Qui, dopo. Viaggio con il biglietto di sola andata. Diario di Antonella Beretta, quinto capitolo. Per leggere la quarta parte CLICCA QUI.
Mercoledi’ 20 novembre
Con Sergio, dall’oncologo. Sono tesissima, terrorizzata del suo verdetto, le parole del chirurgo che mi ha dato l’esito dell’istologico non mi hanno tranquillizzata…so che l’ultima decisione è dell’oncologo.
Che cure mi aspettano?
Intanto ho dovuto sospendere il cerotto di estrogeni perché il mio tumore si nutriva di questi ormoni…e questo ha già rotto un equilibrio che avevo faticosamente raggiunto.
Merda.
Carcinoma intraduttale sotto al capezzolo, due focolai nel resto della mammella, solo il primo linfonodo con micro metastasi.
– Bene signora, facciamo una bella castrazione chimica con ormone maschile per due anni più l’antitumorale per cinque anni e lei è a posto…
– Cosa? come? castrazione? Non se ne parla nemmeno…
– Libera di fare quello che vuole, io non la obbligo, ma pensi a quelli che devono fare la chemio endovena!…
”E pensa a quelli come te che il tumore non ce l’hanno, deficiente pezzo di merda, ma se fossi tua sorella mi parleresti in questo modo? A una donna a cui hanno amputato il seno parli così! Ottimo, forse è meglio che cambi mestiere, cretino bastardo”
– Guardi dottore che mettermi davanti quelli che stanno peggio di me non sminuisce il mio dolore e la mia disperazione…e comunque che effetti collaterali mi devo aspettare?…
– Perdita dei capelli, nausea, scalmane, insonnia, inibizione della libido, etc , molto di ciò che riguarda la menopausa, tanto prima o poi sarebbe arrivata no?…
”Si, prima o poi, non ora per colpa di un tumore…ma a lui che gliene importa ?…ha dato il suo verdetto, il protocollo è rispettato.”
In tutto questo tempo sono anche riuscita a tenere contatti con Leonardo, il mio analista e amico. È lui l’unico uomo, di tutta questa vicenda di uomini, che mi abbia capita e aiutata a cercare e rispettare veramente quello che sentivo e volevo. A ogni tappa mi sono aggrappata a lui per cercare di non perdere la barra della mia vita…la prima domanda infatti è sempre stata: perché vivere?
Non ho una risposta ma lui almeno mi ha aiutata a non lasciarmi andare. La voglia è molto forte.
Sono debole, scossa, affaticata, spaventata, paralizzata nel corpo e nell’anima da questo frullatore in cui mi sono trovata, la camera con la tenda tirata, il telefono a cui rispondono gli altri, il mondo chiuso fuori e io nel mio uovo di sofferenza ma anche di solitudine e di intimo stare con me stessa. L’unica pace che mi sembra possibile in questi momenti…molto simile alla pace eterna che ogni tanto vorrei.
Martedì 28 gennaio
Con Sergio. Dal chirurgo plastico. Sono terrorizzata, non voglio farmi vedere, toccare, avvicinare da quella persona. Ma più ancora mi terrorizza dover decidere quello che non voglio decidere.
Sergio cerca di calmarmi, io sono ghiacciata, muta.
– Buongiorno signora…
Un gran sorriso mi accoglie
”Eh no no, non mi freghi, non voglio avere a che fare con te…rifiuto tutto quello che mi avete imposto.merda merda merda…”
Sergio lo ha chiamato a mia insaputa per dirgli della mia disperazione, il dottore ce la mette tutta per accogliermi bene. Sono io che non ne voglio sapere di questa visita.
Ma, docilmente, mi spoglio, decidiamo per questa famosa terza (sembra che meno di così venga un pasticcio con l’altro seno) e fissiamo per il maledetto intervento di ricostruzione:
– mi dispiace, non ho posto fino al 13 maggio…
”puttana miseria! Ancora 3 mesi e mezzo con il coso dentro!!! In tutto avrò buttato via 8 mesi e mezzo della mia vita, senza contare il recupero dopo il secondo intervento…vi odio tutti, con tutte le mie forze!!!”
Poi piano, piano, molto piano scopro che SI, è possibile,
Questo coso che mi hanno messo dentro comincia a diventare meno straniero, faccio la ginnastica e scopro che il mio corpo non è completamente distrutto, il braccio si muove, l’ascella brucia meno, la mia tettina non c’è più, ma tutto il resto è ancora lì. Posso cominciare almeno ad ignorare e fare finta di vivere normalmente.
