Simonetta Robiony ha da poco pubblicato il suo secondo libro del 2021, “Elogio della nonna”.
Il termine elogio richiama alla mente tutta una serie di saggi che popolano la storia della letteratura e che prendono il loro spunto iniziale proprio da un discorso o scritto più o meno solenne in cui si esaltano i meriti o le virtù di una persona (Treccani).
Gli argomenti su cui gli scrittori si sono sbizzarriti sono i più eterogenei possibile: dall’”Elogio della follia” in cui Erasmo da Rotterdam, agli albori del XVI secolo, chiarisce come essa sia insita naturalmente negli esseri umani e sia utile e necessaria per il raggiungimento della felicità, all’” Elogio dell’idiozia” di Riccardo Dal Ferro, in cui l’idiozia viene vista come forza positiva, capace di garantire le grandi conquiste individuali e dell’umanità intera.
Se l’”Elogio della lentezza” di Lamberto Maffei è un invito a scoprire i vantaggi di una civiltà dedita alla riflessività e al pensiero lento, l’”Elogio del ripetente” di Eraldo Affinati riflette sul ruolo ricoperto da colui che fallisce, cercando di capire cosa non ha funzionato e perché.
Non c’è che da scegliere il saggio preferito, senza scordare il virtuosismo barocco insito nell’elogio della rosa di Giambattista Marino o l’”Elogio dell’ombra” di Jorge Luis Borges, per finire con l'”Elogio dello zero” di Ennio Peres.
Il senso dell’elogio nelle pagine di Simonetta Robiony
Per Simonetta Robiony l’elogio rappresenta il mezzo per dare nuova vita alla figura della nonna, una donna capace di anticipare il senso dell’indipendenza femminile e di incarnarlo in un mondo in cui il maschilismo era la cifra dominante.
L’elogio diventa quindi sinonimo di grande ammirazione e rispetto, si incarna in un travalicare i propri intimi e personali ricordi per dare a gesti e pensieri altrui un respiro più ampio, di exemplum.
Questa specifica nonna è una delle poche capaci di sovvertire, nella sua epoca, il finale di Cappuccetto Rosso, mettendo alle corde il lupo, l’uomo potente e prepotente, e trasformandosi in una eroina vincente che non ha certo bisogno di un cacciatore per salvarsi, sapendolo fare benissimo da sola.
Conoscendo il ruolo rivestito oggi dalla nipote vien da pensare che abbia ereditato dalla nonna (sebbene lei dica di non assomigliarle affatto) la forza e la caparbietà nel lottare a favore della donna, della sua indipendenza e affermazione, del suo orgoglio di individuo e del suo rifiuto di identificarsi in modelli che popolano solo l’immaginario maschile.
Da più di dieci anni è legata al movimento Se non ora quando, frutto della indignazione nei confronti di comportamenti pubblici e privati dei politici del tempo che ledevano fortemente la dignità della donna: da questa esperienza è nato anche un libro scritto con Rita Cavallari, con titolo omonimo.
Storia di una nonna speciale
Nel suo saggio Simonetta Robiony ripercorre la storia della sua famiglia, per fermare poi la sua attenzione più a lungo sulla nonna materna, da lei frequentata a lungo.
I luoghi in cui si sviluppano le vicende di questa famiglia, non più felice o infelice di tante altre con tutti i suoi intrighi, si allontanano di poco da Napoli, città d’origine, poi sostituita dall’autrice da Roma, ma rimasta sempre nel cuore.
Nonna Maria o nonna Marì stupisce sin dall’inizio: nessun riferimento all’iconografia classica del personaggio, niente abiti neri, grembiuli o capelli raccolti in una crocchia, ma una donna libera, elegante, colta, fumatrice e capace di affrontare conflitti interiori, pubblici ed epocali con la stessa efficace razionalità.
Signora della buona borghesia napoletana, era conscia dei propri privilegi a cui non intendeva rinunciare, ma aveva una visione ampia della questione femminile, tanto da insegnare a leggere e scrivere alle domestiche al suo servizio, ritenendo fondamentale l’acculturarsi per potersi emancipare.
Non c’era bisogno che inventasse favole da raccontare a Simonetta, nipote molto amata, era sufficiente raccontare la sua vita, con tutti i suoi alti e bassi, in tutti i suoi particolari, conservati da una memoria ferrea.
Circondata dal benessere e dalla ricchezza, aveva sposato per ragionamento e non per amore un uomo che potesse garantirle di proseguire sulla medesima strada, un uomo che ella avrebbe comunque poi accudito con cura negli ultimi vent’anni della sua vita, caratterizzati negativamente dal progredire di una malattia che lo aveva minato nel corpo e nella mente.
Madre di tre figli aveva vissuto la sua maternità come le sue condizioni sociali le permettevano, dandoli a balia e non allattandoli, potendo quindi continuare la sua vita agiata senza difficoltà.
Difficile imbrigliare una donna come nonna Maria, autonoma, intraprendente, audace, attenta a ritagliarsi spazi personali che le garantivano la possibilità di uscire spesso di casa, di incontrarsi con le amiche, di andare a teatro o ad altri spettacoli, sempre dotata di un guardaroba alla moda reso possibile dalla disponibilità economica.
Eppure questa donna, figlia ancora del XIX secolo, dopo aver attraversato indenne un primo conflitto mondiale e un’epidemia drammatica come la Spagnola, a seguito del secondo conflitto mondiale aveva perso quasi tutto, riducendosi a vivere in una sola stanza a casa di parenti con tutta la famiglia, o nella propria vecchia casa semidistrutta a causa dell’accamparsi in essa delle truppe americane.
Non più mobili di pregio ma finestre rattoppate con fogli di giornale, pavimenti rotti dai quali fuoriuscivano scarafaggi, lavandini con tubazioni abitate da lumaconi striscianti.
Simonetta Robiony ricorda come la nonna avesse fatto sotterrare in campagna fuori Napoli i suoi servizi pregiati, i mobili e addirittura un frigorifero, che mal sopportò l’umidità del terreno: ma quando fu necessario, perché soldi non ce n’erano più, questa donna caparbia decise di vendere i suoi gioielli all’insaputa della famiglia, per poterla sfamare.
La nonna da lei conosciuta non è dunque stata quella ricca, con quattro domestici a disposizione, vestiti per ogni occasione, vacanze in montagna e amicizie altolocate: “la nonna che ho conosciuto io era una donna senza un soldo, decaduta ma non arresa” che nel 1948 attendeva speranzosa i soldi promessi dallo Stato per la ricostruzione post bellica.
Questa donna straordinaria, che anche di fronte al pensiero della morte aveva mostrato la sua originalità dicendo alla famiglia di non indossare il lutto ma di portarlo nel cuore, non negava di aver avuto parenti ladri o imbroglioni, per lei la verità era una e una sola, e non andava a scalfire la bellezza del suo personaggio.
Dalle parole della nipote, da cui traspare non solo ammirazione ma anche profondo affetto, emerge il motivo per cui questa donna sia stata capace di trasformare la sua vita in un romanzo, forse anche in un’opera d’arte, tanto da meritarsi davvero un elogio postumo, simbolo vivente delle tre parole che accompagnano il titolo del libro: solidità, solidarietà ed emancipazione.
TITOLO : Elogio della nonna
EDITORE : Fefè
PAGG. 140 EURO 13,00