Art&Show – Marcello Mariani, pittore informale e senza tempo
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Art&Show – Marcello Mariani, pittore informale e senza tempo

21/11/2014
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Isabella LopardiVoce assai bassa, ma decisa. Barba incolta, canuta con striature grigiastre. “Lavoro, non ho tempo ora”. Compagnia la musica e una cultura che trae spunto anche da un singolo rigo, rinvenuto per caso. Magari un lembo di giornale accartocciato, rinvenuto sulla strada.  Abbiamo raggiunto il maestro aquilano Marcello Mariani nel suo improvvisato atelier di Bussi sul Tirino (Pescara), raccogliendo foto che lo vedono creare. Dentro un arabesco di forme e di colori impressi su una moltitudine di tele. Gli spazi sono solo per loro: quadri grandi e piccoli affastellati in ogni angolo. E poi gli  effluvi delle vernici che subito ti permeano l’olfatto.  Ed e’ cosi’ che la bottega dell’artista puoi immaginarla anche ad occhi chiusi.

Il suo primo pensiero è rivolto a suo padre, noto musicista di chitarra, Enrico Mariani, solista nell’orchestra dell’Eiar (oggi Rai). Un uomo “dall’animo delicato”. La musica fa da accompagnamento al grande pittore, mentre dipinge. Lo cogliamo di sorpresa: è talmente concentrato nell’imprimere i colori sulla sua ultima opera che neanche si accorge della nostra presenza. Mariani ha ripiegato a Bussi dopo il tragico sisma del 6 aprile 2009 che ha distrutto anche il suo famoso laboratorio di via Sassa, devastandogli l’anima. Avviene al pittore “come al pianista che suona, tutto va liscio ma se sbaglia una nota crolla tutto. E così il quadro. Crolla se non lo concludi come intendi fare”.

MARCELLO MARIANI PICCOLA5 Marcello Mariani è un uomo eclettico, completo, pittore nel senso rinascimentale del termine, che si è occupato, nei suoi primi anni, di arte figurativa. La sua prima mostra risale al 1954. E’ allievo di Scordia e Spinosa. Compie studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli ed inizia qui, presso il teatro San Carlo, i suoi primi lavori di scenografia. Poi arriva l’impulso dell’informale, con intercessione di Burri e Fontana con i quali il giovanissimo abruzzese era destinato a fare mostre collettive: “Grandi conosciuti quando non erano ancora grandi”.  “Quando vidi Fontana fare il taglio, dissi ‘…che cosa sta facendo?’