Che i nostri uomini siano spesso afflitti dalla sindrome di Peter Pan, è un dato noto e arcinoto:
eterni bambinoni, alcuni di loro trasformano la vita in un gioco perenne, credendo di essere approdati sull’Isola Che Non C’è.
Dal canto loro le donne, incapaci di mettere a tacere al momento opportuno il loro accentuato istinto materno, spesso si adagiano in questa situazione e accettano l’accudimento di questi personaggi che svolazzano nella quotidianità, si spera almeno senza tutina verde.
Ma poi i Peter Pan crescono e diventano uomini, lasciano alle loro spalle i decenni della totale spensieratezza e si trovano, loro malgrado, a rappresentare la generazione degli -ANTA.
Migliorano? Maturano? Assumono responsabilità?
Secondo Daniele Cobianchi, autore di uno spensierato romanzo sui suoi coetanei, essi si trasformano e cadono vittime della sindrome di Hugh Grant.
Si tratta ovviamente di una patologia che di scientifico non ha proprio nulla, ma tuttavia è utile a rappresentare la condizione nuova in cui si vengono a trovare questi maschietti, tutti figli degli anni ’70.
“La sindrome di Hugh Grant” è specificatamente il titolo di questo romanzo, in cui si racconta di come Thomas Rimini, una laurea alla Bocconi e un bel lavoro nel marketing, si trasformi in breve tempo dall’uomo di un certo successo lavorativo e sentimentale qual era all’insicura, incerta, improbabile copia di una dei tanti personaggi interpretati dall’attore inglese nelle sue tante commedie.
E’ come se uno di loro avesse “bucato” lo schermo (ricordate “La rosa purpurea del Cairo”?), si fosse affiancato al bel Thomas e lo avesse precipitato in una crisi di identità.
Ed ecco la sindrome che fa capolino: di fronte alla necessità di fare delle scelte per forza di cose condizionate dal compromesso, preferisce la fuga (in motocicletta) in una realtà che sente più consona a se stesso.
Meglio allora non sposarsi e lasciare Marcella, cercare relazioni che durino il tempo di un aperitivo e di una notte, tornare a frequentare amici di un tempo anch’essi angosciati dai risultati delle scelte fatte o non fatte, cercare il successo nel lavoro ritrovandosi poi alla fine con un nulla di fatto.
Daniele Cobianchi ha costruito un mondo di personaggi, per lo più maschili, che popolano le pagine del suo libro e si muovono nella sua Milano con leggerezza e ironia, perché in fondo li conosce molto bene, nella realtà, dal momento che li ritrova quotidianamente sul suo cammino.
Filosofo di formazione, Cobianchi oggi vive e lavora a Milano, lo stereotipo della città da vivere per eccellenza, dove si occupa di comunicazione.
Il suo Thomas, quando la sindrome di Hugh Grant si fa prepotente, non riesce invece più a comunicare né con gli altri né con se stesso, non si ritrova negli abiti e negli atteggiamenti quotidiani, così taglia i ponti e parte sulla sua moto alla ricerca di luoghi interiori più che geografici.
Il tema del viaggio come percorso interiore è riproposto da Cobianchi come una conclusione, un inizio di finale, sebbene in realtà la soluzione non sia a portata di mano e i dubbi, le insicurezze, le fasi depressive di Thomas e dei suoi coetanei richiedano un impegno ben maggiore per essere risolti.
I lettori uomini troveranno forse qualcosa di sé in queste pagine, o forse, come di frequente succede, penseranno che sì, questa sindrome di Hugh Grant in effetti ha una sua consistenza, ma riguarda gli altri….
Le lettrici donne riconosceranno in esse un amico, un ex, un amante, un marito, chissà… di certo sorrideranno, in attesa che un nuovo scrittore si affretti a coniare anche per loro una nuova, simpatica patologia.
AUTORE: Daniele Cobianchi
TITOLO: La sindrome di Hugh Grant
EDITORE: Mondadori
PAGG. 180 , EURO 15,00
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