Tempismo e qualità dell’intervento. Sono i due concetti base per intervenire in modo corretto immediatamente dopo un ictus. Modalità che vengono illustrate nel Quarto Rapporto sull’ictus (Il Pensiero Scientifico Editore) redatto da oltre trenta specialisti dell’Istituto Auxologico, dopo due anni di esperienza quotidiana a contatto con persone colpite da ictus cerebrale.
“ La prevenzione degli eventi cardiovascolari acuti ha fatto incredibili progressi negli ultimi decenni grazie alla terapia antipertensiva e, più recentemente, all’impiego delle statine, e grazie alla terapia anticoagulante nella fibrillazione atriale”, spiega Alberto Zanchetti, direttore scientifico dell Auxologico. “Nonostante questi progressi, l’ictus rimane ai primi posti di mortalità nell’Unione Europea, immediatamente dopo la malattia coronarica, ed è la principale causa di disabilità.
L’ictus cerebrale costituisce la terza causa di morte dopo le patologie cardiovascolari e neoplastiche e la principale causa di invalidità permanente o disabilità nei Paesi industrializzati, nonostante i progressi ottenuti nel campo della prevenzione. Ad oggi in Italia oltre 950.000 persone sono colpite da ictus, di cui ben l’80% di natura ischemica, con circa 200.000 nuovi casi ogni anno e 39.000 ricorrenze. Circa 300.000 persone hanno una disabilità residua che ne riduce significativamente l’autonomia. La mortalità nella fase acuta, ovvero a 30 giorni per l’ictus cerebrale, è stata valutata pari al 20% di tutti i casi in Italia, mentre nell’arco del primo anno è stimabile pari al 30%. Un anno dopo un ictus cerebrale, un terzo dei soggetti sopravvissuti presenta un elevato grado di disabilità, sufficiente a determinare totale dipendenza.
“ Fortunatamente, la ricerca clinica, ci ha fornito mezzi efficaci per ridurre le conseguenze di un ictus, sia diminuendo la mortalità in fase acuta sia evitando o limitando gli esiti di disabilità”, dice Zanchetti.
Questi successi sono possibili solo grazie all’integrazione e alla continuità delle cure, che vanno dagli interventi immediati nella fase acuta dell’ictus nell’unità di cure intensive (Stroke Unit) alla riabilitazione specialistica per correggere e alleviare la disabilità residua, alla prevenzione secondaria delle recidive di ictus”.
L’ictus di qualche decennio fa rappresentava una condanna: una persona colpita da ictus, era soggetta ad altri incidenti vascolari dello stesso tipo e, oltretutto, non aveva grandi possibilità di recupero motorio o cognitivo.
Il Rapporto sull’ictus dell’Auxologico testimonia invece un radicale cambiamento di paradigma. L’idea dei medici è oggi non soltanto quella che si possa salvare la vita alle persone colpite da ictus, ma si possa preservare il loro cervello, e quindi le funzionalità fisiche e cognitive, successivamente all’intervento d’urgenza in fase acuta. Gli interventi tempestivi in unità specializzate e multidisciplinari si dimostrano di vitale importanza.
Un altro elemento emergente dal Rapporto sull’ictus dell’Auxologico è la necessità di collaborazione tra varie figure professionali per rispondere alle esigenze dettate da una patologia che interessa l’apparato cardiovascolare, aree cerebrali differenti, quindi anche differenti funzioni del corpo e della sfera cognitiva. L’unità di cure intensive dell’Auxologico è un modello di collaborazione e cure integrate tra varie figure di clinici. Tutto ciò anche a fronte dell’introduzione di terapie delicate come la fibrinolisi. “La fibrinolisi o trombolisi endovenosa”, spiega Vincenzo Silani, direttore dell’UO di Neurologia – Stroke Unit dell’Auxologico, “E’ un trattamento farmacologico che serve a sciogliere il coagulo che ostruisce il flusso ematico del vaso colpito ed è l’unico trattamento dell’ictus cerebrale ischemico riconosciuto efficace durante la fare acuta. Prima si fa , migliore sarà la prognosi”.
Immagine copertina di Karolina Grabowska https://www.pexels.com/it-it/foto/salutare-uomo-penna-orologio-da-polso-4021775/