Verrebbe voglia di conoscerla ed incontrarla, Elena Varvello, dopo aver affrontato la lettura del suo ultimo romanzo, “La vita felice”, per chiederle se davvero pensa che nonostante tutto, a qualunque costo, la vita debba considerarsi felice.
A chi si avventura nei meandri della sua scrittura riesce difficile credere che la risposta possa essere positiva, pensare che i suoi attori alla resa dei conti si possano dichiarare tali nonostante le vicissitudini affrontate e solo in parte superate.
Il titolo dato a questo romanzo stride con i suoi contenuti, con una vicenda che appare assai più lacerante e distruttiva che non edificante e consolatoria.
Elena Varvello racconta di essersi sentita realizzata come scrittrice dopo aver raccontato la vicenda di Elia, di suo padre, di sua madre, del piccolo mondo che ruota intorno ad una famiglia durata troppo poco e disintegratasi sotto una pressione incontrollabile.
Se essere felici significa capire che non siamo soli, che le colpe dei nostri padri non possono schiacciarci ricadendo sulle nostre spalle, che la presenza di madri inadeguate, irrisolte e pertanto non felici non può condizionare inesorabilmente il nostro vivere, allora forse sì, possiamo essere felici.
Felici nonostante tutto.
La storia difficile di Elena Varvello
Elia, il protagonista del romanzo, ha soltanto sedici anni quando si trova a dover fare i conti con una realtà terribile di cui è protagonista suo padre.
A Ponte, il piccolo paese dove la famiglia vive, il fallimento del cotonificio in cui lavorava ha fatto di lui un disoccupato, nel lontano 1978.
L’uomo ha elaborato molto male la sua nuova condizione, trasformandosi dal padre allegro che Elia ricorda essere stato quando andavano insieme al fiume o al cinema, ad un individuo torturato e fragile, capace di considerarsi vittima predestinata di un complotto ai suoi danni e di arrivare al baratro del bipolarismo.
Al suo fianco una madre docile, volutamente incapace di vedere la realtà e leggerla per quello che rappresenta, complice involontaria del peggiorare della condizione del padre.
L’adolescente Elia cerca un appiglio al di fuori della famiglia, ma si scontra con amicizie laceranti, con amori impossibili e dolorosi, con realtà di cui non immaginava l’esistenza.
A Ponte, paesino dove la vita scorre lenta ed anonima, nell’agosto del 1978 due vicende generano il panico tra gli abitanti: il ritrovamento del cadavere di un bambino, rapito e ucciso per poi essere abbandonato nudo con mani e piedi legati, e la sparizione temporanea di una ragazza, rapita da Ettore, il padre di Elia, in uno dei tanti momenti di scollamento dalla realtà.
La vita di Elia si snoda tra dubbi e incertezze, sino a quando la responsabilità del padre non viene accertata e ne derivano le ovvie conseguenze.
La prima di queste è che nulla potrà più essere come prima, sebbene sua madre continui a gestire il suo tempo e le sue giornate come se l’accaduto non fosse così grave e non avesse sconvolto le loro esistenze.
Si può, dopo un’estate come questa, sostenere ancora di avere una vita felice?
Si possono dimenticare la colpa, la follia, l’indifferenza, la solitudine, l’abbandono?
Le risorse narrative di Elena Varvello
Elena Varvello ci racconta questa vicenda con uno stile asciutto, privo di cedimenti, calandosi nella veste di Elia, svestendosi dei suoi panni femminili per indossare con maestria quelli di un giovane adolescente.
In realtà a narrare dall’interno i fatti è un Elia adulto, che ha lasciato da decenni Ponte e che ormai si è completamente distaccato dagli avvenimenti di quella lontana estate.
Con un percorso a ritroso, scava nella sua memoria e riporta in luce il suo sentire di quel tempo, in una visione fortemente soggettiva, ma al suo immaginario aggiunge quello del padre, da lui ipotizzato come probabile.
La scrittrice ci regala una storia a capitoli alterni, con una focalizzazione che varia continuamente da Elia ad Ettore, in quella che fu l’ultima stagione della sua vita, a soli trentasette anni.
L’adolescente Elia vive a sedici anni il momento più intenso del suo processo di formazione e ne riconosce l’importanza molti anni dopo, quando ne racconta i momenti salienti, ricavandone una morale semplice ma a suo giudizio soddisfacente, capace di dare un senso alla sua esistenza: la vita felice è la vita che ci resta e che non va sprecata.
TITOLO : La vita felice
EDITORE : Einaudi
PAGG. 190, EURO 18,50