto a dover fare quadrare i conti anche se il consumo energetico giornaliero è maggiore delle calorie introdotte con l’alimentazione.
Ovviamente, le riserve di grasso sono una fonte sempre disponibile e ottimale al fine di tamponare tale mancanza, ma questa non è l’unica soluzione.
È necessario capire che il corpo considera molto importante i lipidi di deposito; lui non ha idea che nella nostra società il cibo è fin troppo abbondante, e per sua natura ha la necessità di tenersi pronto in caso di carestia.
Di conseguenza, a meno che il deficit calorico non diventi eccessivo, o protratto a lungo nel tempo (settimane), il corpo troverà il modo di rimediare senza dover intaccare le proprie riserve energetiche.
Il primo metodo di tamponare il debito energetico è quello di migliorare l’efficienza organica, riducendo gli sprechi energetici. Il secondo è quello di recuperare gli scarti, e questo significa scansionare l’intero organismo in cerca di tutto ciò che è obsoleto e può essere riciclato. Cellule danneggiate, rifiuti organici e scorie di ogni tipo vengono fagocitate.
In pratica, il corpo effettua una profonda pulizia interna.
Questo processo è la prima fase che si verifica durante il fenomeno dell’autofagia, e può essere indotto con una dieta ipocalorica costante, ma anche con la pratica del digiuno.
Quando il digiuno provoca la chetosi
Alla luce di tali considerazione è chiaro, dunque, che in tal senso già possiamo notare un risvolto positivo del digiuno, ma ovviamente non è l’unico.
La convinzione, però, che il digiuno porti a una vera e propria detossicazione, invece, è totalmente errata.
In realtà, durante il digiuno prolungato, il corpo entra in uno stato di chetosi. Si tratta di una condizione in cui l’organismo, non ricevendo più fonti di glucosio esterne, si trova obbligato ad arrangiarsi con ciò che ha in casa. Inizialmente consuma le riserve di glicogeno stipate nel fegato e nei muscoli, poi inizia a produrre corpi chetonici a partire dagli acidi grassi delle proprie riserve lipidiche. I chetoni servono come surrogato del glucosio, e sono fondamentali per riuscire a nutrire alcuni organi come il cervello, che non sono in grado di sopravvivere soltanto con le fonti lipidiche.
Non c’è nulla di naturale
La condizione di chetosi non è fisiologica, ed è un meccanismo che il corpo mette in atto per sopravvivere.
Durante la chetosi, anche il senso di fame diminuisce fin quasi a sparire, proprio perché la fame, che è strettamente legata alla quantità di glucosio presente nel corpo, passa in secondo piano; il corpo riesce ad autoprodursi un surrogato perfettamente efficiente.
Ovviamente, tale meccanismo funziona fino a quando vi saranno riserve lipidiche in corpo, anche se, come è facile immaginare, vitamine e sali minerali diventeranno sempre più scarsi con il passare dei giorni, mettendo a rischio il corpo e il suo equilibrio, e tenderà anche a perdere numerosi liquidi, inducendo uno stato di disidratazione pericoloso.
Inoltre, lo stato di chetosi, secondo molti studiosi, potrebbe portare alla lunga a uno stato chiamato cheto-acidosi, che è una patologia molto pericolosa.
Come se non bastasse, proprio per ridurre al minimo il metabolismo al fine di sopravvivere, il digiuno prolungato porterà anche l’organismo a cannibalizzare le sue stesse fibre muscolari; questa rappresenta la seconda e triste fase del fenomeno chiamato autofagia.
Le diete chetogeniche
Le diete chetogeniche, tanto di moda ultimamente, si basano proprio sui benefici di questi meccanismi. Esse limitano pesantemente i carboidrati, riducendoli a poche decine di grammi al giorno, e prescrivono grandi quantitativi di lipidi. Il corpo, esaurite quindi le scorte glucidiche, entra in chetosi, e la fame sparisce.
Da qui il successo delle diete chetogeniche; è sufficiente impostare un deficit calorico di base, e sfruttando tale soppressione dell’appetito è possibile perdere molto peso quasi senza accorgersene.
È bene precisare, però, che tali diete non sono l’unica soluzione a tal proposito, e se si sceglie di intraprenderle, è bene farsi seguire da un professionista serio e competente, al fine di non andare incontro a spiacevoli conseguenze (prime fra tutte le possibili gravi carenze vitaminiche e minerali).
Azione detox o inganno?
Sembrerebbe, quindi, che il digiuno non abbia alcun potere di purificare il nostro organismo.
Eppure molti igienisti sostengono il contrario, e prescrivono il digiuno come vera e propria pratica terapeutica.
Dove sta la verità?
Semplicemente, la capacità detossicante del digiuno è direttamente proporzionale alla scarsa qualità dell’alimentazione del soggetto in questione.
Mi spiego meglio.
Il digiuno porta l’individuo a non alimentarsi. Questo lo indebolisce, in teoria, ma se il soggetto segue un tipo di alimentazione del tutto sbilanciato, ricco di grassi saturi e zuccheri raffinati, junk food e cibi ultraprocessati ricchi di additivi e conservanti, con insufficienti quantità di frutta e verdura a fare da tamponi alcalini, è ovvio che, rimuovendo l’esposizione quotidiana, massiccia e costante, a tali veleni della dieta occidentale, potrà sentirsi meglio, convincendosi, quindi, che il digiuno sia una buona pratica.
Digiuno intermittente
L’estressione digiuno intermittente si riferisce ad un ampio gruppo di pratiche, spesso anche molto differenti tra loro. Alcune prevedono il digiuno completo di un giorno a settimana, o di due giorni consecutivi al mese, altri ancora prevedono una finestra alimentare giornaliera variabile in cui ci si alimenta; parliamo ad esempio del 16/8, del 20/4 e del 23/1.
Nel primo si digiuna per 16 ore ogni giorno e si può mangiare all’interno delle restanti 8 (ad esempio dalle 12 alle 20), nel secondo si potrà mangiare solo durante quelle quattro ore (dalle 16 alle 20), mentre nel terzo caso si effettuerà un solo pasto al giorno, ma della durata di un’ora.
Una pratica consigliata?
Dipende.
E’ importante capire che il digiuno è solo un mezzo, e non un fine. I benefici che il digiuno può apportare, non trascendono assolutamente dall’adottare una dieta corretta e sana, e nemmeno da una buona attività fisica.
Anche a fini dimagranti, una dieta ipocalorica ben strutturata può essere certamente un approccio più sensato ed equilibrato.
Tuttavia, nessuno nega che il digiuno, soprattutto quello intermittente, sia un approccio adottato con successo da moltissime persone, sportive e non, e che può adattarsi benissimo anche al nostro stile di vita moderno, pieno di impegni e necessità, di stress e di corse contro il tempo, anche se ben differente da quella di chi praticava questi metodi anticamente, e a cui già allora attribuiva immensi benefici in termini di benessere.