Atelier personale di un’arte-terapeuta. Per Benedetta Piantini l’Arte terapia ha come punto di partenza un interesse messo in pratica.
Laureata in lettere moderne indirizzo Musica e spettacolo, ha via via coltivato la sua inclinazione per le arti visive e scultoree, frequentando botteghe d’arte fiorentine. Nei laboratori d’arte, ha incominciato a lavorare con bambini e ragazzi con bisogni speciali. Per raccontare graficamente, modellare plasticamente. Con la scuola di formazione del Centro di ricerca europea terapie espressive (Crete) il cerchio si è chiuso. Da dieci anni, Benedetta Piantini lavora al benessere dell’individuo, che può sviluppare il proprio talento. Perché arrivi “a risplendere del suo immenso valore e a mostrare al mondo la sua sensibilità“. Ha dato vita a un atelier, contenitore di affetti: ad Arezzo, intende diffondere l’Arte terapia, che al livello del benessere permette di intervenire. Intervenire in un atelier privato, ma anche intervenire in sinergia. In un vivaio di giovani e giovanissimi: energie da convogliare e potenziare. Gioventù in fermento.
Abbiamo conosciuto Benedetta Piantini nel suo studio, nel suo luogo di lavoro, e la abbiamo intervistata. Ecco come si è espressa.
Bambini e ragazzi, con o senza bisogni speciali, in atelier. Si occupa di problemi del comportamento, disturbi dell’apprendimento e disabilità: come procede in particolare nei confronti di bambini e adolescenti?
Il mio atelier è aperto a chiunque voglia abitarlo. È innegabile che negli ultimi anni le persone che vi approdano siano per la maggior parte bambini e ragazzi, dai 4 ai 20 anni con diverse tipologie di bisogni. Alla base della richiesta però c’è sempre il bisogno di esprimersi attraverso il fare, bypassando la sfera del verbale per motivi di età, caratteristiche personali o difficoltà specifica. L’accoglienza e l’ascolto empatico sono alla base di tutto. La proposta è sempre quella di abitare l’atelier, prenderne possesso e viverlo insieme con rispetto e libertà. L’espressione artistica porta inevitabilmente a far emergere le personali istanze. Già da una osservazione partecipe della persona si possono cogliere i primi bisogni: ogni scelta fatta, dal materiale al tipo di supporto, dalla postura al tipo di opera creata, racconta, svela, mette in luce aspetti di se stessi. Osservazione partecipe, mai e poi mai interpretazione né giudizio. L’opera d’arte diventa il mediatore nella relazione: si parla dell’opera per far emergere il bisogno e da lì si cammina insieme.
Come avviene la gestione del suo atelier?
I materiali a disposizione in atelier sono i più disparati, da quelli prettamente artistici come acquerelli, tempere, acrilici, matite, cere, argille, a quelli più artigianali come scampoli, legni e vari materiali di recupero. Questo permette la stimolazione e il risveglio della curiosità innata in ognuno di noi e l’incremento delle personali possibilità di raccontarsi.
L’opera creata, che come ho detto è mediatrice della relazione, diventa oggetto preso in carico dall’arte-terapeuta che ne è il custode e l’ atelier ne diventa il contenitore affettivo, lo spazio sicuro, il porto franco. È frequente che mi venga chiesto di conservare in atelier opere dal contenuto profondo, inconscio, come se aspetti della vita metabolizzati tramite l’opera, avessero poi bisogno di un testimone affettivo e di un luogo sicuro dove essere lasciati.
Nel suo atelier privato svolge soprattutto lavoro individuale: la relazione è in primo piano. Potrebbe illustrarci casi pratici?
Faccio un esempio di una situazione delicata ma non assolutamente patologica, né invalidante: nella foto un’opera di una bimba di nove anni abilissima manualmente e con una capacità creativa davvero notevole, ma che fatica nelle relazioni con i pari, negli apprendimenti, negli aspetti concreti della vita e come si può notare il suo albero è in fiore, è splendido ma è privo di radici e infatti in atelier viene assiduamente, ma non accetta da me alcun consiglio tecnico, fa le opere, si dice da sola che sono belle e se ne va. Non si nutre del terreno fertile in cui vive: l’obiettivo sarà creare con lei una relazione tale da farle accettare consigli tecnici per le sue opere, portarla ad averne bisogno per esprimersi in maniera più completa e appagante e da lì darle modo di radicarsi a terra anche negli altri contesti di vita.
Non soltanto all’interno dell’atelier. L’arte terapia nasce all’interno degli istituti ed è importante porre in luce la famiglia e il lavoro di équipe, con neuropsichiatra e logopedista. Ci descriverebbe questa interazione? Come si costruisce un team qualificato e quali sono le problematiche collegate?
L’ arteterapia nasce dall’osservazione dei pazienti negli istituti psichiatrici, ma ad oggi è ormai conclamata la sua efficacia di intervento in un ventaglio amplissimo e questo perché si fonda sull’essenza creativa di ogni essere umano.
Non è comunissimo un atelier privato come quello che ho creato io e neanche la conoscenza da parte degli operatori del settore medico/educativo/sociale di questo tipo di intervento.
Quando ad esempio si trattano i disturbi dell’apprendimento è essenziale il supporto rispetto ai metodi dispensativi e compensativi per tamponare le difficoltà nell’ambito scolastico, ma quasi sempre una certificazione del genere comporta un senso di frustrazione profonda nella persona che si può chiudere in se stessa, si può difendere con atteggiamenti oppositivi e provocatori, può abbandonare letteralmente l’interesse per la scuola. L’intervento arte-terapeutico può lavorare sull’autostima, sullo sviluppo del proprio talento attraverso il fare, sul senso di accoglienza ripulita da giudizi di valore personale, sulla valorizzazione dell’individuo, cosa che può davvero portare qualità anche nella vita scolastica.
In questo caso come in casi di disabilità o disturbo dello spettro autistico o patologie psichiatriche, l’intervento arte-terapeutico va ad inserirsi in un quadro dove sono già sempre presenti a seconda dei casi, neuropsichiatri, psicoterapeuti e vari tecnici come logopedisti e psicomotricisti. Quello che risulta fondamentale è la creazione dell’équipe, lo scambio periodico di informazioni in modo tale da dare alle famiglie un senso di sicurezza maggiore e sopratutto un’impronta direttiva rispetto alla gestione della problematica.
Infatti, quando si lavora con bambini e ragazzi il più grande lavoro dovrebbe essere quello di accoglienza e cura della famiglia, che risulta sempre la più provata dalla situazione e la più bisognosa di supporto e rassicurazione.
Quando dall’atelier escono opere d’arte e arrivano nelle case e vengono attaccate in salotto in bella vista allora la soddisfazione è davvero tanta.