. Non pensavo al proseguimento del taglio, dietro c’è l’infinito: guarda un aereo che passa, che lascia quella scia bianca enorme, immagina se quella striscia l’avessero vista i nostri avi.” E cosi’, tra una pennellata e l’altra, nel corso degli anni il maestro ottiene ripetuti consensi di critica e pubblico: scrivono di lui testate nazionali e internazionali. Per Vittorio Sgarbi l’artista aquilano è uno dei più grandi pittori contemporanei d’Europa. Via via, al figurativo di Marcello Mariani incomincia a mancare qualche linea. “Il figurativo lo faccio a occhi chiusi, l’informale ti turba, ti fa impazzire, ti fa piangere, ti fa gioire, ti prende emotivamente. Io sto lavorando a questo pezzo, per esempio, c’è quell’altro che mi dice ‘guarda me’. Gli rispondo ‘Che cosa dici?. Io ti ho portato a termine chissà quanto tempo fa!’ Poi ci rifletto, prendo la sedia, accendo un sigaro e guardo, guardo, guardo fino a quando…tac, scatta la molla e il quadro diventa un’altra cosa, mancava un braccio, un dito, magari una sfumatura”. E ancora:  “Avevo diciassette, o forse diciannove anni. A Roma c’era Lucio Del Pezzo, metteva dei fogli di carta per terra e mi faceva scegliere quale mi piacesse, poi mi diceva ‘prendi e attacca’.  Ecco uno dei suoi assemblage. Poi con Mimmo Rotella, di notte andavamo a staccare i manifesti: vidi il suo primo collage, che era bellissimo, ne uscì Marilyn Morrow con una tigre rampante sotto che era un capolavoro. Non era contornata bene, era proprio strappata, diventavano quasi sculture questi strappi, tanto che il critico d’arte Emilio Villa, che aveva fatto grande Fellini, mi chiese se dormisse soltanto. Dissi ‘invece lavora’ e da sotto un letto tirai fuori questi fogli strappati. Rimase senza parole, diventò bianco. Disse ‘perché non me li hai fatti vedere prima?’ La sua galleria era proprio a piazza di Spagna, la galleria la Barcaccia, Fellini stimava tanto questo critico da chiamarlo mentre girava i suoi film”. Il figurativo è il cimento di un giovane, che riscontra grande successo nel suo pubblico, con facilità. L’informale pretende invece molta attenzione: un’impressione sorgiva che si fissa sulla tela. Un rapporto con il quadro che si colora d’impulso: fino a incorrere – può accadere – nell’intossicazione da piombo, quando il colore era quasi un cibo. E fu così che mangiando il solito panino frugale tenuto tra le mani sempre umide di colori che una volta Mariani finì in ospedale: intossicazione da piombo. Fortunatamente tutto si risolse per il meglio. E’ del 1974 la mostra collettiva con Accardi, Consagra e Guttuso presso la galleria “Il Fante di Quadri” a Civitavecchia.

