Ha un nome complicato: malattia tromboembolica venosa o TEV e indica un problema che molti conoscono: la formazione di un trombo, cioè un coagulo di sangue che ostruisce una vena profonda (nella maggior parte dei casi agli arti inferiori) e che, in certi casi, si stacca e arriva ai polmoni, provocando un’embolia. La TEV non va sottovalutata né trascurata, perché può avere conseguenze molto serie per la salute ed è più diffusa di quanto si creda: solo in Italia ci sono circa 50 mila nuovi casi all’anno.
Questa malattia, che la maggior parte delle persone conosce come trombosi venosa, è tipicamente legata all’età avanzata, ma non risparmia le persone giovani e, molto spesso, è una insidiosa complicanza che si verifica durante i ricoveri in ospedale, sia per gli interventi chirurgici sia per le malattie serie che impediscono il movimento per lungo tempo.
La malattia tromboembolica venosa però si può prevenire in modo efficace (prevenirla è molto più facile che curarla).
La malattia tromboembolica venosa. Di che cosa si tratta
La TEV è una delle malattie più diffuse che colpiscono il sistema circolatorio. In realtà con TEV si indicano due condizioni specifiche di rischio: la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare.
1)La trombosi venosa profonda è provocata da un coagulo di sangue che si forma all’interno di una vena del circolo profondo, nelle gambe o nelle braccia (è più frequente negli arti inferiori). Questo coagulo di sangue ostruisce (in parte o del tutto) la vena e il flusso sanguigno. E’ quella che una volta si chiamava “flebite” o “tromboflebite”. La trombosi venosa profonda si manifesta in molti casi (ma non sempre) con dolore all’arto coinvolto, gonfiore e arrossamento della parte interessata.
2) L’embolia polmonare è spesso una conseguenza diretta della trombosi venosa profonda: si verifica quando un frammento del coagulo di sangue si stacca e finisce in un vaso sanguigno dei polmoni.
Perché si forma il trombo
La formazione di un trombo in una vena profonda può essere dovuto a diversi fattori. Tutto ciò che impedisce o rende più difficile la normale circolazione del sangue o la coagulazione del sangue può provocare una trombosi.
In particolare, ci sono alcune situazioni a rischio come:
- l’immobilità prolungata, in genere dovuta alla necessità di stare sdraiati a letto per diversi giorni (per una malattia o per un intervento chirurgico) senza alzarsi. L’immobilità può anche essere dovuta alla presenza di un gesso (per una gamba rotta) oppure per un lungo viaggio in aereo, che costringe a stare seduti per molte ore. Quando si rimane molto a lungo fermi con le gambe i muscoli dei polpacci non si contraggono. Normalmente questi muscoli funzionano da “pompa”, cioè spingono verso in alto il sangue durante il movimento. L’assenza di questo stimolo favorisce il ristagno del sangue e l’eventuale formazione di un coagulo in una vena. Lo stesso vale per chi rimane a lungo disteso in un letto, per una degenza o una lunga malattia, senza alzarsi.
- Le malattie della coagulazione, che possono essere ereditarie (trombofilia) oppure causate da altre malattie. Sono situazioni in cui il sangue coagula più facilmente. A volte – come nel caso della trombofilia – non si sa nemmeno di averla, fino a quando la presenza di altri fattori di rischio porta a una trombosi. Tra le malattie acquisite, invece, il tumore rappresenta sicuramente uno dei maggiori fattori di rischio di trombosi venosa.
- Le lesioni alla parete delle vene causate da interventi chirurgici o da traumi. Queste lesioni provocano un’immediata coagulazione del sangue allo scopo di riparare i “danni” ai vasi sanguigni, ma a volte il risultato è la formazione di coaguli che ostruiscono le vene. Inoltre in queste situazioni le persone hanno spesso problemi di mobilità, il che aumenta ulteriormente il rischio di formazione di trombi.
- La gravidanza, l’uso della pillola anticoncezionale e della terapia ormonale sostitutiva. Tutti fattori di rischio femminili, ovviamente, che possono aumentare le probabilità che si formi un trombo. In queste situazioni la coagulazione del sangue è più attiva per l’effetto ormonale, e nelle donne già predisposte (per esempio quelle che soffrono di disturbi ereditari di coagulazione) questo può determinare la formazione di un trombo. In gravidanza poi, la pressione all’interno delle vene del bacino e delle gambe aumenta per la presenza del feto causando un rallentamento del flusso sanguigno nelle vene.
- L’insufficienza cardiaca. E’ un fattore di rischio importante perché se il cuore non “lavora bene”, se non pompa il sangue nell’organismo con la normale efficienza, aumenta la possibilità di un ristagno e quindi di formazione di un coagulo.
