Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte. Un progetto museale dedicato alle persone con Alzheimer e a chi se ne prende cura. Abbiamo scoperto questo progetto, di natura sperimentale e unico nel suo genere: sappiamo che il 2 febbraio 2017 a partire dalle ore 16, presso la sala conferenze della Galleria d’arte moderna di Palermo, saranno presentati gli esiti e le metodologie applicate in tale ambito.
Abbiamo osservato bene le modalità di intervento, nei dettagli organizzativi del progetto, (nato dalla collaborazione di Civita Sicilia con il Centro Uva numero 6 dell’Aoup “Paolo Giaccone” Policlinico di Palermo, dipartimento di Medicina clinica e delle patologie emergenti, Uoc di Geriatria e lungodegenza, il cui direttore è il professor Mario Barbagallo, e l’Associazione lotta malattia Alzheimer). Le abbiamo rese qui, in questo testo a più voci.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: parla l’educatrice
Roberta Priori, educatrice didattica dello staff museale di Civita Sicilia nell’ambito della Galleria d’arte moderna, modula i suoi interventi sulla base delle esigenze dettate dal livello cognitivo del paziente con cui sta parlando in quel momento, confrontandosi con i medici.
Ci spiega che alla base dell’attività svolta era stata determinata una serie di incontri, durante i quali le opere sono state selezionate per questo scopo specifico: stimolare la persona con Alzheimer.
Conoscendo a fondo la collezione, ha attuato la scelta confrontandosi con la terapeuta. Opera per opera, le due esperte si sono confrontate: le opere più efficaci per perseguire gli scopi del progetto sono state utilizzate.
Parliamo di un progetto che vede in primo piano le persone con Alzheimer. Tuttavia esso è stato pensato anche per i caregiver, operatori Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) e familiari. Di fatto, l’assistenza su persone con simili patologie è logorante e, come spiega l’educatrice, il progetto è un modo per uscire dalla quotidianità. I caregiver aiutano il malato di Alzheimer a interagire. Queste le parole chiave dell’educatrice: “lavoro nell’ambito della galleria e il mio scopo è far star tutti dentro, e bene”.
Un’opera sapiente, quella di orchestrare ogni contributo. Tutto nell’ambito di un progetto più ampio: far star bene i soggetti. Ogni domanda, posta nel contesto dell’osservazione delle opere d’arte, è mirata. Molto effetto ha avuto sulle persone protagoniste del laboratorio il paesaggio siciliano, a loro congeniale, considerato familiare: è stato chiesto loro che cosa li colpiva dell’immagine tipica. Le domande poste ai soggetti, mentre si attua il progetto, non devono essere vaghe.
I contributi da armonizzare sono molti: medici e terapeuti coinvolti nel progetto hanno fornito elementi indispensabili.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: raggiungere il benessere
L’intento generale è quello di aprire a tutti il più possibile il museo e renderlo uno spazio tale da permettere di raggiungere il benessere. Il benessere, in tal modo, diventa raggiungibile. Così si esprime l’educatrice: “Stiamo lavorando su tanti fronti. Un altro progetto riguarda la lettura tattile delle opere per non vedenti, che possono di fatto toccare le sculture, per loro natura adatte al procedimento: l’attività, disponibile per non vedenti e associazioni, riguarda anche la formazione per l’accompagnamento. Per sensibilizzare all’accessibiltà museale sono proposte visite per vedenti, non vedenti e ipovedenti insieme: i vedenti vengono bendati.
Esistono percorsi per non udenti e per l’autismo, dedicati a neuroscienze e arte. L’obiettivo è rendere il museo uno spazio per tutti. Abbiamo contattato l’Unità valutativa Alzheimer del Policlinico, che come appare chiaro ha un approccio di livello universitario legato alla ricerca e partendo dalla collezione abbiamo posto in essere percorsi museali, seguiti dai laboratori”.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: la collezione e i laboratori
L’operazione ha riguardato il patrimonio di dipinti e sculture della Galleria di arte moderna, che abbraccia l’800 e il ‘900. Così Roberta Priori: “L’allestimento aiuta: il museo non segue il mero criterio cronologico, ma è concepito per temi”.
Come detto, i temi della sperimentazione sono stati scelti a partire dalle collezioni. Sono stati al centro dell’attenzione opere dei paesaggisti, come Francesco Lojacono (Palermo, 16 maggio 1838 – Palermo, 28 febbraio 1915) e ritratti. “Si lavora sulle suggestioni, al fine di potenziarle: abbiamo lavorato cercando di stimolare i residui delle aree che di fatto sono permeabili allo stimolo.
