La resistenza agli antibiotici può essere collegata all’utilizzo di pesticidi, come si evince da uno studio pubblicato da mBio. Se un soggetto è esposto a un antibiotico e contemporaneamente a un erbicida la risposta dei batteri responsabili della malattia agli antibiotici può variare. L’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel biennio 2011-2012, ha affermato che le acque superficiali e sotterranee de nostro paese contengono 175 diverse varietà di pesticidi, tra i quali spiccano gli erbicidi, anche se in basse quantità. E’ stato capito che il batterio che viene trattato preliminarmente con pesticidi richiede una quantità maggiore di antibiotico per essere eliminato. Si tratta di contaminazione incrociata: quando i batteri riconoscono il pesticida come sostanza estranea, attuano la stessa forma di difesa che determinano nei confronti dell’antibiotico. Sappiamo che cure prolungate di antibiotici creano nel paziente una forma di resistenza e che dopo ciò maggiori quantità di antibiotico sono necessarie: si tratta dello stesso tipo di resistenza innescata anche dai pesticidi. I batteri esposti a pesticidi diventano resistenti anche agli antibiotici.
I limiti dello studio
Per il momento il numero di erbicidi utilizzati negli esperimenti è limitato ai più diffusi e anche i batteri considerati sono pochi: dicamba e glifosato tra gli erbicidi, salmonella enterica e escherichia coli tra gli agenti patogeni. Il problema dell’assuefazione a queste sostanze porta all’aumento di decessi dovuti ad agenti patogeni, meno trattabili con gli antibiotici.