Oggi no.
Oggi non è possibile leggere, riflettere, maturare giudizi, scrivere senza pensare a Charlie Hebdo.
C’è un momento in cui le più semplici azioni quotidiane, quelle che vengono compiute con la convinzione che siano un tuo diritto acquisito, ti appaiono improvvisamente diverse, assumono la veste del dono.
Oggi ci si sente così, investiti di un privilegio che non a tutti è concesso, improvvisamente un po’ più liberi di quanto ci si sentiva ieri, l’altro ieri, i giorni passati.
Noi, figli di un secolo, quello dell’Illuminismo, che ci ha liberati dall’oscurantismo passato, che ha trasformato la nostra ragione nell’arma più potente a nostra disposizione, siamo oggi sbigottiti e increduli, con la statua delle nostre presuntuose certezze sgretolata ai nostri piedi.
Hic et nunc possiamo esprimere liberamente il nostro pensiero, dare una veste critica alle nostre riflessioni, utilizzare l’ironia e il sarcasmo a nostra discrezione.
La strage di Parigi ci ha invece detto che no, non è sempre così, che sono state brutalmente interrotte delle vite perché questa libertà venisse meno.
Non è questo il contesto per dare interpretazioni ai vari livelli di quanto accaduto, qui non si scrive di politica, di religione, di sociologia o quant’altro.
Qui si scrive di libri.
Si parla di chi vive di parole, di chi le utilizza perché noi stessi e il mondo in cui viviamo possano essere migliori, sempre un po’ più ricchi, sempre più aperti al confronto.
Alla redazione di Charlie Hebdo disegnavano, oltre a scrivere, davano questa sostanza grafica al loro pensiero, lo rendevano di impatto immediato.
Non pretendevano di essere ammirati o sostenuti da tutti, perché erano paladini del libero pensiero: il presunto aforisma di Voltaire,”Non condivido il tuo pensiero, ma sono pronto a morire affinchè tu lo possa esprimere”, è quanto mai adatto alla circostanza.
Noi crediamo nella libertà di pensiero e di parola, sono scoppiate rivoluzioni, sono state combattute guerre, sono state scritte costituzioni perché potesse essere affermata.
Con la strage di Parigi hanno cercato di metterla a tacere ed è per questo che dobbiamo dire no, in modo pacato ma forte, solido, senza tentennamenti.
L’arma più umile e forse più potente che esista, una matita, viene sbandierata nei cortei, disegnata dai colleghi giornalisti e disegnatori che esprimono il loro cordoglio, usata per combattere la violenza.
Non permettiamo che ci venga tolta la prerogativa di esprimerci e di comunicare, continuiamo con perseveranza a formare generazioni acculturate, con capacità di discernimento, lontane dai fanatismi.
Continuiamo a dar loro dei libri, a educarli alla lettura e alla conoscenza, allontanandoli dalla violenza e dalla vendetta.
Ricordiamo, a loro e a noi, che Stephane Charbonnier, il direttore di Charlie Hebdo, ripeteva che è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio.
Lui e i suoi collaboratori lo hanno fatto, per salvaguardare la libertà di espressione.
Oggi il nostro cuore è gonfio di pianto, per gli uomini uccisi e per le idee libere che hanno cercato di uccidere.
Oggi ognuno di noi può in cuor suo dire “je suis Charlie”.
(Le vignette contenute all’interno dell’articolo rappresentano alcune delle tante manifestazioni di di affetto e cordoglio dei colleghi delle vittime)