Si è trattato di sei moduli, per sei percorsi fruiti: “Il paesaggio interiore”, “Ritratti familiari”, “Auto-ritratto”, “Corpi”, “La vita quotidiana: oggetti e immagini”, “Lo spazio urbano”. Un progetto a livello sperimentale. Un gruppo, per esempio una residenza per anziani, può decidere di seguire tutti gli incontri, oppure selezionarne alcuni sulla base delle sue esigenze. Dopo l’accoglienza, il percorso incomincia.
“Si parla insieme delle opere selezionate: si guardano insieme, si stimola la conversazione. I pazienti che hanno ancora il dono della parola raccontano il paesaggio, poi si cerca di stimolarli su altri paesaggi. Si stimolano gli ambiti emozionali che rimangono più vivi”.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: full immersion nel paesaggio siciliano
“Il primo percorso, relativo al Paesaggio interiore, prevede soprattutto paesaggi siciliani.
Il malato di Alzheimer può rendere partecipe l’assemblea di ulteriori paesaggi, con sensazioni e suggestioni a essi legate. Il soggetto partecipa: è spesso molto depresso, ha difficoltà a interagire. Attraverso l’opera d’arte ha una sua libertà. Ciò viene fuori, in seguito, anche in laboratorio.
In laboratorio abbiamo scelto diverse tecniche. Per il paesaggio interiore si tratta di tempere e pittura. Le tecniche proprie di ogni laboratorio sono tantissime: l’argilla si utilizza quando si tratta di focalizzare il corpo. La Galleria ha spazi comuni attrezzati che servono interamente allo scopo.
La Galleria con il suo staff cerca una trasversalità delle professionalità, la collaborazione e lo scambio tra storici dell’arte e terapisti: si tratta di professionalità lontane”.
Lo scopo è agire “Perché chi viene al museo stia bene, bambino, anziano, non vedente, persona con Alzheimer. Fare in modo che questo avvenga attraverso l’incontro con le persone che con specificità si occupano di questo”.
E ancora, aggiunge l’educatrice: “Da febbraio a giugno si sono svolte le prime attività: era la prima volta che accadeva in Sicilia. Da settembre il programma è stato inserito tra le attività a disposizione del pubblico. La sperimentazione è andata bene. Promuoviamo il museo del territorio, il museo per tutti, interazione con tutte le professionalità che entrano in campo. Il museo deve essere accessibile: coinvolgere tutte le disabilità e rispondere alle esigenze del territorio, che è una realtà da ascoltare con lo strumento dell’opera d’arte”.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: l’attività dei terapisti
L’altra faccia della sperimentazione è l’attività dei terapisti. Attrae l’attenzione il lavoro di Florenza Inzerillo, che è psicologa, psicoterapeuta, psicodrammatista e musicoterapeuta.
La dottoressa Inzerillo ci spiega che lo staff dei terapisti è composto da un geriatra, il responsabile del centro Uva; ci sono poi medici specializzandi in Geriatria, e lei stessa lavora come responsabile di Psicologia. Si aggiungono tirocinanti della facoltà di psicologia e una tirocinante che a Napoli segue una scuola di arte terapia. Queste le sue parole: “Premetto che lo studio pilota, a differenza di quanto è avvenuto per altri progetti attivati nel mondo, in primis negli Stati uniti, non prevedeva l’incontro con l’opera d’arte di mild cognitive impairment, cioè soggetti con deterioramento cognitivo lieve, che comunque mantengono una capacità simbolica e narrativa. Dal nostro punto di vista, unico, abbiamo inserito sette soggetti con Alzheimer avanzato e afasia. Queste persone hanno già una loro storia relazionale ed espressiva: frequentano il mio gruppo di musicoterapia, sono già stati sottoposti stimolazione sensoriale, creando la relazione attraverso una modalità non verbale. Tutte le arti terapie funzionano attivando alcune aree cerebrali, che sono dotate di neuroni specchio: nel caso di specie, grazie alle immagini proprie delle opere d’arte. E’ ben accetto tutto quello che stimola zone come ippocampo, amigdala, ovvero il cosiddetto cervello arcaico, deputato all’affettività e alla motivazione: tutte le strutture cerebrali che regolano la sensorialità. E’ proprio a questo livello che sono presenti i neuroni specchio, che rispondono più facilmente all’attivazione neuronale. Gli stimoli possono riguardare, per esempio, l’ascolto sonoro di un brano o la visione di un’opera d’arte. Abbiamo scelto opere ad hoc, che si attagliano al mondo affettivo del paziente: tutto quanto attiene al bagaglio familiare a tutti i livelli. I livelli avanzati della malattia sono tali che non ci sia più la possibilità di tirar fuori il linguaggio verbale. Quando dopo la visione dell’opera d’arte si segue il laboratorio, tutto ciò si applica a un prodotto, a un oggetto, un materiale.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: facilitare il procedimento in laboratorio