L’arte è struggimento, lavorio interiore: “E’ giusto che si sappia questa cosa, che la pittura è sofferenza ed è gioia nello stesso momento, a volte tocchi il cielo, a volte sprofondi nella terra, quindi non sono mai, mai contento, ho questa cosa dentro che mi macera, mi lacera tutto, e debbo seguitare ancora, devo cercare, la terra sembra tanto grande, ma è una molecola rispetto all’infinito, non esiste, ancora non nasciamo”. MARCELLO MARIANI PICCOLA7Il maestro, pittore informale settantaseienne di fama internazionale, parla del corso della sua vita come se il tempo non esistesse. “Il tempo: dicono 365 giorni un anno, chi lo ha stabilito? Il tempo è un inganno, noi ci figuriamo il tempo. Io non lo conosco. Se mi chiedi che giorno è oggi, che ora è, che mese è… non lo so. Il tempo lo vedi unicamente nei volti delle persone, in me e in te, perché tu sei molto più giovane di me. Se tu per esempio proietti una linea nell’infinito, questa che fa, arriva a un punto e poi comincia a cedere, a cedere e torna al punto di partenza”.  Quella di Mariani si puo’ definire una conoscenza odeporica, il conoscere viaggiando. Infatti ha girato il mondo, dall’Africa all’Australia. Oggi esprime una fondata meraviglia nei confronti di chi gli dice che le opere rupestri australiane possono sembrare astratte. “Pensavo di essere duemila anni avanti, mi sono ritrovato duemila anni indietro. In Australia gli aborigeni fanno delle linee lunghissime, bianche, gialle, ocra: vedi una riga che cammina per duecento, trecento metri. Io sono salito su una roccia e le ho viste dall’alto, sono rimasto spaventato: canguri, con una perfezione di proporzioni, coccodrilli, animali, io non riesco a dominare un pezzetto di carta e costoro… perché si staccano dal terreno, capisci? Ma non fisicamente, con la mente. Vanno su e osservano. Queste capacità le dovevamo avere anche noi, però siamo diversi. Io ho mangiato il serpente con loro, ho mangiato ciò di cui si cibavano loro, anche i pipistrelli. Noi dobbiamo invadere la vita degli altri popoli, ma essi devono invadere noi, per lo scambio, non per le guerre. Non con il cervello, ma con tutti i personaggi che stanno dentro di noi, nel petto. Gli australiani andavano a ricercare la via degli avi, mentalmente. Io li ho seguiti: sono andato indietro con la mente fino a ritrovare i miei avi, dai quali venivano ora l’una, ora l’altra cosa che ho ricevuto”.  I suoi viaggi in Oriente e in Australia culmineranno con due diverse personali, nel 1979 e nel 1980 a Melbourne. Sono questi gli anni della sua amicizia con Tullio Catalano, Marinucci e Crispolti. Dopo aver partecipato a numerose esposizioni dal 1990 al 2000, nel 1997 Vito Apuleo presenta a L’Aquila la mostra personale “Archetipi”, con lavori dal 1971 al 1995. In catalogo scritti di Oliviero La Stella e fotografie di Johnny Ricci. MARCELLO MARIANI PICCOLA1Nel 2007 e’ invitato da Silvia Pegoraro a Castelbasso a partecipare, assieme ai grandi maestri informali del secolo, a una rassegna completa sull’arte informale europea e americana, con un’opera del 1960 (Spazialità Cellulare).  Nel febbraio 2008, per i tipi di Mazzotta a Milano, esce il libro Marcello Mariani, Percorsi di Luce di Gianni Berengo Gardin, il grande maestro internazionale della fotografia. La preziosa monografia, a cura di Silvia Pegoraro, si aggiunge a quelle realizzate da Berengo Gardin negli atelier di altri artisti fra i quali Henry Moore, Sutherland, Vedova, Tancredi, Lucio Fontana. Ma torniamo indietro nel tempo: “Da ragazzino facevo i temi figurati a scuola, la maestra mi picchiava. Ho sempre avuto questa smania di disegnare, ma allora, dopo la guerra,  non c’era niente. Difficile anche trovare un pezzo di carta. Mia madre mi avvolgeva la colazione con la carta paglia e mi raccomandava di riportarla a casa. Facevo sculturine con la creta, creavo pistole per gli amici, anellini per le ragazze”. Poi: “Forse avrei dovuto essere un sacerdote, frequentavo i frati di Santa Chiara a L’Aquila, poi ho studiato affresco e disegno dal vero, a Napoli ho frequentato l’Accademia”.  Divenuto insegnante, promuoverà in classe la valutazione collettiva del compito, una novità didattica dei tempi più recenti. Ricorda la risonanza riscontrata nel mondo dell’Accademia aquilana e dei suoi personaggi.  Quando ormai la fama del pitttore aquilano ha travalicato i limiti nazionali ed europei, nel 2009 il ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali, di concerto con la Sovrintendenza Speciale per il Polo Museale Romano e il Museo Nazionale di Palazzo Venezia di Roma, dedicano a Mariani una completa rassegna pittorica, nelle sale Monumentali del Palazzo, con opere che vanno dal 1956 al 2007, curata dal professor Gabriele Simongini. Nello stesso contesto una sala del Museo viene dedicata, durante la mostra antologica, a Gianni Berengo Gardin, con foto originali sull’opera del pittore aquilano. Mostra che ottiene il consenso ufficiale del Senato.

