Quando finisce un amore, ma anche il tradimento di un amico, un esame non superato, la paura di perdere il lavoro e qualsiasi altro evento traumatico, provocano stati d’ansia e di stress, talvolta molto profondi. Come ci difendiamo da questi? Attraverso i meccanismi di difesa che il nostro Io mette in atto per proteggerci dal dolore e aiutarci ad affrontare la realtà. Il primo a parlare e a codificare i meccanismi di difesa fu Sigmund Freud, padre della moderna psicoanalisi. Spesso però questi sistemi di difesa naturale della nostra psiche diventano eccessivi e degenerano in vere e proprie simil-psicosi, cioè dei disturbi psicologici che per essere risolti hanno bisogno dell’aiuto dello specialista. Per questo è importante conoscerli bene per intervenire tempestivamente quando non ci sentiamo capaci di affrontare una situazione dolorosa.
Cosa sono i meccanismi di difesa
“I meccanismi di difesa sono processi psichici inconsci, spesso seguiti da una risposta di tipo comportamentale. Il primo a parlare e a codificare i meccanismi di difesa fu Sigmund Freud, padre della moderna psicoanalisi”, spiega Nicola Salvadori, psicologo clinico. “Ognuno di noi mette in atto questi meccanismi, più o meno automaticamente, per affrontare le situazioni stressanti e mediare i conflitti che nascono dallo scontro tra le nostre emozioni, le nostre norme morali e la realtà. In pratica da una parte ci sono i nostri bisogni, gli impulsi, i desideri e gli affetti, da un’altra parte le proibizioni che ci auto imponiamo e da un’altra parte ancora ci sono le condizioni della realtà. Un meccanismo di difesa entra in azione di fronte ad una situazione che genera un’angoscia eccessiva, con lo scopo principale di escludere dalla coscienza ciò che riteniamo inaccettabile e pericoloso, per noi stessi. Esistono diversi meccanismi di difesa e, raramente intervengono separatamente: nella maggior parte dei casi sono combinati tra loro per fronteggiare meglio l’evento e con diverse modalità”.
Le strategie della mente
I meccanismi di difesa che le persone utilizzano, in modo inconscio, per affrontare l’ansia e il dolore e trovare così delle modalità di sopravvivenza sono molti.
In particolare si distinguono tra forme primitive, che si ritrovano spesso nei bambini (ma anche nelle persone con forti disturbi della personalità) e secondarie, tipiche dell’adulto.
- I meccanismi primitivi
Il ritiro primitivo. La mente cerca rifugio in un altro stato di coscienza, classicamente il sonno. È un meccanismo di autodifesa che si può vedere proprio nei bambini, che si addormentano quando sono sottoposti a stimoli eccessivi o a forti tensioni.
La negazione e il diniego. Con questo meccanismo si arriva a negare la fonte delle proprie angosce. Si parla di negazione quando quello che si cerca di cancellare è solo la parte affettiva ed emotiva legata ad una certa situazione. È negazione, per esempio, quando, dopo la fine di un amore si nega a se stessi di aver mai provato realmente un sentimento per quella persona che ci ha fatto soffrire.
Si può, però, addirittura arrivare a una difesa estrema, e come tale pericolosa, con il diniego, quando cioè si arriva a negare tutta la situazione. Continuando con lo stesso esempio, quindi, si cancella non solo il sentimento verso l’altro ma addirittura il fatto di aver avuto una storia con quella persona. Un esempio comune del diniego è quello del bambino che dice “Non sono stato io” anche quando è colto sul fatto. Un altro esempio è quello in cui un individuo nega la gravità di una malattia che può riguardare se stesso oppure il coniuge, il figlio o il genitore. Ci sono dei casi in cui ad essere negata è la morte di una persona cara, come nel caso di un’anziana signora che molti mesi dopo la morte del marito conservava le stesse abitudini, ad esempio, apparecchiare la tavola per due.
La proiezione. Questo meccanismo di difesa consiste nell’attribuire ad altri o all’ambiente esterno quei sentimenti e quelle emozioni che non si riescono ad accettare. Così tutto ciò che è negativo appartiene agli altri, non è dentro di noi, e tutto ciò che è “bene” è in noi. Per esempio, in un insuccesso lavorativo, si addossano tutte le colpe al collega o al capo.
- I meccanismi secondari
La rimozione. Simile al diniego, riguarda però soprattutto i ricordi: consiste cioè nell’inconsapevole cancellazione di un ricordo, di un’esperienza che il soggetto ha vissuto come fortemente angosciante o traumatizzante. Può essere totale o parziale a seconda della propria capacità di sopportazione. È il caso per esempio in cui il soggetto che ha vissuto un forte trauma, anche un incidente stradale, non ricorda assolutamente nulla di quanto è successo.
