“Ha acquistato il libro? Se lo acquista, può farne ciò che vuole”, altrimenti
A chi appartiene in toto un romanzo? A chi lo scrive, alla casa editrice che lo pubblica, a chi lo legge o a chi lo recensisce?
Qualcuno sostiene che nel momento stesso in cui diventa pubblico, un libro taglia per sempre il cordone ombelicale che lo lega al o alla partoriente e diventa proprietà di chi ne usufruisce, in qualsivoglia modo.
Sono ormai cinque anni che mi occupo della pagina de IL FONT dedicata ai libri, ho espresso, motivandoli sempre, giudizi sia positivi che negativi, ho avuto il piacere di essere contattata da autori che avevano letto nelle mie parole il senso del loro scrivere, ho tenuto numerose presentazioni pubbliche mai pilotate da autori o editori e poi ho letto, letto, letto, per aggiornamento professionale o per puro diletto.
La protesta di una casa editrice
A fronte di questa premessa, mi trovo a dover affrontare, per la prima volta, un’esperienza di tentata censura da parte di una casa editrice, piccata per aver letto una recensione non positiva relativa ad un suo autore.
La responsabile della piccola casa editrice si rivolge al giornale, che ha ruolo di interposta persona, una serie di critiche, legate tra loro da un termine comune: scorrettezza.
Sinceramente, non mi riconosco in questo giudizio, dal momento che quanto scritto nella recensione è dimostrabile, non determinato da una vaga percezione soggettiva.
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Che cosa significa aderire a una terapia
- Ho valutato come poco originale lo stratagemma narrativo utilizzato da un autore, in quanto ricalcato da un altro scrittore di polizieschi, il cui personaggio è apparso per la prima volta in un romanzo nel 2006.
- Ho sottolineato la mancata correttezza formale, evidente in ripetuti passaggi, in quanto l’autore si basa su numerose analessi, su strappi del tempo della storia (TS) per dare spazio a episodi passati, non utilizzando il tempo verbale corretto, il trapassato, come insegnano le regole (certo non mie) della narratologia.
- Ho fatto cenni a quanto viene raccontato per condividere spunti col lettore, senza ovviamente dare indicazioni su chi, come e perché abbia una colpa grave sulla coscienza, che dovrà in qualche modo espiare. A questo proposito sono stata accusata di spoilerare: ma davvero dire che chi indaga porterà a compimento il suo lavoro implica rovinare l’effetto sorpresa? Ma chi immagina, intraprendendo la lettura di un poliziesco, che le indagini falliranno, i colpevoli vivranno felici e contenti e gli investigatori rimarranno con un palmo di naso? Il riferimento a ciò che l’ultima pagina del romanzo contiene è per altro estraneo ai fatti che ne costituiscono il fulcro, dunque non è spoiler, semmai potrebbe essere un invito ad attendere il successivo episodio della vita del protagonista.
Discutibili modalità che fanno paura
Ho recensito molti libri e nessun autore o editore ha sollevato dubbi sulla correttezza del nostro lavoro.
La libertà di pensiero e di parola è fortunatamente ancora un nostro diritto, il fatto che le case editrici inviino copie del romanzo gratuitamente alle redazioni non implica che le recensioni debbano essere encomi rivolti ai propri benefattori. E invece la casa editrice in questione tuona domandandoci: “Lei il libro lo ha acquistato? No, perché se si acquista il libro, allora uno decide di fare ciò che vuole”. Insomma, un po’ come dire: a caval donato non si guarda in bocca. O forse anche peggio: se te lo regalo allora fai come dico io.
Il Font riceve decine di libri ogni settimana, è materiale che viene fornito gratuitamente e che implica il desiderio dell’autore (o della casa editrice) di una recensione. Inviando il libro, l’autore decide -sua sponte- di affidarsi al giudizio di un lettore esperto e accetta il rischio di essere criticato. Non solo: nulla obbliga un giornalista ad avvisare gli interessati (come invece ci è stato puntualizzato) che il giudizio non sarà favorevole. E vogliamo parlare di rispetto? Di correttezza?
Non basta. Siamo stati accusati di aver postato l’articolo su di un gruppo di lettura che fa capo all’autore (che ovviamente lo ha rimosso in un amen). Insomma siamo stai poco ortodossi, anzi dei gran maleducati.
Quando una casa editrice fa un buon lavoro
Piuttosto noi ci chiediamo come sia possibile che certi editor o certi editori non si accorgano degli errori sintattici ripetuti, segno forse di una revisione un po’ affrettata?
La nostra politica è sempre stata quella di accogliere le proposte che ci vengono fatte o di andare noi stessi a scovare libri di autori emergenti o famosi, cercando di essere in questo modo attenti al panorama editoriale, con recensioni il più possibile oggettive, a volta anche severe. Ma poi: che motivo avremmo di offendere o comunque ferire un autore? Sfido chiunque sappia scrivere in italiano a leggere il romanzo in questione e affermare con sincerità che sia un buon libro.
La reazione della casa editrice che ha dato il via a questa riflessione ci sembra a conti fatti eccessiva: inviterei chi se ne è fatto portavoce a percorrere le strade del web, leggendo quanto viene esposto o commentato nei vari blog dedicati ai lettori, per convincersi che tutti hanno la libertà di esprimere il proprio pensiero in merito, con l’obbligo seguente di accettare le critiche e le posizioni contraddittorie. Atteggiamenti di lesa maestà non portano gloria a nessuno.