Lorenzo Marone è uomo di mare, di sole, di luce, di città che di questi elementi hanno fatto la propria forza, come Napoli.
Nei suoi romanzi ci si trova tra i vicoli stretti e i cuori grandi dei suoi abitanti, tra vicende che la rendono meno ingessata nei suoi stereotipi e più umana, più vera, più partecipata nei suoi aspetti migliori.
Poi arriva “La donna degli alberi” e tutto cambia: alla luce, al sole, al calore, al mare si sostituiscono, il buio, la nebbia e la neve, il gelo, i boschi di montagna immobili nel loro candore.
E’ una rivoluzione copernicana, relativa a luoghi, personaggi, pensieri.
Ciò che prima era tratto distintivo qui si stempera, assume nuova portata e lascia spazio a luoghi nuovi, alla montagna, ad altri pensieri, legati ad un unico personaggio, una donna, di cui poco sappiamo e sapremo in corso d’opera.
Di lei si conosce un lontano passato, di bambina vissuta insieme ai suoi genitori in una baita di montagna, sufficientemente lontana dal fragore cittadino, ci viene rivelato un suo passato prossimo fatto di qualche specifico dolore, di una fuga dalla città per rifugiarsi nella medesima casa, alla ricerca più che tutto di se stessa.
I vari perché di cui spesso i lettori sono avidi per ricostruire l’anamnesi dei loro beniamini restano senza risposta: non è il prima che conta, per questa donna, è l’adesso, se mai il poi che si genererà spontaneamente dal momento presente, quando saprà farsi futuro.
La donna senza nome di Lorenzo Marone
L’autore ci offre come personaggio cardine della vicenda una donna che sembra non possedere più un nome proprio, che mai sarà rivelato.
E’ rimasto nella città che lei ha abbandonato per rifugiarsi in montagna a leccarsi le ferite, nell’attesa delle cicatrici.
Un nome non serve a chi lo porta, serve agli altri per identificare il soggetto in questione: ma qui, isolata tra le montagne, in una casa lontana dal piccolo paese alle pendici del gigante di pietra che tutto sovrasta, il Monte, non ha bisogno né desiderio degli altri, la donna basta a se stessa e alla sua solitudine.
E’ qui per ritrovare i gesti antichi della sua infanzia, il tempo trascorso al lago o nei pascoli fioriti insieme al padre, gli uomini rudi e forgiati dalla fatica che la vita da adulta le ha sottratto.
Ma soprattutto è qui per ritrovarsi, ricostruirsi, riappropriarsi di se stessa e tornare a vivere, gustando la gioia che viene dalle piccole cose, dai gesti ripetuti da chi ha il cuore puro e un po’ infantile.
Complice un diario scritto nel corso di un intero anno, da ottobre a settembre, attraversando un inverno feroce e una primavera che si vuole di nuovi germogli, la donna racconta in prima persona ciò che accade dentro e fuori di lei, i suoi momenti di passaggio più significativi, le rare persone importanti che incontra e che l’aiutano nel suo cambiamento, i dolori e le gioie che si alternano anche qui, in uno sperduto pezzo di mondo.
Ha lasciato alle spalle ciò che non vuole più per se stessa, il mondo dei vincenti, la vita frenetica e prevaricatrice, il profitto ad ogni costo, le aspettative asfissianti, la terra dei ricchi dove tutto è in vendita.
Per lei Lorenzo Marone costruisce un tempo d’attesa di dodici mesi, in cui la sua più sincera amica e confidente sarà la Natura, coi suoi animali e le sue piante, con la meraviglia delle sue albe e dei suoi luoghi segreti, col suo silenzio e i suoi tempi d’attesa.
In montagna bisogna saper attendere: non si piantano alberi per vederli cresciuti, lo si fa per lasciare un dono a chi verrà, figli o nipoti, accettando che il seme di oggi darà forse i suoi frutti in tempi che non combaciano con la nostra breve esistenza.
