Bambini bilingue, un tesoro da coltivare. Ecco come

Bambini bilingue, un tesoro da coltivare. Ecco come

Sanno parlare due lingue ed entrambe con la proprietà di un madrelingua o quasi. Cambiano dall’una all’altra senza problema, a seconda dell’esigenza, del contesto e della persona con cui parlano. E si esprimono nella seconda lingua in modo spontaneo e senza usare espressioni “tradotte” … Sono i bambini bilingue, persone che crescono sviluppando non una sola lingua madre ma due. Niente a che fare con l’apprendimento di una lingua straniera.

Oltre a presentare notevoli vantaggi pratici – soprattutto in una società globale e multietnica – il bilinguismo sembra avere effetti positivi sul piano dello sviluppo mentale. Non a caso, è oggetto di numerose ricerche scientifiche a livello internazionale.

Alcuni studi sul bilinguismo

I bambini bilingue ottengono migliori risultati nei test cognitivi rispetto ai coetanei che parlano una sola lingua. E’ quanto risulta, ad esempio, da uno studio svolto da ricercatori della York University, in Canada, su 104 bambini di 6 anni sia monolingue (inglese) sia bilingue (cinese-inglese; francese-inglese e spagnolo-inglese).

I bambini sono stati sottoposti a una serie di test diversi per misurare il livello di sviluppo del loro linguaggio, la capacità di comunicazione non verbale e la capacità di controllo esecutivo su diversi esercizi non verbali che richiedevano attenzione.

In tutti e tre i campi i bambini bilingue hanno ottenuto risultati più alti. In particolare, hanno mostrato di poter passare con maggior velocità da un esercizio all’altro, cambiando senza fatica l’oggetto della propria concentrazione (quello che viene definito “task switching”). In sostanza i bambini bilingue si sono adattati con maggiore elasticità a richieste diverse di “performance intellettiva”.

Un altro studio interessante – condotto negli anni scorsi dall’Istituto Rotman di Toronto e pubblicato sulla rivista scientifica “Neurology” – ha mostrato che le persone bilingui hanno maggiori “riserve cognitive”, cioè maggior capacità del cervello di resistere ai danni provocati dal tempo e dalle malattie.

Grazie a queste riserve cognitive – secondo gli autori dello studio – il bilinguismo esercitato quotidianamente implica un lavoro mentale che può ritardare l’arrivo dei sintomi dell’Alzheimer fino a 5 anni.

Questa ricerca è stata condotta dal 2002 al 2005 su 184 persone anziane con principi di demenza: 91 parlavano una sola lingua, 93 erano bilingui. L’insorgenza dell’Alzheimer è arrivata a 71, 4 anni per il primo gruppo e a 75,5 anni per il secondo.

Bambini bilingue, cosa cambia in base all’età

Il bilinguismo può essere classificato a seconda dell’età di apprendimento della seconda lingua e a seconda della padronanza del linguaggio.

In base all’età si parla di:

– bilinguismo infantile simultaneo, quando le due lingue vengono introdotte entrambe fin dalla nascita;

– bilinguismo infantile consecutivo, quando la seconda lingua viene introdotta dopo la prima ed entro i 10 anni di vita del bambino;

– bilinguismo tardivo, quando l’introduzione della seconda lingua avviene durante l’adolescenza o più tardi.

L’età in cui un bambino inizia a sviluppare la seconda lingua è molto importante: per il livello di padronanza che può raggiungere e per l’impatto che questa esperienza ha sullo sviluppo delle sue capacità cognitive.

Bambini bilingue, quanto conta la conoscenza

A seconda della padronanza della lingua (comprensione, scritto, parlato, lettura) si parla di:

– bilinguismo bilanciato, quando si conoscono entrambe le lingue allo stesso modo (è un po’ una finzione, un perfetto bilanciato non esiste);

– bilinguismo dominante, quando una delle due lingue è dominante mentre l’altra si conosce un po’ meno bene (la situazione più comune);

– bilinguismo sbilanciato, quando la lingua madre diventa secondaria mentre la lingua appresa in un secondo tempo diventa dominante e la sola in cui si sviluppano tutte le competenze (la condizione comune a molte persone immigrate);

– bilinguismo passivo, quando si conosce una lingua completamente e con perfetta padronanza mentre la seconda lingua viene capita (ma non usata “attivamente”).

Come si diventa bambini bilingue

Ci sono diversi modi per introdurre in famiglia una seconda lingua e avviare dunque i bambini al bilinguismo. Non esiste un metodo “perfetto” e valido in ogni circostanza; ogni tecnica ha i suoi vantaggi e limiti e deve sempre essere integrata e adattata all’esperienza e alle condizioni specifiche.

