Finalista al Premio Strega, il romanzo di Giulia Caminito “L’acqua del lago non è mai dolce” si è aggiudicato il primo posto al Premio Campiello.
Vincere uno di questi premi, per quanto essi siano significativi, non è mai di per sé garanzia di successo tra i lettori, ma il romanzo di Giulia Caminito merita questo ampio sostegno perché è un libro bello, forte, originale e di grande potenza di scrittura.
Il lago, indiretto ma indiscusso protagonista, è il lago di Bracciano, a pochi chilometri da Roma, con le sue acque cupe e limacciose, essendo di origine vulcanica, con le alghe che si arrotolano intorno alle gambe nel buio dei tuffi dal pontile, con spiagge dalla sabbia nera per un turismo povero, poco pretenzioso.
E’ zona di provincia e come tale si differenzia profondamente da Roma, accoglie sulle sue sponde chi dalla città ha dovuto fuggire per motivi soprattutto economici e chi ha invece voluto allontanarsene cercando un vivere più a dimensione uomo, meno convulso e frenetico.
La famiglia su cui ruota la narrazione di Giulia Caminito appartiene alla prima categoria, vive un’esistenza in cui dominano il non avere, il non possedere, il guardare ciò che hanno gli altri sentendosene deprivati, l’essere furiosi nell’animo per una condizione certo non voluta, ma subita, ininterrottamente subita.
Gaia, l’incarnazione del concetto attuale di povertà
Che significa, oggi, essere poveri?
Forse essere uno dei barboni che dormono sotto i portici delle grandi città? Oppure avere la sfortuna di nascere nella parte sbagliata del mondo, dove acqua e cibo scarseggiano e i farmaci spesso non esistono?
Sicuramente sì, ma si tratta di situazioni estreme, alla cui soluzione ci illudiamo di contribuire attraverso il dono di pochi spiccioli.
Essere poveri, essere indigenti oggi significa molto altro, soprattutto appartenere al mondo degli esclusi, di coloro che riescono a sentirsi trasparenti in mezzo alla folla, di quelli soggetti a sguardi di sufficienza e commiserazione di breve durata.
E’ la situazione di chi vorrebbe avere ciò che gli altri possiedono, un cellulare di ultima generazione, una casa che possa definirsi tale dove invitare gli amici, degli abiti adatti ad ogni circostanza, ma anche soltanto uno zaino per la scuola che sia soltanto tuo e non sia appartenuto ad altri.
La famiglia di Gaia, la protagonista assoluta della storia narrata dall’autrice, è povera in questo senso: per avere una casa popolare sua madre, Antonia, combatte battaglie senza esclusione di colpi, sino ad arrivare finalmente a vivere in un alloggio accettabile ad Anguillara Sabazia, sul lago.
Suo padre non è di aiuto alla famiglia: vittima di un drammatico incidente sul lavoro (in nero) è costretto su una sedia a rotelle, sopravvive silente nelle case che si succedono grazie alla caparbietà della moglie senza neppure il conforto di un televisore: troppo costoso, un oggetto superfluo.
Il figlio maggiore, Mariano, cammina al margine della legalità, è attratto dai gruppi anarchici nei quali gli pare di percepire la stessa sua rabbia contro una società borghese che esclude chi non può esibire il suo status di ricchezza.
I gemelli, arrivati per ultimi, hanno costruito un mondo a sé, che li vede in perenne simbiosi, che fa loro da scudo contro il mondo esterno.
Questa è la famiglia che l’autrice ha costruito per Gaia, seguendo la sua crescita a partire dai primi anni Novanta per arrivare al presente, un tempo in cui la sua formazione si può dire conclusa.
Raccontando in prima persona, Gaia esterna attraverso i suoi pensieri e i suoi gesti talora plateali il suo carattere spigoloso, spesso irritante, frutto di una famiglia disfunzionale e di un contesto sociale di basso livello.
Dopo aver vissuto in un seminterrato umido e malsano da bambina, esclusa dai contatti e dai giochi comuni, è adolescente quando la famiglia si trasferisce sul lago, grazie alla madre.
Come lei Gaia ha i capelli rossi, da sempre simbolo di ribellione, la pelle coperta di efelidi, un carattere forte e caparbio, la volontà di costruirsi una vita migliore per uscire dal tunnel in cui vivono da sempre.
