Sono 170, secondo la Croce Rossa Italiana, i migranti che si trovano da una settimana sulla scogliera a Ponte San Ludovico, a pochi passi dal confine italo-francese. I centri sociali manifestano, la tensione alla frontiera è palpabile: ad aggravare la situazione le parole pronunciate da un consigliere municipale del Front National di Le Pen Jean Jaques Guithal, che ha sollecitato la fine del trattato di Schengen, e il botta e risposta tra la presidente della Camera – secondo la quale l’immigrazione non è una vera emergenza per il nostro Paese – e il leader della Lega, Matteo Salvini: la Boldrini “è da ricoverare”! A fare da paciere il capo dello Stato, Mattarella: «Il nostro Paese continuerà a fare quanto necessario per assicurare ai rifugiati e a coloro che chiedono asilo un trattamento rispettoso dei diritti fondamentali e della dignità umana, con l’auspicabilmente crescente contributo dell’Unione Europea e della comunità internazionale», intervenendo sulla questione migranti in un messaggio inviato in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato.
I migranti di oggi non sono gli stessi di 20 anni fa
La realtà vera, al di là delle belle parole e delle polemiche, però, sono quelle 170 persone che bivaccano sulla spiaggia di Ventimiglia, contemplando, sotto il sole cocente e alle prese con un ramadan che non spegne la loro ostinazione, cartine di un’Europa che neppure conoscono ma che per loro è l’unica “terra promessa”, una terra di cui l’Italia costituisce solo la porta d’ingresso, non la meta ma solo una tappa del viaggio. Già, impossibile negare quanto e come il fenomeno migratorio sia cambiato nell’ultimo ventennio: abituati ad ascoltare tg e a leggere giornali che riferiscono di una Sicilia allo stremo, di centri d’accoglienza che non riescono più a contenere una marea umana che sembra non volersi arrestare, di regioni che rifiutano di prendere parte alla gestione dell’emergenza, quasi dimentichiamo che i migranti di oggi non sono gli stessi – 27mila –che il 7 marzo 1991, a bordo di navi mercantili e di imbarcazioni di ogni tipo, arrivano nel porto di Brindisi, in fuga dalla crisi economica e dalla dittatura comunista in Albania, da nuovi assetti politici e territoriali in divenire. L’Italia, allora, è completamente impreparata, con una regione – la Puglia – costretta a far fronte, spesso con mezzi inizialmente improvvisati, a migliaia di boat people albanesi, tenendo a battesimo gli odierni centri di accoglienza – uno tra tutti il “Don Tonino Bello” di Otranto. Fino al 2001 è la regione italiana più interessata dagli sbarchi in un contesto in cui i provvedimenti dell’epoca, la Legge Martelli e la Bossi-Fini, cercano di colmare, con molto ritardo e non completamente, i silenzi dello Stato centrale.
I migranti sono in crescita
La storia ci parla di un’integrazione difficile, che sfocia spesso nel lavoro nero e nella prostituzione, nello spaccio, nell’ormai tristemente noto “racket del pomodoro”. Eppure, nonostante la crisi, le percentuali di migranti sono in costante crescita: alla fine del 2013, gli stranieri residenti nel Paese sono ufficialmente 4.922.085 su una popolazione complessiva di 60.782.668 unità, con un aumento rispetto all’anno precedente di 164.170 unità (+3,7%). Di questi solo 5.364.000 persone sono in posizione regolare. Le donne sono il 52,7% del totale, i minori oltre 1 milione (925.569 quelli con cittadinanza non comunitaria).
L’Italia è solo una porta d’ingresso
Negli anni, la disoccupazione che sale, discriminazione e precarietà crescenti, fanno sì che l’Italia inizi ad apparire come un luogo sempre meno appetibile per i migranti – oggi solo un terzo di coloro che arrivano da noi decide di restarci -, ma pur sempre in grado di essere quel tunnel di passaggio imprescindibile verso gli odierni paradisi del benessere europeo: Scandinavia, Germania, Regno Unito. I flussi continuano senza sosta, e l’immigrazione diventa una vera e propria emergenza umanitaria: il 3 ottobre 2013 è data che segna il punto di non ritorno. Le 300 persone che muoiono a Lampedusa fanno capire che non si può più aspettare e il Governo Italiano, con l’operazione Mare Nostrum, rafforza il dispositivo di sorveglianza della sicurezza delle frontiere marittime, anche attraverso una maggiore assistenza umanitaria. Con il passaggio da Mare Nostrum a Triton anche l’Europa inizia a giocare la sua parte: ma il solo pattugliamento delle cose si rivela bene presto insufficiente, oltre che insensibile alla componente umanitaria.
No agli egoismi
Allo stato attuale, quel che è certo è che il braccio di ferro tra Roma e Parigi mette ancor più in evidenza la matrice comunitaria del problema. Nel padiglione francese di Expo, Renzi, accogliendo il Presidente Hollande, ha chiesto all’Europa un approccio “intelligente e solidale”, nella convinzione che “ognuno deve fare ciò che gli spetta, e tutti assieme devono operare. Non c’è un fardello che un Paese deve portare. Non può essere l’Italia perché è il Paese più a sud”. La parola d’ordine è, dunque, “no egoismi”, di nessun genere, né a livello centrale né nelle realtà locali.
Maura Corrado