Per non morire di crepacuore
Domani è la giornata mondiale del cuore.
Questo muscolo che associamo alle emozioni ricorre sovente nel nostro vocabolario, con frasi come “avere a cuore”.
“Morire di crepacuore” è un’espressione diffusa, che potrebbe essere suffragata dai fatti.
Si pensava, in precedenza, che la sindrome da crepacuore, che colpisce le donne nove volte su dieci, fosse benigna.
Così non è: si è scoperto che uccide come l’infarto.
Si sono occupati dell’argomento gli studiosi dell’Istituto di Cardiologia dell’università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico A. Gemelli di Roma.
La sindrome di takotsubo, altrimenti chiamata cardiomiopatia da stress, della quale parliamo, può raggiungere il 5% di tassi di mortalità: i dati sono affini a quelli riscontrati nei pazienti colpiti da infarto e ricoverati per questa ragione in ospedale.
La ricerca è stata appena pubblicata sul New England Journal Of Medicine (NEJM).
Lo studio ha ottenuto risultati grazie alla collaborazione internazionale: sono state coinvolte la Mayo Clinic di Rochester, l’Università di Zurigo e l’Oxford university.
Il gruppo italiano era guidato dal professor Filippo Crea, direttore del dipartimento di Scienze cardiovascolari del policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma.
Come si manifesta la sindrome da crepacuore
La sindrome da crepacuore si manifesta prevalentemente dopo uno stress emotivo, per esempio un lutto (30%), o fisico, come un intervento chirurgico (36%).
Si associa a malattia neurologica o psichiatrica nella metà dei casi: si presenta spesso in associazione a disturbi psichiatrici, come la depressione.
Si determina come un infarto: compaiono sintomi come dolore al petto o affanno improvviso.
L’elettrocardiogramma si altera. Si determina, tuttavia, un dato curioso: la coronarografia d’urgenza, che viene attuata nel sospetto di infarto miocardico, permette di riscontrare che le coronarie non hanno restringimenti (stenosi) e risultano, dunque, normali. E’ la forma del cuore a cambiare: assume una forma a palloncino, come il vaso che i giapponesi utilizzano per catturare i polipi (tako), che si chiama tsubo (di qui, takotsubo).
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Sono stati gli specialisti del dipartimento di Cardiologia dell’Università di Zurigo a raccogliere i dati. “Oggi questo studio multicentrico chiarisce che – nonostante le disfunzioni microvascolare e miocardica, tipiche della sindrome da crepacuore, siano reversibili – la prognosi per questi pazienti prevede la possibilità di shock cardiogeno (nella quale il cuore non pompa sufficiente sangue all’organismo) nel 12 per cento dei casi”. Lo afferma la dottoressa Leda Galiuto, una delle autrici dello studio.