- Precedenti di trombosi o embolia in famiglia aumentano il rischio di essere colpiti dalla stessa malattia.
Che cosa succede quando il trombo arriva ai polmoni
In certi casi, una parte del materiale di cui è formato il trombo presente nella vena profonda si stacca (formando un embolo) e arriva a una arteria polmonare. Qui provoca l’ostruzione completa o parziale di uno o più rami della circolazione sanguigna. Questa è la condizione di embolia polmonare.
Gli emboli che arrivano ai polmoni possono essere fatti di altro materiale (liquidi, gas, grasso), ma nella grande maggioranza dei casi partono da una trombosi venosa profonda.
I sintomi della malattia tromboembolica venosa
Trombosi
Non sempre la persona si accorge di una trombosi in corso (in molti casi, non ci sono sintomi). Quando si manifesta, i segnali sono spesso:
- gonfiore all’arto colpito, quasi sempre una gamba;
- dolore simile a un crampo o a uno stiramento muscolare, che si manifesta soprattutto all’altezza del polpaccio;
- rossore della zona interessata, che diventa più calda del normale.
- Gli stessi sintomi si manifestano nelle braccia o nel collo, se il trombo si forma in un arto superiore.
- Quando si manifestano questi sintomi, bisogna sempre rivolgersi al proprio medico curante che chiederà indagini ed esami adeguati alla diagnosi.
Embolia polmonare
Si sospetta invece un’embolia polmonare quando ci sono questi segnali:
- dispnea (mancanza di fiato) improvvisa e inspiegabile;
- dolore al torace;
- svenimento improvviso (sincope);
- tosse con emissione di tracce di sangue.
- Soprattutto quando questi segnali sono associati a quelli della trombosi venosa profonda, c’è la fondata possibilità che ci sia un’embolia polmonare in corso.
- In ogni caso, in presenza di questi sintomi bisogna immediatamente andare al pronto soccorso (o chiamare il 118) e non attendere che i sintomi passino, né che peggiorino.
Come si fa diagnosi della malattia tromboembolica venosa
Per la diagnosi di trombosi venosa profonda è necessaria innanzitutto una visita medica, nella quale si valutano la presenza di fattori di rischio e i sintomi.
A seconda della condizione riscontrata durante l’esame clinico, poi, il medico può richiedere una serie di esami diagnostici. Tra questi:
- ecografia o ecocolordoppler venoso, l’esame di riferimento per la trombosi venosa profonda. Si effettua nella zona in cui si sospetta la formazione del trombo.
Il passaggio della sonda ecografica consente di vedere i vasi sanguigni, nel loro flusso venoso e arterioso. E rileva quindi l’eventuale presenza del coagulo di sangue.
- TAC o risonanza magnetica, che offrono una immagine elaborata delle vene e quindi aiutano a scoprire se si sono formati dei trombi. Si usano soprattutto quando si sospetta la presenza di trombi in sedi non sufficientemente visualizzabili dall’ecografia o quando l’ecografia non dà una risposta risolutiva.
- Esami del sangue. Alcuni esami possono essere alterati in presenza di trombosi. In questi ultimi anni si usa negli ospedali il dosaggio di una sostanza chiamata D-dimero, la cui presenza suggerisce che nel sangue la coagulazione è molto attivata e probabilmente si è formato un trombo (il D-dimero deriva dalla degradazione di una proteina che serve a formare il trombo, la fibrina). Quando i livelli di questo D-dimero sono bassi si può ritenere molto improbabile che vi sia una trombosi in atto; quando sono alti, invece, bisogna ricordare che molte altre situazioni possono esserne responsabili (come un’infezione, diverse altre malattie, un trauma, ecc..) e diventa necessario eseguire l’esame radiologico.
- Venografia: è una radiografia delle vene, mediante iniezione di un mezzo di contrasto. Ormai non é quasi più usata, perché ci sono altri esami diagnostici meno invasivi e altrettanto accurati.
La valutazione di una sospetta trombosi venosa profonda può avvenire in un ambulatorio.
La diagnosi di sospetta embolia polmonare invece richiede sempre l’accesso in Pronto Soccorso, dove vengono eseguiti diversi accertamenti. Quelli più strettamente necessari comprendono la TAC del torace o la cosiddetta scintigrafia polmonare.
Come si cura la malattia tromboembolica venosa
Quando si verifica una trombosi venosa profonda, gli obiettivi generali della cura sono:
- interrompere la crescita del trombo;
- impedire al trombo di “spostarsi”, per non rischiare che provochi un’embolia polmonare;
- prevenire la formazione di altri trombi.
