Giornalista di alto livello, conduttore televisivo pacato ed equilibrato (dote assai rara, ai giorni nostri), fine indagatore dei mali che affliggono il nostro tempo, Giovanni Floris è tornato alla scrittura con una riflessione sulla scuola, sul suo significato e sul suo ruolo nel mondo contemporaneo.
Il suo saggio-inchiesta “Ultimo banco. Perché insegnanti e studenti possono salvare l’Italia” è uscito da pochi giorni, si trova sugli scaffali delle librerie e in edicola per precisa volontà della neonata casa editrice Solferino, dimostra come le ferite che il corpo malato della Scuola mostra non siano affatto cicatrizzate, anzi, si riaprano e sanguinino ad ogni refolo di vento.
C’è bisogno di nuove pubblicazioni su questo argomento?
Sì, senza dubbio: ce n’è bisogno per ricordare come le banalità e i luoghi comuni abbiano affossato la scuola impedendole di migliorare, per restituire autorevolezza a chi in essa lavora, per sottolineare il ruolo che essa riveste nel traghettare dall’infanzia alla maturità adulta il popolo che la vive, per ripetere ancora una volta che non è stata da sempre un diritto acquisito, ma il risultato di politiche post unitarie motivate a migliorare il popolo italiano partendo dai banchi di scuola.
Giovanni Floris sa perfettamente come questo cammino sia stato e sia ancora molto accidentato, perché i corsi e ricorsi delle ideologie di vario colore hanno partorito riforme prive di continuità e di reale consistenza, nella assurda ipotesi che un colpo di spugna possa cancellare il passato e costruire sul niente un nuovo futuro.
Quello che colpisce sin dal titolo del suo libro è la possibilità di un reale cambiamento lasciato nelle mani di studenti ed insegnanti, il corpo vivo dell’istituzione, e non in quelle della politica, che considera il popolo scolastico così poco significativo nel panorama nazionale da non dedicargli attenzione neppure durante una campagna elettorale ( e lo dimostra tristemente l’ultima in ordine di tempo).
Seduti nell’ultimo banco insieme a Giovanni Floris
L’esperienza da cui Giovanni Floris muove la sua trattazione è quella autobiografica, di studente, che serve come spunto di riflessione e non da materia narrativa.
Studenti lo siamo stati tutti, da prima fila, perché molto interessati o molto timorosi, o da ultima fila, perché a scuola ci si diverte nascondendosi agli occhi degli insegnanti per pigrizia o disinteresse, si chiacchera e si gioca, di certo non si ha voglia di imparare e di mettersi alla prova.
A tutti indistintamente Giovanni Floris indirizza una provocazione: il talento non esiste, semplicemente perché tutti lo possiedono, ognuno a modo suo, in ambiti diversi ma equipollenti.
E’ compito degli insegnanti scavare per portarlo alla luce, è compito degli studenti capire in che modo e con quali metodi possono esercitare il loro talento personale, trasformandosi in un unicum individuale e non in una massa informe.
Basterebbe questo presupposto per sollecitare la lettura del saggio: per troppi decenni siamo stati vittime di un concetto profondamente errato, quello che il successo di una società sia da individuare nell’aver reso il più possibile uguali i suoi membri, abbassando sempre più l’asticella del minimo necessario, umiliando le eccellenze e illudendosi di aver così applicato il concetto di giustizia sociale.
Gli studenti dell’ultimo banco hanno fatto tesoro della loro arroganza, del loro disprezzo nei confronti della serietà e dell’impegno, mettendo in ridicolo chiunque fosse rispettoso dell’autorità, dei ruoli, delle persone, tanto da permettere al fenomeno del bullismo di dilagare senza controllo.
L’ultimo passo, il più recente, è stato quello di puntare l’attenzione sui docenti, mostrando disprezzo nei loro confronti al punto di umiliarli pubblicamente, in classe e soprattutto in rete, spesso con la compiacenza dei genitori, nemici e non alleati della scuola.
Floris non ha dubbi in proposito, coalizzarsi contro un consiglio di classe, contestare le decisioni prese dal singolo o al suo interno, intervenire costantemente a difesa delle azioni dei propri figli è un cancro che erode il sistema, inculcando nei bambini prima e negli adolescenti poi la convinzione di essere sempre nel giusto, protetti in ogni situazione, autorizzati a non maturare senso di responsabilità.
L’elenco degli aspetti negativi della nostra realtà scolastica snocciolati da Giovanni Floris è purtroppo molto consistente, ma è realistico, sebbene dal mondo dei sindacati della scuola si siano già levate voci (a pochi giorni dall’uscita del libro) per contestarne l’impostazione e la validità.
Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere, dicono, e questo sembra essere il caso.
Giovanni Floris immagina una scuola di eccellenze da salvare senza escludere nessuno
C’è, nel percorso di risalita, un punto fermo da cui partire: per una scuola migliore, in cui studenti e docenti abbiano una parte attiva e costruttiva, bisogna ricominciare da capo, dalle idee che stanno alla base delle azioni e non dalle riforme che poggiano su fondamenta di sabbia.
Una valida idea di scuola può contrastare l’incompetenza e l’ignoranza dilagante, che troppo spesso si evidenziano anche nel mondo della politica, inducendo a credere solo più nel potere dei soldi e non in quello della cultura.
Giovanni Floris ha attraversato trasversalmente il mondo scolastico, raccogliendo testimonianze a sostegno delle sue idee fra tutte le sue componenti, in modo da poter opporre alla negatività oggettiva anche ipotesi e convinzioni positive, capaci di sfondare il muro dell’indifferenza.
L’unico gioco ammesso a scuola è quello dei ruoli: all’interno di quegli edifici ognuno rivesta il proprio, senza annullare l’individuo che ad esso soggiace, ma liberandone le potenzialità in accordo con chi faticosamente esercita l’arte della maieutica in quel preciso contesto, da cui devono uscire i cittadini di domani, gli uomini del futuro.
Suggerisce Giovanni Floris di osservare con occhio critico ma equo la scuola di oggi: a fronte di individui nullafacenti (pochi) si schiera un esercito di insegnanti motivati, capaci e colti, che svolgono il loro lavoro come una vocazione, pur sapendo di non avere stampelle nel proprio cammino ( chi insegna ad insegnare? quali strumenti forniscono, ad esempio, l’università e i corsi abilitanti?) e di appartenere alla categoria più sottopagata in Europa.
A questi è affidata la formazione dei giovani, il difficile compito di stimolare sempre e abbattere mai, di valutare le eccellenze per quello che sono senza far pesare ad alcuno l’esclusione.
Sia riconosciuto il loro ruolo, la loro professionalità, siano capaci tutti indistintamente di abbandonare l’ultimo banco per avvicinarsi con spirito di collaborazione a quelli che sono in prima fila e dietro la cattedra, per costruire insieme una società che abbia connotati diversi e più positivi.
Un primo passo potrebbe essere proprio la lettura di questo saggio, come stimolo ad un personale esame di coscienza, che restituisca ad ognuno il ruolo che gli compete.
TITOLO : Ultimo banco. Perchè insegnanti e studenti possono salvare l’Italia
EDITORE : Solferino
PAGG: 208, EURO 15,00