Rientrati da una settimana di vacanza con molta poca voglia di metropoli, mia moglie ed io riceviamo un invito per cena di compleanno dell’amico inglese Simon, che, per sparigliare le carte, decide di farci provare un nuovo ristorante presso l’enclave russa di Coney Island, ove dice di aver prenotato un banchetto per noi tutti.
Ricercando nelle mie memorie del passato, ricordo una fidanzata russa che mi portò a Coney Island “dalle sue parti” a cena, e metto in guardia Simon sulle aspettative legate a questo ristorante, anche se almeno onLine, il menu pare prelibato, ma il sito del ristorante già comunica Russia verace lontana dalla nostra New York. Metto in conto i 50 dollari di taxi (sola andata) e i 100 dollari a testa di cena, quando Simon specifica che non è dovuto alcun regalo di compleanno e mia moglie, all’atto dei preparativi, afferma: <<è un posto che permette di portare il vino, quindi mi metto in borsa una bottiglia di Ca’ del Bosco dal momento che non sappiamo come andrà a finire… e tu magari dovresti indossare scarpe a punta e catene d’oro al collo>> sfotte <<così da entrare nella “parte”, visto dove ceneremo>>.
Con uno spirito a metà tra la boutade e la celebrazione goliardica, al primo colpo d’occhio appena davanti al ristorante comprendo che l’esperienza sarà unica. Due personaggi sovrappeso, con codino e abito di polyestere nero, ci aprono le porte di quella che sembra la finta reggia di Versace interpretata in chiave russa, con ornamenti di plastica e luci psichedeliche, marmi finti e musica moscovita. Un ampio ingresso luccicante (e grossolano) sfoggia donne di reception con gambe lunghissime e molto poco coperte che ci accompagnano al banchetto in onore di Simon dove la buona parte dei commensali viene servita di Vodka come fosse acqua.
Ringrazio il cielo (e mia moglie) per aver pensato alla nostra bottiglia che almeno ci salverà dall’ubriachezza molesta. I camerieri parlano solo russo e tutti i presenti, tranne la nostra tavolata, sono russi, o forse russi americani. La musica è russa e dal vivo sul palco c’è un avvicendarsi di DJ (russo), soubrette (russa) e canzoni dal vivo (incomprensibili). Sfodero il telefono e inizio un reportage fotografico antropologico sugli autoctoni qui a cena, vestiti da festa e in umore celebrativo e molto evidente. Mi stupisco che non ci siano armi in vista ma lo shock arriva quando, dopo ore di immersione russa, il DJ fa partire Toto Cutugno versione remix con: L’Italiano (Sanremo 1983)… Mi smarrisco nell’accostamento musicale, culturale e popolare e brindo ad una nottata in Russia da italiano a New York.