Ci sono persone che facilitano il compito al soggetto con Alzheimer: accanto al paziente non c’è tanto il caregiver, quanto i tirocinanti della facoltà di psicologia, io stessa come tutor, e i medici del Policlinico, che supportano nella realizzazione del prodotto. Esiste, naturalmente, una corrispondenza del laboratorio con l’opera d’arte osservata. Si passa dalla stimolazione sensoriale alla realizzazione. Quando sono stati proposti autoritratti dei pittori era difficile che il malato di Alzheimer fornisse il proprio autoritratto, guardandosi allo specchio e mostrando il suo versante soggettivo”. Soltanto quando le persone con Alzheimer sono state poste ciascuna di fronte a un altro soggetto, del quale fare il ritratto, l’esperimento posto in essere a partire da autoritratti di pittori ha funzionato. Aggiunge Florenza Inzerillo: “E’ l’indicatore stesso della malattia: il paziente non si riconosce più, non si ritrova, non si vede. Il paziente con Alzheimer si è smarrito, ha perso se stesso. I ritratti familiari sono più semplici: una famiglia c’è sempre, nel nostro immaginario collettivo.
L’esperimento, dunque, è nuovo per la gravità dei soggetti: in Toscana il primo progetto simile ha riguardato il museo Marini Firenze, ma la gravità dei soggetti non era avanzata.
Test sono stati attuati dal punto di vista neuropsicologico, prima e dopo. In termini quantitativi non c’è stato un cambiamento, ma un dato numerico utilissimo riguarda il risultato alla Mini mental state examination, che diagnostica, per farla breve, il grado di demenza. Nei soggetti con la malattia in stadio avanzato, a distanza di 3 mesi il punteggio diminuisce. Nel nostro caso, a distanza di mesi era stato mantenuto lo stesso punteggio”.
Si è trattato di un’esperienza della durata di tre mesi, con sei incontri a 15 giorni di distanza l’uno dall’altro, per un totale di sei incontri. Gli incontri hanno interessato sette pazienti con sette accompagnatori. Il laboratorio, a livello esperienziale, ha interessato soltanto i pazienti. Lo stress che colpiva i caregiver è diminuito di conseguenza. E’ stato utile ritrovare l’antico habitat familiare.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: progetti per il futuro?
“Propongo di integrare il progetto creato dal punto di vista psicodinamico, sottoponendolo al Conservatorio di Palermo. E’ possibile ripercorrere, rinarrarsi attraverso l’ascolto di opere musicali scelte ad hoc. Si parla di musica che potrà essere fornita dagli allievi stessi del Conservatorio. Il distacco generazionale, ben lungi dal costituire un limite, è facilitante: è come se i soggetti si rivolgessero a nipoti. Quanto prima, il progetto sarà presentato al direttore del Conservatorio. Nell’ambito proprio del paesaggio, una buona partitura potrebbero essere le Quattro stagioni di Vivaldi”.
Ri-narrarsi attraverso l’opera d’arte: sarebbe possibile operare a questo livello senza conoscere la storia personale del paziente?
“Direi di no. Ogni paziente ha la sua storia e non esiste uno stimolo universale, che vada bene per tutti. La storia del singolo, riferita dai parenti, è molto importante. Bisogna conoscere i pazienti emozionalmente, per come possono reagire. Quello che fa da contenitore è la relazione.
Fa parte del mondo non verbale del soggetto con Alzheimer, che si fida e si affida. Al computer, a livello terapeutico l’opera d’arte non funziona: è la relazione in cui si è immersi, a facilitare alcuni contenuti. Il terapeuta è responsabile di un progetto. Un progetto che muove per migliorare la situazione del paziente”.