MARCELLO MARIANI PICCOLA2C’è ancora qualcosa a L’Aquila per lei?

“A L’Aquila io non vedo futuro ormai. Dopo il terremoto si è verificato un disastro completo, fisico e morale. Io non sono mai entrato nella mia città, mai, dopo il terremoto. Per la prima volta sono entrato alcuni giorni fa e sono rimasto agghiacciato, perché tutti mi chiamavano, riconoscendomi. Nel giorno immediatamente successivo al sisma, Raiuno, Raidue e Raitre mi hanno intervistato: dietro casa trovarono una struttura in legno, non grande, che avevo costruito e, per renderla nuovamente funzionale, mi videro raccogliere alcuni pezzi della mia abitazione distrutta, per lo piu’ intonaci che poi assemblavo. Per colore usavo il mallo della noce, che diventava marroncino, seppia, e il sambuco bollito, e riuscivo un po’ a cucire questi strappi, questi sprazzi. Una ragazza mi riprendeva con la telecamera e dovette smettere di filmare perché le uscivano le lacrime sentendomi parlare”. Per mesi, poi, la dimora della famiglia Mariani fu una roulotte parcheggiata all’esterno di casa.

Se fosse un amministratore a L’Aquila oggi che cosa farebbe?  

“Prima di tutto penserei al popolo, non è giusto che una casa del Cinquecento abbia la precedenza sul popolo, tu mi crei casette che cadono a pezzi…” Quindi lei da artista privilegerebbe il popolo all’opera d’arte?. “Sì. Non è giusto spendere miliardi per un palazzo e poi io, cittadino, non ho casa. Dove dormo, dove vado a mangiare? Mi devi dare un nucleo mio, che avevo, non mi puoi abbandonare così. Per quanto riguarda le chiese, si può pregare anche all’aperto, come facevano gli antichi romani.

Noi aquilani siamo stati sempre sottomessi, vassalli, valvassori, valvassini, sottoposti a principi, conti, baroni, L’Aquila poi era piena di questa gente. Il povero Teofilo Patini, che vinse un concorso internazionale a Napoli, con un quadro bellissimo, volle tornare a L’Aquila, con una donna, una nobile decaduta, però senza sposarsi: ti puoi figurare che scalpore fece a quei tempi! Ma poi incominciò a dipingere opere come L’erede e Bestie da soma: i potenti iniziarono ad avere paura, perché pensarono che se fossero stati trasmessi simili messaggi avrebbero perso potere: lo inviarono dalla famiglia Frasca, e costoro che cosa gli fecero fare, dipinti come grandi santini. Diversamente, questi aveva un a tale energia verso il popolo. In Bestie da soma c’è una donna tutta lacera, che sta appoggiata, quella donna incinta ha cent’anni. Patini era molto sensibile per me, era uno che combatteva”.

MARCELLO MARIANI PICCOLA4Il suo rapporto con Vittorio Sgarbi?

Lo specifico di Vittorio Sgarbi non è tanto l’arte informale quanto, piuttosto, quella figurativa, della quale è padrone. “Vittorio Sgarbi è stato prezioso in molte occasioni. Mi stima molto e la cosa è reciproca. Il nostro è un rapporto tra due caratteri forti.  Mi conobbe per caso, quando andò a mangiare in una trattoria a L’Aquila. C’era un mio grande pezzo appeso e lui chiese chi lo avesse dipinto. Un pittore che lavora in via Sassa, qui vicino, gli risposero. E’ sicuramente un grande artista, osservò compiaciuto. Nel 2011 mi ha portato alla Biennale di Venezia, dove Sergio Zavoli ha presentato i miei lavori”. A San Massimo, nel 2011, nel corso di quella che il critico ha chiamato “La Biennale Aquilana”, volle Mariani sopra il palco. Sgarbi osannò l’estro e la mano di Mariani ma il pittore rimase in silenzio.

Da ragazzo di bottega ad artista internazionale: si sente un artista internazionale, come dice la  critica?

“La mattina quando mi sveglio io sono quasi disperato, perché non capisco ancora se ho incominciato o mi trovo in qualche punto, nella pittura: non lo so. Spetta ad altri valutare il mio lavoro. Mi ha chiesto se mi sentissi un maestro o no: io sono un pittore, però un pittore, questo me lo devono riconoscere, con una carica bestiale”.

Le opere di Marcello Mariani sono conservate in importanti collezioni d’arte contemporanea pubbliche e private, in Italia e all’estero (Roma, Milano, Melbourne, Sidney, Ginevra, Amburgo, Napoli, L’Aquila e Pescara). Dell’artista abruzzese, Claudio Strinati, Soprintendente Speciale per il Polo Museale Romano, ebbe a scrivere: “L’immagine odierna (era il 2008) è quella di una personalità fervida e intensamente creativa, sicura di sé, chiara nella sua forma ma sempre entro un margine di complessità estrema che deve appena trapelare lasciando in evidenza la trama delicata dei raccordi e dei rimandi interni”.

Intervista di Isabella Lopardi

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Isabella Lopardi ha lavorato come giornalista, traduttrice, correttrice di bozze, redattrice editoriale, editrice, libraia. Ha viaggiato e vissuto a L'Aquila, Roma, Milano. Ha una laurea magistrale con lode in Management e comunicazione d'impresa, è pubblicista e redattore editoriale. E' preside del corso di giornalismo della Pareto University.

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