Eppure ripiantare un bosco sul fianco della montagna può apparire il dono più bello da fare a se stessi e agli altri, se si è diventati capaci di comprendere che la meraviglia sta anche e soprattutto nelle piccole cose, che noi siamo nulla di più di questo, un fragile punto in un universo a cui di noi, proprio di noi, importa poco.
Natura madre e matrigna, il Monte amico e nemico
E’ una Natura matrigna, quella che si conosce attraverso la montagna, con il gelo dell’inverno, la neve che tutto seppellisce, il cibo che manca, il fuoco da ravvivare continuamente, una Natura capace di regalare meraviglie e di infliggere dolori che devastano e abbattono.
E’ quella stessa Natura di cui a lungo parlò Giacomo Leopardi, immobile nel suo millenario esistere, indifferente a noi mortali, poco più che formiche se rapportati al suo eterno movimento.
La donna sa che questa è la legge che dovrà rispettare, ma è comunque impreparata e devastata quando è il dolore a scivolare giù dal fianco del Monte, lasciandola ammutolita.
Eppure ha saputo per mesi vivere la bellezza del luogo, riscoprire i canti degli uccelli che suo padre le aveva a suo tempo identificato, cercare le impronte nel bosco per capire quali animali vivano sul suo stesso territorio, farsi amica la Volpe che impara a prendere il cibo dalle sue mani e il Gufo appollaiato sotto il tetto.
I suoi passi tra gli alberi del bosco, quando la neve lo permette, sono quelli che la rinfrancano e la avvicinano a se stessa, le fanno capire che alberi, uomini e animali hanno lo stesso valore e meritano lo stesso rispetto.
Una nuova umanità per la donna di Lorenzo Marone
La donna di Lorenzo Marone è profondamente sola per scelta e per necessità, da che ha deciso di lasciare tutto per trasferirsi nella baita.
Lo era anche prima, in mezzo a tanta gente, ma ora lo è consapevolmente e ogni passo verso un altro individuo sottintende volontà, desiderio, accettazione.
Sarà per la protagonista motivo di ricchezza e gioia venire a contatto con la Guaritrice, colei che tutto sa delle erbe e dei loro poteri e nulla conosce del mondo, come la Benefattrice sa donare, col suo cuore semplice, la gioia di un affetto capace di guarire gli strappi dell’anima.
Una sorta di amicizia si instaura con la Rossa, che gestisce con la figlia la trattoria del paese più a valle della baita, l’unico in cui si rechi la donna per le sue provviste: ma è un’amicizia fatto di segni silenziosi, di sguardi e di vera compassione, più che di parole.
Nessuno del luogo sfugge al Nome che il paese sceglei per lui, che è un segno distintivo di identificazione e accettazione: con questo nome si diventa qualcuno fuori dall’anonimato, si entra a far parte del microcosmo per come si è, semplicemente per questo.
Anche lo Straniero col suo Cane non sono sfuggiti a questa regola, niente altro serve per comprendere chi siano, anche se proprio lui ha il progetto più ambizioso per dare nuova linfa vitale al Monte, per restituirgli una piccola parte di ciò che l’uomo gli ha violentemente sottratto.
Nel momento stesso in cui la donna se ne farà testimone ed erede dando sostanza alle sue parole, stringendo tra le mani i semi del futuro, il paese avrà per lei un nuovo riguardo.
Ora che tra i tanti possibili ha trovato il suo luogo di elezione, ora che il passato è diventato finalmente tale perché ad esso non si vuole tornare, ora che tutto questo è compiuto si ha diritto al nome, al distinguersi tra tanti per essere parte del mondo del Monte.
Ora la donna è la Donna degli alberi, colei che ha capito che una rivoluzione può nascere da un seme, che si può ricostruire la propria vita basandola sulla bellezza delle piccole cose, delle piccole meraviglie che troppo spesso non riusciamo a vedere, accecati da un mondo che stiamo distruggendo alla ricerca della felicità.
TITOLO : La donna degli alberi
EDITORE : Feltrinelli
PAGG. 222 EURO : 16,00 (disponibile versione eBook euro 9,99)