Perché si invecchia?
È una delle domande chiave della biologia molecolare, ma la scienza una risposta precisa ancora non l’ha fornita.
Non sappiamo se davvero non è possibile contrastare l’invecchiamento o se questo sia un fenomeno in qualche modo controllabile.
Oggi sappiamo che le cellule del nostro organismo seguono un programma di cambiamento, chiamato senescenza, che se attivato porta all’invecchiamento prima a livello cellulare e poi dell’organismo intero.
Chiarire cosa scateni questo fenomeno è una delle sfide più straordinarie del nostro tempo.
2 proteine alla base del perché si invecchia?
I ricercatori del Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino guidati dal professor Emilio Hirsch hanno aggiunto un importanter tassello alla soluzione di questo enigma grazie a una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista americana Science.
Lo studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, prende il via da precedenti risultati ottenuti nell’ambito della ricerca sul cancro e suggerisce per la prima volta che la senescenza può essere scatenata da specifici difetti della proliferazione cellulare.
La chiave di volta sembrano essere 2 proteine (PI3K-C2alpha e VPS36) sono state identificate come elementi necessari perché una cellula possa dividersi in due cellule figlie.
Quando la concentrazione di queste proteine diminuisce, le cellule si duplicano con difficoltà. In questo modo si rallentano i tempi di separazione necessaria perché le due cellule prodotte dalla duplicazione si stacchino l’una dall’altra, tanto da diventare due entità autonome.
Federico Gulluni e Lorenzo Prever, insieme al gruppo di ricerca guidato dal professor Emilio Hirsch, hanno scoperto che se il fenomeno di separazione rallenta, ma anche quando PI3K-C2alpha e VPS36 sono meno abbondanti, si scatena il programma di senescenza e le cellule entrano in un nuovo stato, tipico dell’invecchiamento.
Cataratta: segnale importante su perché si invecchia
La lente dell’occhio, ovvero il cristallino, è risultata uno dei tessuti più sensibili alla diminuzione di queste due proteine. Se ciò avviene, le cellule della lente scatenano il processo di invecchiamento causando un disturbo molto comune nell’anziano: la cataratta.
Si tratta dell’opacizzazione del cristallino, la lente che all’interno dell’occhio ci permette di mettere a fuoco le immagini e, se non viene trattata, la cataratta riduce fortemente la capacità visiva. La chirurgia offre soluzioni ottimali per risolvere il problema, ma tutt’oggi non siamo in grado di prevenire questo fenomeno, perché le cause dell’opacizzazione del cristallino non sono ancora chiare.
I dati della ricerca dell’Università di Torino aggiungono elementi volti a una più completa comprensione di questi meccanismi e indicano una via di studio mai precedentemente percorsa.
Le analogie con il mondo animale
I risultati ottenuti nascono dal connubio tra diverse esperienze di biologia cellulare e genetica e hanno coinvolto ricercatori in tutto il mondo. L’idea centrale nasce dall’osservazione di bambini, nati con una deficienza genetica di PI3K-C2alpha, che mostrano segni di invecchiamento precoce, tra cui la cataratta infantile.
L’osservazione è stata anche confermata nei Danio rerio (noti anche col nome di pesci zebra) geneticamente modificati che, sviluppando la cataratta, hanno dimostrato quanto questo meccanismo descritto per la prima volta sia radicato non solo tra gli esseri umani.
Spiegare perché si invecchia e perché ci ammaliamo
Al di là dell’ambito oculistico, la ricerca dell’Università di Torino chiarisce un processo fondamentale dell’invecchiamento che potrà avere ricadute potenziali molto più ampie.
Prima di tutto lo studio, incentrato sulla proliferazione cellulare, potrà aiutare a capire nuovi meccanismi del cancro, malattia anch’essa tipicamente associata all’invecchiamento.
“Le malattie dell’invecchiamento – espressione che comprende varie malattie, da quelle oncologiche a quelle neurodegenerative – hanno sempre alla base i meccanismi di invecchiamento cellulare”, professor Emilio Hirsch.
Ma non è tutto: le potenzialità delle nuove scoperte riguardano anche il contrasto alla pandamia.
Chiarendo il ruolo delle proteine PI3K-C2alpha e VPS36 nella separazione delle membrane cellulari, infatti, si potrebbero aggiungere nuove ipotesi di lavoro nel contrasto al COVID-19. Anche il virus infatti è in grado di riprodursi proprio grazie alle stesse proteine.