Brigitte Giraud, vivere la vita al condizionale
Brigitte Giraud è una scrittrice francese, nata a Sidi-Bel-Abbès, nell’Algeria francese, prima di trasferirsi definitivamente a Lione.
A lei il destino ha fatto il non invidiabile dono di vivere due esistenze, la prima delle quali terminata bruscamente il 22 giugno 1999, giorno della morte del marito.
In quel giorno scolpito nella sua memoria la vita di prima si è drammaticamente interrotta, per lasciare il posto a quella del dopo, che si è concretizzata in un adesso costante, senza prospettive future.
Una cesura insanabile, un tempo fatto di momenti cristallizzati, prima mai neppure ipotizzati.
Il suo tormento legato all’attimo presente, alle necessità pratiche e non che il decesso di un marito comporta, la indusse a raccontarsi in un primo romanzo sul tema, E adesso?) Guanda, 2009).
A distanza di più di dieci anni è tornata sull’argomento con Vivi veloce, con cui ha vinto il premio Goncourt 2022.
Vivere veloce fu probabilmente l’ultima scelta consapevole di Claude, suo marito, morto mentre cavalcava una Honda CBR 900 Fireblade in un viale di Lione.
Gli anni successivi di Brigitte Giraud sono diventati una serie inanellata di periodi ipotetici, una continua costruzione di ipotesi al condizionale.
Le protasi, le premesse di questi periodi ipotetici sono tante e tutte diverse, introdotte costantemente dal se.
Le apodosi, le conseguenze di queste premesse, si contraggono in una sola, unica e drammatica: Claude sarebbe ancora vivo.
Il grande tormento di Brigitte Giraud
La morte di Claude avviene in contemporanea alla realizzazione di un grande sogno di Brigitte, quello di avere una casa tutta per sé, spaziosa e corredata di giardino.
Anche Claude è nato in Algeria ed entrambi vedono nell’acquisto di una casa la possibilità di un riscatto sociale, di un valore aggiunto alla quotidianità.
Ma è soprattutto Brigitte a desiderarlo, Claude è accondiscendente, ma non inamovibile nella gestione dell’acquisto.
E’ proprio nella nuova casa che Brigitte Giraud colloca l’inizio del tutto, il punto di non ritorno.
Perché da questo atto prendono il via una serie di conseguenze che portano tutte a una sola conclusione, la morte di Claude sull’asfalto.
Contemporaneamente iniziano le recriminazioni, tante, troppe.
Se non mi fossi intestardita con la casa, se non avessi avuto in anticipo le chiavi, se non ci fosse stato un garage privato, se avessi telefonato a Claude la sera del 21 giugno…
In tutti questi se trova casa il dolore ingestibile di Brigitte, il suo senso di colpa che si nutre di una spirale di eventi inattesi, inesplicabili.
Rifiutando inizialmente il senso della parola destino, l’autrice cerca con sofferente caparbietà una rete di relazioni causa effetto che a posteriori sembrano evidenti, ma che sul momento non avevano possibilità di essere colte.
A Brigitte, che ha dovuto dire a suo figlio di soli otto anni che il papà era morto mentre andava ad aspettarlo a scuola, sono serviti vent’anni per garantirsi la possibilità di avere uno sguardo meno compromesso dalla sofferenza.
Alla fine tutti i fili sparsi sono stati raccolti per confluire in un romanzo che è un’autobiografia del dolore, ma anche una lucida analisi di una tragica perdita e dell’assenza che comporta.
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Abitare la nuova casa e ristrutturarla poco per volta è nel 1999 la necessità del momento, si accavalla con i funerali di Claude, diventa simbolo della rabbia.
Eppure Brigitte Giraud la abiterà per vent’anni, sino a quando non dovrà essere abbattuta per esigenze urbanistiche.
Anni in cui continua a cercare la causa dell’incidente, mai chiarita, anni in cui crede che la casa sia al cuore di ciò che ha provocato l’incidente.
Cosa sarebbe successo se non solo il mondo circostante ma anche lo stesso Claude quel mattino avesse fatto scelte diverse?
Nello scorrere delle pagine il ruolo di Claude nella tragedia è irrilevante, è il mondo che ruota intorno a lui che ne crea le premesse.
Se il fratello di Brigitte non avesse lasciato nel loro garage la potente Honda usata da Claude, se la padrona della nuova casa non si fosse fatta viva prima del previsto, se un ragazzo con una 2CV non si fosse trovato sulla strada di Claude, se il 22 giugno fosse stata una giornata di pioggia…
Ognuna di queste ipotesi, insieme ad altre, rappresenta un capitolo del libro, un momento in cui Brigitte Giraud spreme il vissuto per ricavarne un succo di verità a posteriori che, ovviamente, non esiste.
Il caso ha dettato le regole, solo la somma di una serie di circostanze di per sé insignificanti ha portato Claude nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Le piccole scelte che costituivano la sostanza della vita quotidiana di Claude quel 22 giugno lo hanno portato a morire.
E’ nel non trovare una logica che spieghi il fatto che Brigitte affonda, le sue giornate trasformate in frasi condizionali diventano un salvagente per non affogare e salvare se stessa e suo figlio.
Solo sul finire del libro Claude appare come un inconsapevole correo della tragedia: avrebbe potuto usare la sua moto anziché voler sfidare la strada con quella del cognato e forse niente sarebbe successo.
Se il destino di Brigitte Giraud fosse stato diverso
Non possiamo cambiare nulla nel nostro destino, ma possiamo abbattere a picconate quanto ci ha riservato.
Brigitte Giraud si è ritrovata vedova con un figlio di otto anni da crescere da sola, una casa nuova da pagare e rimettere in sesto, un ruolo di madre e anche di padre da svolgere, un futuro di giornalista e scrittrice da consolidare.
Ogni condizione analizzata nelle pagine del libro avrebbe potuto determinare un futuro diverso, in coppia e come genitori.
Appare evidente come abbia caricato su di sé la responsabilità più grave di quanto accaduto: una telefonata non fatta per rimediare a una dimenticanza avrebbe fato sì che Claude non si trovasse a quel maledetto semaforo.
Solo dopo vent’anni riesce a interromper la litania dei se, a imballare gli scatoloni che contengono i ricordi di Claude in modo definitivo.
La sua umanissima recherche le ha permesso di dare un senso al lutto, alla perdita.
L’immortalità non è di questo mondo, ce ne rendiamo conto di fronte a momenti brutali, devastanti.
La vita di Brigitte Giraud sarebbe stata bella e gratificante, se…?
Forse, ma indietro non si torna, anzi, andando avanti la memoria si offusca e i ricordi diventano imprecisi, il dolore si attenua e nuove strade portano a nuovi bivi.
Dopo vent’anni, è arrivato per Brigitte il momento di lasciar andare tutto, le ossessioni, le conseguenze senza cause apparenti, il dolore testardo.
Resta un libro, insieme alla certezza di un prima e di un dopo, delle coincidenze maledette, dell’impossibile diventato possibile.
Resta un imperativo, vivi veloce.
TITOLO : Vivi veloce
EDITORE : Ugo Guanda Editore
PAGG. 192 EURO 18,00 (Versione ebook euro 4,99)