Per raggiungere questi obiettivi ci si avvale nella maggior parte dei casi dei cosiddetti farmaci anticoagulanti, che diminuiscono la capacità di coagularsi del sangue. Non eliminano i trombi che si sono già formati (a questo ci penserà l’organismo stesso), ma riducono la possibilità che se ne formino di nuovi o che quelli esistenti diventino più grandi.
La cura anticoagulante prevede di solito iniezioni sottocute (o flebo in casi particolari) di eparina per alcuni giorni. Oggi la classe più utilizzata è costituita dalle cosiddette “eparine a basso peso molecolare”. E contemporaneamente si somministra un altro farmaco per bocca (per esempio il warfarin) per un periodo di 3 mesi o anche più a lungo. Le iniezioni di eparina hanno effetto immediato, mentre il farmaco per bocca ci mette alcuni giorni a diventare efficace e questo è il motivo per cui sono necessarie entrambe per alcuni giorni. Quando il farmaco per bocca raggiunge il suo pieno effetto può essere proseguito da solo.
Durante la cura anticoagulante, è necessario sottoporsi a periodici esami del sangue che servono a controllare il tempo di coagulazione e quindi l’efficacia del farmaco.
In casi seri di embolia polmonare devono essere utilizzati altri farmaci, i cosiddetti “fibrinolitici”, la cui azione è quella di sciogliere i trombi già formati per liberare rapidamente le arterie polmonari dal carico determinato dagli emboli. Si tratta di farmaci somministrati con iniezioni endovenose, usati solo nei casi molto seri perché possono provocare gravi emorragie.
In casi estremamente limitati i fibrinolitici possono essere impiegati anche per curare le trombosi venose profonde.
Infine, quando le persone non possono ricevere farmaci anticoagulanti perché ad esempio stanno contemporaneamente sanguinando (o nel caso in cui questi farmaci non siano efficaci), si può ricorrere ai cosiddetti “filtri cavali”: si tratta di un setaccio vero e proprio, che viene inserito all’interno della vena cava nell’addome partendo da una vena periferica e che impedisce “meccanicamente” che un frammento di trombo migri verso il polmone. Di fatto quindi previene l’embolia. I filtri vengono anche chiamati “ombrelli”, perché la loro forma ricorda l’intelaiatura dell’ombrello.
Alle persone con trombosi venosa profonda degli arti inferiori vengono prescritte le calze elastiche a compressione graduata da indossare sulla gamba colpita, dal piede fino al ginocchio o fino all’inguine. La compressione esercitata dalla calza dal basso verso l’alto serve a ridurre il ristagno di sangue e, quindi, le possibili conseguenze a lungo termine della trombosi come il gonfiore, il senso di pesantezza della gamba e la formazione di vene varicose.
Dopo un episodio di trombosi, si consiglia di indossarle per almeno due anni.
Consigli per prevenire la TEV
Come già accennato, la malattia tromboembolica venosa si può prevenire in modo efficace. Ci sono alcune regole di vita molto utili e anche semplici, che aiutano in generale a mantenere la circolazione del sangue in buone condizioni, a prevenire la cosiddetta “insufficienza venosa” (le vene varicose) e soprattutto diversi fattori di rischio sia per la trombosi sia per le malattie cardiovascolari in generale. Eccone alcuni:
- fare regolare attività fisica, se possibile quotidiana. Può bastare anche una passeggiata di 30 minuti al giorno;
- seguire una dieta equilibrata e sobria (per evitare l’aumento dei grassi nel sangue), consumare molti liquidi e non eccedere nel consumo di alcolici. Obesità, ipertensione, ipercolesterolemia sono tutti fattori di rischio per la trombosi;
- durante la giornata non stare mai seduti per lunghe ore, interrompere le sedute prolungate alzandosi anche solo qualche minuto e compiendo qualche passo. Lo stesso vale se si guida (fare pause frequenti per sgranchirsi le gambe) e, soprattutto, se si vola per lunghe ore. Se possibile, fare anche esercizi fisici per gli arti inferiori;
- evitare il vizio del fumo;
- in presenza di fattori di rischio, chiedere consiglio al medico e seguire le sue indicazioni in modo molto scrupoloso, sull’uso di calze a compressione graduata e eventuale cura di farmaci anticoagulanti.
- A parte le regole di vita, in presenza di alcune situazioni a rischio sicuramente aumentato di tromboembolismo venoso, come quando ci si sottopone ad un intervento chirurgico o si deve rimanere a lungo a letto per una malattia acuta (per esempio una polmonite, uno scompenso cardiaco). In questi casi sarà necessario sottoporsi a un trattamento preventivo con farmaci anticoagulanti. E oltre a questo, alzarsi dal letto e muoversi il prima possibile è fondamentale: prima ci si alza e minori sono i rischi di una trombosi.