Le tecniche più comuni sono due: OPOL e lingua minoritaria a casa.

OPOL

OPOL (One persone, one language), ossia una persona una lingua. Nell’ambito di una famiglia significa che un genitore parlerà con i figli sempre e solo una delle due lingue (la propria lingua madre). E’ il metodo più diffuso e ha il vantaggio di ridurre i rischi di confusione per il bambino (che sa esattamente cosa aspettarsi da ciascun genitore, in termini di comunicazione verbale).

Bisogna tener conto, però, che entrambe le lingue devono essere parlare per un tempo sufficiente, tutti i giorni, in casa. E questo può risultare difficile se uno dei due genitori è fuori per lavoro più a lungo dell’altro.

Lingua minoritaria a casa

Lingua minoritaria a casa significa che, in casa, tutti parlano la lingua secondaria (quindi, se si tratta dell’Italia, una seconda lingua a parte l’italiano). La lingua dominante viene lasciata al contesto esterno (la scuola, gli amici, la televisione eccetera).

Si tratta di un metodo efficace. Il suo limite è che – prima di arrivare all’età della scuola – il bambino può apprendere la lingua dominante con più lentezza rispetto ai coetanei.

Questa differenza si colma in modo naturale e in breve tempo: non appena il piccolo inizia la scuola elementare, raggiungerà molto presto la padronanza della lingua (adeguata alla sua età), mettendosi in pari con i compagni.

Consigli pratici per aiutare i bambini bilingue

1) Approfittare di ogni occasione

Se in famiglia c’è una possibilità di esporre i bambini a due lingue, bisogna approfittarne: questo vale in tutti i casi, anche se uno dei genitori parla una lingua che si parla poco nel mondo (che sia il finlandese, il romeno o lo swahili…) oppure una lingua minoritaria (che si parla cioè solo in alcune regioni).

Spesso le famiglie non colgono questa occasione perché non giudicano importante trasmettere ai figli la conoscenza di una lingua che non è diffusa e “prestigiosa” quanto l’inglese o il francese.

Il bilinguismo invece è sempre vantaggioso per i bambini e per il loro sviluppo cognitivo, al di là dell’importanza o dell’utilità pratica della seconda lingua.

2) Esposizione equilibrata

Per diventare bilingue i bambini devono sentire parlare abbastanza entrambe le lingue, più o meno in egual misura. Devono ricevere una quantità adeguata di stimoli in diverse occasioni e per un tempo ragionevole ogni giorno.

Questo realisticamente non è sempre facile: i figli passano molto spesso più tempo con un genitore – nella maggioranza dei casi, la madre – mentre l’altro rimane tutto il giorno fuori casa.

In una situazione del genere è utile trovare altre soluzioni per far ascoltare ai figli la seconda lingua (amici, la baby sitter, cartoni animati in lingua) per compensare la parziale mancanza di conversazione in casa.

3) Non rinunciare

Se la situazione sopra descritta non è possibile, non rinunciare comunque. Il poco è sempre meglio del niente: introdurre un bambino a una seconda lingua – anche se parlata in poche occasioni – può essere molto positivo per il suo sviluppo, attiva la sua attenzione perché i bambini hanno una facilità naturale per le lingue.

Queste esposizione durante l’infanzia, anche se modesta, lo predispone a un apprendimento “passivo” (quando si capisce perfettamente una lingua, ma non la si parla altrettanto bene o per niente) che alla prima occasione diventerà “attivo”.

4) Scegliere un metodo e seguirlo con costanza

Ogni famiglia deve scegliere la sua strada per introdurre i bambini al bilinguismo, scegliere le regole più adeguate ai figli e alle proprie esigenze. L’importante è che, una volta introdotto nella vita familiare, questo sistema venga rispettato.

I bambini fanno molto conto sulle abitudini per apprendere. E una volta capito che la mamma o il papà parlano in quella determinata lingua, si aspettano che questo avvenga sempre.

5) Non mescolare

Altro consiglio utile è quello di non mescolare le lingue parlate, se possibile. Se un genitore parla inglese e l’altro italiano, il bambino sa esattamente distinguere tra le due fonti. Non mescolare le lingue lo aiuta a formare le proprie abitudini linguistiche.

6) Cominciare prima possibile

Se c’è l’occasione, è bene iniziare a parlare entrambe le lingue in casa non appena nascono. L’esposizione a due lingue ha un’influenza positiva (anche nel caso delle lingue minoritarie) sullo sviluppo del cervello. E le ricerche hanno dimostrato che – molto prima di iniziare a parlare – i bambini sanno distinguere tra una lingua e l’altra.

Bambini bilingue: ecco gli errori da evitare

Ecco altri consigli pratici, su alcuni “errori” e passi falsi che si possono evitare.