La regressione. È un meccanismo di difesa molto diffuso. Spesso semplicemente la persona sceglie di “tornare bambino” per qualche giorno, per staccare la spina dalle tensioni. E magari si concede una vacanza o un viaggio. A volte, però, la regressione diventa un vero e proprio modo di relazionarsi con la vita: la persona rifiuta le responsabilità, lascia che siano gli altri a risolvere i problemi, così non deve affrontarli. È un po’ quello che viene definito “l’eterno Peter Pan”.
L’intellettualizzazione. Ci sono persone che reagiscono ai problemi cercando di controllare e frenare in modo razionale quei sentimenti difficili da gestire. Quindi, per non doversi trovare a vivere situazioni dolorose, le evitano a priori. Così ci sono persone, per esempio alcuni adolescenti, che spaventati dalle pulsioni sessuali, le mettono a tacere. Come il sesso, anche l’espressione artistica e l’umorismo sono spesso espressioni di sé che finiscono imbrigliati nel controllo razionale. E il rischio è quello di non godersi la vita.
La razionalizzazione. Nella celebra favola di Esopo “La volpe e l’uva”, la volpe che non riesce ad impossessarsi di un bel grappolo d’uva, rinuncia e si consola dicendo a se stessa che gli acini sono acerbi. È un esempio tipico di razionalizzazione: si trovano buone ragioni (non importa se siano reali o meno) per lenire il dispiace o il disappunto per qualcosa che ci è capitato. Per esempio, chi viene lasciato dal partner, può dire a se stesso che non era la persona giusta. E in questo senso il meccanismo di difesa è positivo, perché permette di volgere al meglio una situazione difficile e con il minimo danno. Il problema è che di fatto ogni situazione può essere razionalizzata. Così il genitore che picchia un bambino, razionalizza la propria aggressività affermando che è “per il suo bene”, circondando la propria decisione con una serie di buone possibili ragioni.
Quando finisce un amore
Facciamo un esempio pratico di come possono entrare in azione i diversi meccanismi di difesa in una situazione classica che tutti prima o poi nella vita si trovano a dover gestire, come un tradimento o l’abbandono della persona amata.
- Spesso durante la relazione tendiamo ad idealizzarla e a non vedere i suoi difetti e quindi accade che ci si identifichi con lei facendo nostri i suoi pensieri e le sue passioni. Quando la storia finisce il dolore è molto forte, spesso difficile da accettare, ecco allora che entrano in azione i meccanismi di difesa.
- “I più frequenti in queste circostanze” dichiara l’esperto “sono la rimozione, totale o parziale dei fatti accaduti durante il legame, dei momenti felici, ma anche l’isolamento dei sentimenti che abbiamo provato per la persona amata. Talvolta si arriva a negare di aver amato o anche che la storia fosse vera. Tutto ciò è molto pericoloso perché si può perdere, in parte o del tutto, il contatto con la realtà. Altre volte, ci si difende svalutando chi ci ha ferito, addossandogli tutte le colpe e attribuendogli difetti, anche falsi, e giudizi negativi. Le persone meno impulsive tendono invece a reagire razionalizzando tutto e quindi impedendosi di vivere le emozioni, passate e presenti, nel tentativo di non affrontare la realtà che, dopo un abbandono, è sicuramente molto dolorosa”.
Una difesa “a doppio taglio”
I meccanismi di difesa in quanto tali ci aiutano ad affrontare situazioni stressanti che potrebbero avere conseguenze importanti. “Basta pensare che un evento traumatico vissuto da piccoli può portare ad un blocco dello stadio evolutivo e alla somatizzazione della sofferenza attraverso balbuzie, tic nervosi o frequenti malesseri” spiega Salvatori. “E anche negli adulti, nelle personalità più fragili, la paura ha il sopravvento e il senso di inadeguatezza ad affrontare gli eventi può condurre a gesti estremi. In questi casi possiamo dire che i meccanismi di difesa non sono stati all’altezza di scongiurare una fuga così drastica dalla realtà”.
Ma c’è il rovescio della medaglia. “I meccanismi di difesa sono di supporto all’essere umano per meglio gestire le paure e gli stati dolorosi, ma a condizione che non degenerino in vere e proprie fobie, come evitare qualsiasi contatto con estranei perché ritenuti pericolosi oppure nelle ossessioni o in un distacco dalla realtà che porta alla creazione di mondi fantastici nei quali la mente trova rifugio”.
Non fuggire dai problemi
Giocare d’anticipo è la soluzione ideale. Non bisogna mai sottovalutare le conseguenze e lo stress psicologico cui ci espone un fatto traumatico e non affidarsi mai completamente solo alle proprie forze tanto più se repressive: “Reprimere sentimenti e pulsioni non è mai un atteggiamento positivo: spesso riemergono sotto altre forme, come malattie psicosomatiche o difficoltà di adattamento alla realtà” sottolinea l’esperto.
”Bisogna sempre affrontare i problemi, senza nascondersi, accettando le proprie emozioni e imparando a verbalizzare, a raccontare i propri stati d’animo. Alle persone più vicine sicuramente ma anche allo psicoterapeuta. E prima si interviene, meglio è” consiglia Salvatori.