Vivere di alberghi non è l’equivalente di vivere in alberghi, lo sa bene Reginald Edward Morse, protagonista del romanzo di Rick Moody “Hotel del Nord America”.
Che gli americani scelgano talora suite d’albergo come propria residenza ce lo hanno insegnato i vip statunitensi e i personaggi di film e telefilm che inondano i nostri canali.
Si tratta, in questo caso, di soluzioni d’elite, destinate ai pochi che possono permettersele, una scelta di comodo e di lusso.
Moody ha in testa un’America ben diversa, quando inizia a scrivere un romanzo, una landa infinita costellata di tristezza, denigrazione, dolore e sopravvivenza ai limiti dell’accettabilità.
E’ uno scrittore forte, un uomo forte, incisivo: 55 anni, Rick Moody ha al suo attivo un percorso da musicista jazz e rock e da scrittore, con numerosi romanzi centrati sulla dissoluzione del sogno americano.
Il materiale umano su cui elabora i suoi percorsi narrativi non rientra nel consueto, ma deve sempre protendersi al limite dell’estremo.
Che si tratti di uomini e donne infedeli o di alcolisti, il finale è sempre scontato, si condensa nella rappresentazione di un’America decadente e ben diversa da quella idealizzata nel passato, un grande continente in cui le piaghe determinate dalla involuzione sociale sono più che mai aperte e infette.
Rick Moody e R.E. Morse: sovrapposizione di piani
Gli “Hotel del Nord America” citati nel titolo del romanzo tradotto e pubblicato da Bompiani sono quelli che Morse, americano medio costretto a inventarsi una nuova vita dopo la crisi del 2008, visita in modo superficiale e fugace per poi recensirli on-line, senza mai trovare quiete in questo suo continuo vagabondare.
Ogni luogo una recensione, costruita in tempi brevi e in base a reazioni epidermiche ed emotive immediate, e poi via, alla ricerca di una nuova località.
Le sue parole vengono affidate all’etere e non alla carta stampata,per finire poi perse in quel magma incandescente che è la vita on-line, dove tutto esiste senza avere concretezza, si può dire tutto e il contrario di tutto, avere più vite virtuali e rinascere ogni volta con un sé rinnovato.
Il Morse senza fissa dimora è il simbolo dell’uomo contemporaneo, che ha perso radici e certezze, a cui è dato di vagare tra case, lavori, famiglie che cambiano e si sovrappongono.
Le recensioni che Morse pubblica diventano la trama larga di questo romanzo, in cui Moody richiama alcune classiche ricette narrative di facile consumo (ancora il manoscritto ritrovato dopo la scomparsa dell’autore…), utilizzandole come spunto analogico per la sua denuncia del presente.
Morse descrive ciò che impara a conoscere con toni molto diversi, a volte asettici a volte fortemente emotivi, a seconda del suo essere in quel momento.
Quando la moglie se ne va la sua solitudine in questi luoghi privi di identità si fa sentire ancora di più, i ricordi del passato si accavallano allo squallore del presente, lacerando l’uomo che è diventato e lasciandolo prostrato.
Un presente in disfacimento? Sì, secondo Rick Moody
Se si vuole scrivere un romanzo realista oggi, dice Rick Moody, bisogna costruirlo sul web, il vero elemento paradigmatico dei giorni nostri.
Egli stesso ebbe l’idea iniziale quando si trovò a scrivere una recensione su un terribile albergo in cui era incappato in Norvegia: l’idea di trasformare l’esperienza individuale in generale, di costruire un personaggio che desse voce al silenzio dell’uomo contemporaneo, l’americano medio che brancola alla ricerca di certezze che non trova più, fu il passo successivo.
In Reginald Morse è trasparente l’inquietudine, il mancato benessere a cui aveva aspirato e che molti come lui hanno perso per sempre.
In ogni recensione lascia una piccola parte di sé, cerca di abbandonare il negativo e dar voce al positivo, come potrebbe fare lo stesso Moody.
Ma il lieto fine manca, perché a voler essere realisti il nostro mondo non lascia presagire alcuna risoluzione positiva, ci offre quotidianamente episodi di dolore e di strazio, ci toglie la voglia di credere in un reale possibile cambiamento.
L’America ha perso i suoi sogni e si alimenta di illusioni che circolano on–line, rifugge dalla realtà per nascondersi nell’inconsistente, crea mondi inesistenti perché non si riconosce in quelli reali.
Una presa di coscienza dura, un disfacimento di ideali, ecco cosa resta all’uomo medio che Morse così bene incarna.
Da qui la fuga, la voglia di andare per non fermarsi mai, di vivere di alberghi e parole vaghe senza mettere radici: sarà questo il male di vivere dell’uomo del nuovo millenio?
TITOLO: Hotel del Nord America
EDITORE: Bompiani
Pagg. 224, EURO 18,00