Giulia Caminito racconta il desiderio e la difficoltà del riscatto
Antonia, che tutti chiamano la Rossa, desidera più di ogni altra cosa la dignità della sua famiglia, un casa dove vivere con decenza, un lavoro per mantenere tutti, un assoluto rispetto delle regole, familiari e sociali.
Scendere a compromessi sporchi non le piace, non percorre scorciatoie che cozzino con il suo forte senso morale: questa sua integrità non è ereditata né da Mariano né da Gaia.
Il primo finirà per essere allontanato dalla famiglia per andare a vivere con la nonna, la seconda, sulla quale sono puntate tutte le scommesse materne, troverà più volte insopportabile il suo ruolo di emarginata reagendo con rabbia e malevolenza.
Gaia sa di non essere come le altre bambine perché non ha ciò che esse hanno: le sue bambole sono di carta e di stracci, i suoi libri sono passati di mano in mano, il suo mondo è l’angolo di una stanza separato con un lenzuolo appeso dal letto del fratello.
L’indigenza, nonostante l’impegno quasi commovente di Antonia, è uno stato mentale, oltre che fisico, a cui Gaia non può sottrarsi.
Viaggia per frequentare una buona scuola perché questo è ciò che sua madre vuole per lei: buoni studi, voti alti, una formazione che le permetta di spiccare il volo lontano.
Il suo primo libro nuovo è un dizionario, l’orgoglio di Antonia che è riuscita ad acquistarlo mettendo da parte poco a poco i soldi necessari, per far sì che sua figlia possieda l’arma del riscatto, la parola che apre mondi e salva.
A Giulia Caminito non sfugge di mano il legame stretto con la realtà: quella di Antonia è un’utopia, sua figlia non vive i contorni di una fiaba ma di una società amara, arida, feroce.
Il mondo è per lei una lotta continua, il mostrare ciò che si è per tentare di pareggiare ciò che non si ha, il capire presto che a nessuno importa sapere chi tu sia, se non sei omologato al benessere che ti circonda.
Il mondo di Gaia, cupo come il lago
Intorno a Gaia e al suo crescere faticoso c’è un mondo di coetanei, alcuni come lei altri totalmente dissimili.
Ci sono le amiche, Carlotta che si è spinta troppo oltre e non sa più tornare indietro, Agata e Iris che si scoprono anime affini e procurano a Gaia ancora un dolore, Elena, che le darà un insegnamento indelebile sul concetto di fiducia.
E poi i maschi, con cui si condividono i tuffi nel lago, le serate sulle sponde buie a tirar tardi, le prime esperienze e l’iniziazione sessuale.
Ma gli amici di Gaia sono eterogenei, qualcuno come Cristiano è come lei, pronto ad affrontare la notte a fari spenti sul motorino, qualcun altro, come Andrea, appartiene a un altro mondo, quello in cui lei cerca di penetrare ma che in fondo non le regala che un’ulteriore delusione.
E’ a fronte della rabbia scatenata in lei dall’inevitabilità di certi fallimenti che Gaia trova la forza di una ribellione violenta, estrema, mai misurata, sempre dominata dal gusto amaro della vita a lei riservata.
Non bastano i pochi amici veri, le preoccupazioni di sua madre per una scuola che le dia altre opportunità, il ritorno di suo fratello Mariano, il recupero di una casa che sembrava persa a decretare la vittoria finale di Gaia.
La sua vita, che sembrava aver assunto la forma di una parabola ascendente, non è esemplare, non è un unicum che brilla nel contesto generale: Giulia Caminito si congeda senza un finale edificante per una storia di formazione, lasciandoci una bambina diventata donna che in fondo ha solo compiuto un percorso circolare.
La sua vita è stata un giro sulla ruota panoramica del luna park, con un momento in cui sembra di dominare il mondo dall’alto seguito da una brusca discesa verso terra.
Perché l’acqua del lago è misteriosa, nasconde segreti, può indurre alla scoperta, ma non è mai, mai dolce.
TITOLO : L’acqua del lago non è mai dolce
EDITORE : Bompiani
PAGG. 300 EURO 18,00 (disponibile versione eBook euro 11,99)