Per la prima volta, all’Ospedale Bambino Gesù, si è attuata una ricerca riguardante le differenze tra bambini autistici che sono selettivi nell’alimentazione e altri che non lo sono. Sull’argomento, è importante la percezione che ne hanno i genitori. Una volta di più, a determinare le caratteristiche di una malattia sono le opinioni di senso comune che si hanno si di essa.
Selettività alimentare
Un bambino autistico su due è selettivo nell’alimentazione. Questo dato si combina con altre caratteristiche tipiche della malattia: la ritualità, la ripetitività o l’ipersensibilità. Che cosa fanno i bambini autistici nella metà dei casi? Prestano particolare attenzione ai colori, scegliendo di mangiare soltanto cibi rossi, o verdi, o gialli. Se poi il cibo non è disposto sul piatto secondo uno schema chiaro nella loro mente, si rifiutano di nutrirsi. La selezione, in breve, si basa su forma, colore e consistenza. Questo comportamento alimentare atipico tocca il 30% di tutta la popolazione pediatrica in generale. La percentuale si incrementa, come detto, se prendiamo in considerazione i soli bambini autistici.
Uno studio specifico
Si sono adoperati in quest’ambito i ricercatori di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale pediatrico. Lo studio è stato posto in essere su 158 bambini e ragazzi tra i 3 e i 18 anni con sindrome dello spettro autistico. Le abitudini alimentari particolari riguardavano la metà del campione. I genitori, coinvolti nella problematica, sono stati coinvolti anche nella ricerca, come riporta la rivista Appetite.
Non c’è nessuna differenza
Bambini autistici selettivi e non selettivi non hanno fatto riscontrare differenze cliniche o comportamentali. Quoziente intellettivo, problemi, abilità sono risultati essere i medesimi. Se ci sono tipi di cibo che vengono rifiutati, ciò non accresce la gravità della patologia, né è determinato dalla medesima. A cambiare è l’idea della malattia che hanno i genitori, che trattano i figli in maniera diversa, perché si innalzano in loro i livelli di stress.
Parent training
Bisogna agire, quindi, proprio sui genitori: in modo da insegnare loro tecniche comportamentali, perché siano in grado di gestire meglio il pasto, diminuendo l’ansia in loro stessi.