Docilmente accetto che sergio mi porti al parco a fare due passi (…he, sono settimane che stai rinchiusa …) anche se avrei voglia di murare la porta di casa, docilmente riprendo il mio posto di mamma e mi rimetto ai pentolini (…che vomito!…) docilmente prendo in considerazione di rientrare al lavoro,(…la testa non mi segue ma prima o poi comunque sempre a me tocca!…
Scopro anche, nei momenti in cui vorrei essere io ad essere capita, che tocca ancora a me capire gli altri…
Merda.
La vita è così, ogni uno fa quello che può e se vivo con delle aspettative rischio sempre di essere delusa.
Il chirurgo ti toglie il tumore.
Il chirurgo plastico ti rifà le tette.
L’oncologo fa in modo che non ti venga una recidiva e controlla le metastasi.
Il tuo medico ti dà i giorni di malattia.
Il moroso ti vede già con delle tette belle e nuove.
Parenti e amici sono felici che tu non sia morta.
Tutto il resto del lavoro lo devi fare tu, da sola, giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto.
Devo fare i conti con questo appuntamento di maggio e tutto il resto che un tumore, per quanto estirpato, ti lascia.
Visite, controlli, esami…tutto negativo.
Ma ogni volta è un’attesa di giudizio.
“Non sono più io. È un’altra Antonella quella che ora vive, diversa fuori e dentro”.
Anche il rapporto con gli altri è diverso: io ho avuto un tumore, loro no. Chi è di qua e chi è di là della barriera.
Odio quelle frasi del tipo “dopo il tumore ho scoperto che potevo godere della vita più intensamente…” Merda. Io me la stavo godendo benissimo anche prima, senza un tumore che venisse a farla da maestro.
E intanto faccio i conti anche con un corpo al quale resta veramente poco di donna…via la tetta (anche quella nuova sarà comunque insensibile al tatto!), via la libido (la connessione con la gioia di vivere l’amore non funziona più), la decadenza in agguato senza spazio per il decorso “naturale”. Tutto precipita per le cure che bisogna fare…pena il rischio di recidive e metastasi!
Allora decido che forse è meglio se provo a lasciare che il tempo scorra da solo, che Sergio mi porti di qui e di là e mi sommerga dei suoi abbracci, che nei pentolini ci finisca qualche uovo e qualche pastasciutta, che la vita scorra inutile e cretina in attesa dell’inevitabile 13 maggio.
Mi sento come appesa ad un filo, in attesa che qualcuno lo tagli oppure mi raccolga.
Sono in standby. Giorni e giorni col fiato a metà, in attesa, in attesa.
Venerdì 14 marzo
Ancora due mesi di attesa. È da qualche giorno che mi frullano dei sentimenti diversi, qualcosa si muove “laggiù”.
Un giorno qualcuno mi ha spiegato che le navi molto, molto grosse quando devono invertire la rotta ( senza l’ausilio di rimorchiatori, cioè da sole ) hanno bisogno di muoversi in un tratto di mare grande e sono costrette a disegnare, con le macchine al minimo, lentamente, un mezzo cerchio ampio…hanno quindi bisogno di spazio, tempo, un minimo di energia e controllo costante della rotta.
Ma per fare tutto ciò è soprattutto necessario un capitano che sappia dare gli ordini giusti e un equipaggio che ubbidisca e sappia fare il proprio lavoro. Ecco cosa mi sta affiorando nella mente.
Malattia, dolore, sofferenza, paura, rabbia, costrizione, solitudine, preoccupazione…fanno di me il capitano di una grossa nave che ha intrapreso un viaggio in una direzione pericolosa con il rischio anche di andare alla deriva se i motori mollano.
Cambiare rotta è possibile…? Forse.
Sento che io sono una grande nave, vuota, pesante, ingombrante, ma anche mollemente galleggiante su piccole onde di un grandissimo mare, un mare grosso che si è calmato e mi concede un po’ di tempo.
Il tempo per fare manutenzione, per riparare lo scafo e dare un ricambio ai motori.
Il tempo per l’equipaggio di riprendersi dalla burrasca e contare i dispersi e i caduti.
Il tempo per il capitano di pensare, scegliere e decidere la nuova rotta.
Intanto sento che il “grande movimento” l’ho già iniziato.
Ho impartito l’ordine e con una lentezza incalcolabile sento che mi sto muovendo.
Sono solo all’inizio della manovra ma, se il cielo mi aiuta, SI, è possibile che io riesca ad invertire la rotta.
Antonella Beretta
In alto: La Fornarina. Raffaello
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