Paolo Milone è un uomo che ha visto l’abisso, lo ha attraversato anche con dolore e ha deciso di raccontarlo.
Psichiatra, nato a Genova nel 1954, ha lavorato in un Centro Salute Mentale e poi in un reparto ospedaliero di Psichiatria d’urgenza.
Anno dopo anno, indossando un camice che lo rendeva ora amico ora nemico ora complice dei suoi pazienti, ha accumulato una serie infinita di ricordi disordinati, a cui ha deciso di mettere mano una volta lasciata l’attività lavorativa.
Da questo suo lavoro è nato “L’arte di legare le persone”, il suo primo libro, in cui utilizza una prosa innovativa, coniata, come dichiarato da lui stesso, sulle opere più famose del poeta latino Marziale, gli Epigrammi.
Privo della lentezza – che a volte si trasforma in pedanteria – del saggio, anomalo rispetto alle tradizionali categorie narrative, il libro è una somma di brevi riflessioni in prima persona, molto spesso poetiche, simili alle strofe di una ballata tanto struggente quanto veritiera.
Paolo Milone è riuscito a raccontare la malattia mentale e la psichiatria come fossero una partita a due, tra il paziente e il medico: a volte vince l’uno, quando trova le parole che curano, a volte vince l’altro, quando non trova le parole che parlino di se stesso.
Sono schegge, frammenti con un cuore emotivo che trapassano il lettore e lo avvicinano al mondo cupo della follia.
L’io che parla, che racconta cos’è in quel momento un reparto psichiatrico si rivolge sempre ad un interlocutore a lui noto, un paziente, un collega, un infermiere, col quale intavola un dialogo fittizio, che si risolve in un monologo caleidoscopico.
Il mondo dello psichiatra visto da Paolo Milone
Lo psichiatra protagonista invidia il lavoro di psicologo e psicanalista, perché entrambi hanno a che fare con pazienti più reattivi, che si muovono e si spiegano autonomamente.
Allo psichiatra, invece, tocca la difficoltà di entrare nel mondo del paziente, un mondo precluso agli altri, con punti di riferimento che sfuggono a chi vive all’esterno dei suoi privatissimi confini.
Attraverso la lettura dei frammenti di Paolo Milone si percepisce come spesso la malattia abbia fagocitato la persona, persasi nei labirinti di un universo parallelo, dove schizofrenia e Alzheimer dettano le regole: eppure il medico riesce, anche se con fatica, a creare dei legami con uomini e donne che sembrano essere scomparsi negli angoli bui della pazzia.
Il Reparto 77 è quello dei pazienti del dottor Milone, quello che è impossibile dimenticare per il resto della vita, anche dopo aver appeso al chiodo il camice bianco.
E’ il reparto di psichiatria dove si aggirano Lucrezia, che ha vent’anni e si procura in continuazione tagli sul corpo, Danilo, un giovane schizofrenico di due metri e centodieci chili di peso, Giorgio, che percepisce l’insorgere della pulsione al suicidio in tempo per chiedere in reparto di essere legato.
E poi ci sono gli infermieri, che dei pazienti a volte sanno molto di più dei medici stessi, i dottori giovani, pieni di entusiasmo, gli anziani, troppo disincantati per credere ciecamente alla forza del loro lavoro, gli Edoardo che non hanno esitazioni a fronte dei bipolari e criticano con fermezza la psichiatria, i Rufo che della vera missione di salvezza a loro affidata non sanno e non capiscono nulla.
“La psichiatria è urlo e pianto muto” : gli psichiatri vogliono bene ai matti, sono i loro fratelli e la differenza tra gli uni e gli altri è solo un tiro di dadi riuscito bene, che separa i due mondi.
Per ritrovare le proprie coordinate al medico basta avere la chiave di una piccola stanza, da cui si vede un glicine, fermo e inamovibile nonostante il suo carico di anni.
Qui si chiude la porta e il reparto rimane fuori, si apre invece il colloquio con i pazienti, il dialogo a volte muto con la loro sofferenza, che fa più rumore di un’assordante esplosione.
La stanza magica diventa anche un luogo per rielaborare i fallimenti, cercare le origini di un suicidio, di un salto nel vuoto da un muraglione o da un cavalcavia.
I frammenti di Paolo Milone colpiscono come frecce appuntite, aprono ferite sulla quotidiana normalità piena di lamenti, rancori, insoddisfazioni che portiamo come un carico sulle spalle, senza sapere dove sta davvero la sofferenza, tra depressi, euforici, isterici, schizofrenici e nevrotici.
Legami o legacci?
Lo psichiatra a cui Paolo Milone ha dato vita ci accompagna non solo nei luoghi della malattia, ma anche nei cambiamenti che il tempo ha reso indispensabili: ciò che era la norma cinquant’anni fa ora è bandito da qualsiasi CIM, gli ospedali psichiatrici non esistono più, per eseguire un TSO bisogna infilarsi nei luoghi più degradati delle città – nel caso di Genova, la città di Milone, nei vicoli stretti come budelli.
Leggiamo avidamente i frammenti, cerchiamo un suggerimento per poterci dare una risposta, per capire se era meglio prima o è meglio adesso, se tutto il passato va buttato via o se, come ci sembra, non sempre i legacci usati per fermare un paziente sono così assurdi.
Lino, Carmela, Ines popolano il Reparto 77 e alla fine li conosciamo anche noi, ma poeticamente, delicatamente, mediante il tocco discreto usato dall’autore.
Decine di vite raccontano in queste pagine il loro dolore, sono fantasmi nati dagli appunti di anni nelle cartelle cliniche, intimità rubate alle persone da un ladro gentiluomo.
Persino il linguaggio, il più semplice codice comunicativo, si inceppa, si arresta, sfugge alle regole, si trasforma in assordante silenzio a fronte dell’indicibile, di ciò che non ha parole che possano definirlo.
Quando le persone più fragili cedono alle pressioni esterne qualcosa al loro interno si rompe e impedisce il legame col mondo esterno: è allora che lo psichiatra ha il compito più delicato, quello di restituire al paziente il senso di se stesso.
A volte il fallimento prevale e la Signora entra da padrona nel reparto, dove basta una finestra aperta per un volo inarrestabile: giocare una partita con la morte non conviene, ha sempre la vittoria in pugno.
Il suicidio è infido, frutto spesso di una crisi momentanea, che non ha dato preavviso, incomprensibile a chi resta, tragicamente incomprensibile a chi vi sopravvive.
Diventa allora lecita la contenzione? Se i legacci non sono punizione ma salvezza vanno demonizzati? In psichiatria la ragione e il cuore non possono comprendere e placare tutto, a volte sono i legacci che servono a riunire frammenti spezzati, a mettere insieme corpo e mente, a riunificare la persona, a fare di tanti pezzi un’unità.
“La poesia non frequenta la Psichiatria, si ferma sulla soglia”.
“La parole è impotente in Psichiatria. La parola è paglia”.
Eppure, dopo i tanti anni trascorsi in Psichiatria il dottor Paolo Milone ha trovato straordinarie parole per creare poesia in tante pagine del suo libro, da leggere per capire, stupirsi e commuoversi a fronte di chi sa farsi carico del dolore degli altri.
TITOLO : L’arte di legare le persone
EDITORE : Einaudi
PAGG: 196 EURO 18,50 (disponibile versione eBook euro 9,99)