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Skype e demenza
Salute

Skype e demenza

10/12/2015

Skype, il programma di videochiamata, può essere utile in caso di demenza. Trattamenti basati sull’interazione sociale hanno un elevato valore terapeutico per quanto concerne questi malati: sono numerosi i dati che lo dimostrano.

I ricercatori dell’Università di Melbourne hanno messo a fuoco la comunicazione con i familiari. Che cosa avviene? L’agitazione comportamentale tipica della demenza, in persone ricoverate in case di cura, si allevia maggiormente quando i contatti avvengono in videochiamata: gli stimoli audio e video, in questo caso, si associano.

C’è un’ambito della ricerca che riguarda la demenza, relativo ai metodi non farmacologici per muovere contro le problematiche comportamentali: questo studio ne fa parte. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista International psychogeriatrics.

Skype e demenza, come si è svolta la ricerca

Sono stati posti sotto analisi 9 residenti con demenza: è loro stato somministrato un test, in grado di valutare il loro livello di agitazione prima e dopo un tradizionale contatto telefonico con il proprio caregiver (colui che se ne prende cura, ndr) per circa due settimane. La stessa valutazione ha riguardato i pazienti scelti, sempre per un periodo della durata di due settimane, prima e dopo il contatto sociale con il familiare che avveniva tramite video-chiamate, attraverso il programma elettronico Skype.

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Catturare con Skype l’attenzione del malato

E’ apparso chiaro: i sintomi d’agitazione diminuivano maggiormente attraverso le video-chiamate, piuttosto che tramite un semplice contatto telefonico. Parliamo di combinazione di input sensoriali uditivi e visivi: Skype cattura l’attenzione del malato e riduce il suo stato di agitazione più efficacemente, rispetto a quando questi percepisce semplicemente la voce del familiare o dell’amico.

Nessun rifiuto, dunque, per la tecnologia, più sofisticata rispetto al semplice apparecchio telefonico.

Catturare con Skype l’attenzione del malato, le carenze della ricerca

Questo studio preliminare è stato posto in essere su un numero esiguo di soggetti. Si tratta, per ora, di uno spunto per la riflessione: questa nuova strategia rende più tranquilli i pazienti e agevola i familiari nell’assistenza del malato. Si tratta di una “terapia” utile e applicabile? Sono necessari ulteriori dati.

Isabella Lopardi ha lavorato come giornalista, traduttrice, correttrice di bozze, redattrice editoriale, editrice, libraia. Ha viaggiato e vissuto a L'Aquila, Roma, Milano. Ha una laurea magistrale con lode in Management e comunicazione d'impresa, è pubblicista e redattore editoriale. E' preside del corso di giornalismo della Pareto University.

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