Non cercare di insegnare

Molto spesso i genitori tendono a voler “insegnare” ai figli, anche molto piccoli, le due lingue parlate in casa. Ma non serve. I bambini non hanno bisogno di lezioni, ma di sentire le due lingue parlate in situazioni di gioco e contesti coinvolgenti. Devono “aver voglia” di capire e parlare quelle due lingue e questo avviene se sono messi in contesti che danno loro le giuste motivazioni.

Non temere gli errori

I genitori che decidono di crescere i figli bilingue spesso non sono tranquilli: si chiedono se fanno abbastanza, se stanno commettendo errori… In sostanza: non sono spontanei.

Questo può avere un involontario effetto negativo, perché i bambini hanno bisogno di sentir parlare le lingue in modo naturale. Il consiglio è dunque quello di rilassarsi, anche perché se il bambino percepisce un’ansia del genitore in merito a una lingua può sviluppare un rifiuto a parlarla.

Non rinunciare, anche se non si è madrelingua

E’ una situazione molto più frequente di prima: ci sono tante famiglie in cui uno dei genitori parla quasi perfettamente una lingua (per esempio l’inglese), ma non è madrelingua.

Se questo genitore si sente a suo agio e in grado di usare quella lingua non sua con il bambino, è giusto che lo faccia.

Non bisogna preoccuparsi troppo dell’accento non perfetto o di eventuali errori: i bambini sono degli ottimi “regolarizzatori” della lingua, soprattutto se la sentono parlare da più persone e non soltanto da una persona non-nativa.

I pregiudizi da sfatare

Il bilinguismo non provoca nel bambino alcuna confusione. Questo è uno dei timori molto diffusi e che spaventa di più i genitori, ma è anche uno dei “pregiudizi” più facile da smentire.

Nessuna ricerca o studio sugli effetti del bilinguismo (e ce ne sono davvero molti) ha evidenziato alcun problema di apprendimento o di confusione del linguaggio.

Semmai – oltre al fatto di rafforzare le capacità cognitive del bambino – alcuni studi hanno mostrato che introdurre un bambino alla lettura in una lingua lo agevola anche nella lettura nell’altra; e che i bambini distinguono perfettamente le due lingue, molto prima di iniziare a parlare.

Le difficoltà da superare

Uno dei “rischi” reali, invece, è che un bambino cominci a parlare un po’ più tardi – in entrambe le lingue – rispetto ai coetanei. Questo si è riscontrato più volte. Il bambino capisce entrambe le lingue, ma all’inizio non le parla con la stessa scioltezza dei bambini monolingue. E’ una situazione che può creare molta preoccupazione nei genitori e anche negli insegnanti dell’asilo, quando non sono abituati ad avere a che fare con bambini bilingue.

Talvolta, in questi casi, i genitori si rivolgono al medico e il medico li indirizza a un logopedista: e il logopedista, se non ha esperienza di bilinguismo, può consigliare ai genitori di eliminare una delle due lingue. In realtà, nessuno studio apposito ha mai trovato alcuna prova che il bilinguismo accentui o favorisca problemi di linguaggio.

Se il ritardo a parlare è legato al bilinguismo in sé – (e un logopedista che ha esperienza con i bilingue lo capisce) – si risolverà spontaneamente negli ultimi anni di asilo o nel primo anno di scuola. Quando il bambino inizierà a parlare, recupererà pienamente.

Un altro limite reale è che i bambini bilingue, nei primi anni, sviluppano un vocabolario più limitato rispetto ai coetanei che ne parlano solo una. Contando però il numero totale delle parole (sommando le due lingue) hanno un vocabolario complessivo più ampio. In ogni caso questa differenza scompare – almeno per la lingua prevalente (quella usata a scuola e nel contesto sociale) – nei primi anni delle elementari.

Il bambino bilingue, infine, può impiegare più tempo a trovare il termine appropriato per definire un oggetto e durante la prima infanzia può avere frequenti “interferenze” (per esempio, usare un vocabolo francese mentre parla italiano). Questo può creare disagi se a scuola ci sono insegnanti che trattano il bambino come se fosse monolingue e non capiscono che queste incertezze sono solo tappe di un percorso di apprendimento di un bambino bilingue.

Per saperne di più

Per avere informazioni complete e approfondite sul bilinguismo e dei riferimenti a gruppi e siti attivi nei vari Paesi europei (tra cui l’Italia), si può consultare il portale di Bilingualism Matters, un servizio di informazione creato da alcuni ricercatori dell’Università di Edimburgo, in Scozia: http://www.bilingualism-matters.org.uk/. Il servizio è disponibile anche in Italia.

 

 

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