Ben venga il perfezionismo, purché sia positivo
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Ben venga il perfezionismo, purché sia positivo

03/08/2015
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Sono coloro che non si fermano finché non raggiungono un risultato ottimo, quale che sia il prezzo da pagare per ottenerlo: sono i perfezionisti. Ma non sempre si tratta di un dato positivo: lo affermano gli studiosi della York St. John University, che hanno posto in essere una meta-analisi. Ha pubblicato la ricerca la Società per la personalità e la psicologia sociale (“Society for Personality and Social Psychology”, ndr).

Come si è svolta la ricerca

Sono stati analizzati i risultati di quarantatrè studi precedenti, attuati nell’ultimo ventennio. E’ apparso chiaro che ci sono due tipi di perfezionismo. Il perfezionismo positivo amplia i nostri orizzonti e innalza il livello dei nostri risultati, definendo standard personali e di lavoro elevati, ma non irraggiungibili. Ci si esercita al fine di ottenere il meglio, pianificando anticipatamente le azioni opportune. Tutto ciò aiuta a realizzarsi. Il secondo tipo di perfezionismo è negativo e distruttivo: è collegato alla preoccupazione costante di commettere errori. Fa calare il dubbio, che ci attanaglia nel silenzio, sulle nostre prestazioni. In questo caso è il soggetto che pone se stesso in condizioni di stress. Si verificano depressione, disturbi alimentari, insonnia, stanchezza.

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L’effetto negativo massimo è il burnout

Fino ad arrivare al burnout, che si verifica quando la situazione di stress diventa patologica: non a caso, è legato al lavoro, e porta ad allontanarsene perché tutto va in pezzi. C’è di più. Il fenomeno del “perfezionismo negativo” incide sui rapporti sociali. Se ogni errore è visto come una catastrofe, è difficile ricominciare in seguito, ripartire dopo una battuta d’arresto. Lo afferma Andrew Hill, professore di Psicologia dello sport alla York St. John University.

Imparare a perdonare se stessi

Che cosa bisogna fare? Non chiedere troppo da se stessi. Buona norma è fissare obiettivi realistici. Se si fallisce, si determina un’esperienza che permette di imparare. In caso di fallimento bisogna “imparare a perdonare se stessi”. Un’azione in questo senso può provenire anche dall’ambiente: a livello sociale bisogna premiare creatività, impegno e perseveranza, e non focalizzarsi sul singolo errore, colpevolizzando.

Isabella Lopardi ha lavorato come giornalista, traduttrice, correttrice di bozze, redattrice editoriale, editrice, libraia. Ha viaggiato e vissuto a L'Aquila, Roma, Milano. Ha una laurea magistrale con lode in Management e comunicazione d'impresa, è pubblicista e redattore editoriale. E' preside del corso di giornalismo della Pareto University.

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