Anno 1972, Fruttero e Lucentini danno alle stampe “La donna della domenica”, un giallo destinato a diventare, nel volgere di pochissimo tempo, IL giallo all’italiana per antonomasia.
I due scrittori hanno alle spalle anni di lavoro nel giornalismo, una collaborazione nell’ambito della fantascienza che risale a diversi anni prima e, soprattutto una fantastica amicizia, che tutti i loro lettori invidieranno benevolmente conoscendoli a fondo.
Ironici, scanzonati quanto basta per allontanare il tedio dalle loro pagine, hanno deciso di dare questa svolta alla loro scrittura lavorando a quattro mani sulle storie da risolvere attraverso l’intuito, non certo mediante l’azione.
Costituiscono così “La Ditta”, come amano essere definiti, iniziando una carriera che si concluderà solo con la scomparsa di Lucentini, lasciando l’amico a doversi gestire da solo i lettori rimasta orfani a metà.
Il giallo, colore dominante di Fruttero e Lucentini
La prima metropoli a fare da sfondo alle intricate vicende che ruotano intorno ad un imbarazzante omicidio (la vittima è divenuta tale a causa di un colpo inferto con un fallo in pietra) è Torino, protagonista del racconto con i suoi angoli caratteristici, la collina, il Balùn ovverosia il mercato dove si trova anche l’introvabile, mescolato tra il lecito e l’illecito, le piazze tra le più grandi d’Europa.
In questo contesto indaga il commissario Santamaria, per scoprire chi possa aver ucciso l’architetto Garrone, smuovendo acque torbide nella “Torino bene” degli anni Settanta e vivendo anche una storia di passione con una delle protagoniste dei fatti.
Fruttero e Lucentini furono anche politicamente scorretti, secondo la morale rigida di quegli anni, e inserirono nel racconti legami omosessuali dei quali poco si gradiva parlare.
In realtà questo romanzo non ha niente di scorretto, l’eleganza dello scrivere è presente in ogni capitolo e le quattro mani che collaborarono a questa prima esperienza sono come fuse tra loro.
Per conoscere la premiata ditta Fruttero e Lucentini, bisogna partire da questa storia.
Poi, se come probabilmente sarà il desiderio di conoscerli meglio sarà debordante, il percorso potrà andare in più direzioni, ma l’incipit è qui e non può essere altrove.
Anche il successivo “A che punto è la notte” vede protagonista il commissario Santamaria, questa volta affascinato da un caso che vede coinvolti un sacerdote e alcuni suoi fedeli, che devono rispondere di un omicidio avvenuto al termine di una predica di Don Alfonso, nella chiesa di santa Liberata, ancora una volta a Torino.
Questa volta il meccanismo ideato da Fruttero e Lucentini è perfettamente oliato, tanto da rendere scorrevole una vicenda molto intricata, apparentemente insolubile, ma che apparirà chiarissima nel suo svolgersi quando si riuscirà ad interpretare nel giusto modo un indizio fondamentale.
Fruttero e Lucentini sono due signori della scrittura e tali restano sino alla fine del loro operare, tanto che i loro romanzi, per quanto specchio di una società ben delineabile come quella che nel decennio ’70 – ’80 travagliava chi la stava vivendo, non hanno età, non sono mai superati, non diventano pezzi da museo.
Fruttero e Lucentini, da Torino alla Toscana
Il successo editoriale non fermò i due scrittori, anzi li spronò a proseguire nel loro lavoro.
Lasciata Torino alle spalle, il loro interesse si concentrò sulla Toscana, dove vennero ambientati i due romanzi successivi, a Siena “ Il palio delle contrade morte”, a Grosseto “Enigma in luogo di mare”.
Strana storia, quella del primo dei due romanzi, quasi anticipatrice dei fantasy che tanto successo riscuotono ai nostri giorni.
Sono dei fantini, i protagonisti, legati al Palio di Siena sia da vivi, quando corrono per la loro contrada, sia da morti (diventati tali per mano di un assassino), quando dovranno partecipare al palio in rappresentanza delle cosiddette contrade morte, quelle eliminate sin dal lontano 1700.
Meno lontano dalla realtà la vicenda che si snoda in una pineta di Grosseto, dove le astuzie del commissario non riescono a prevalere sulle apparenti dabbenaggini di un depresso cronico, che nonostante la sua apparente apatia si rivelerà capace di risolvere il caso.
In queste storie, che sono solo alcune delle tante frutto della sfrenata vivacità intellettuale dei due autori, si può trovare un’amena compagnia in queste giornate estive, quando un brivido non può generare un senso di piacere, sebbene sia un brivido d’antan.
Per questo e per mille altri motivi le storie di Fruttero e Lucentini vanno lette e rilette, per cogliere il piacere generato da un passaggio solo apparentemente di poco conto, in realtà fondamentale.
Leggere per comprendere, per acquisire, ri-leggere per amare una storia sempre di più.