Colpisce circa il 20 per cento degli Italiani, soprattutto le donne, e senza grosse distinzioni di età, anche se con l’invecchiamento si fa più fastidiosa. Parliamo di stipsi, e in particolare della forma cronica, che non solo fa vivere costantemente come una croce l’appuntamento con la toilette ma riesce anche ad alterare sensibilmente la qualità della vita, condizionando la salute fisica ed emotiva. Secondo una recente ricerca italiana condotta su 900 soggetti colpiti, chi ne soffre giudica negativamente il proprio stato di salute ed è anche ampiamente insoddisfatto delle cure disponibili. Ma ora anche in Italia è disponibile un nuovo medicinale, che promette di superare l’inefficacia dei lassativi.
Stipsi: non conta solo “quante volte”
Per stipsi cronica si intende una stitichezza che dura da più di sei mesi. Ma quello che bisogna chiarire è la definizione di stipsi: in passato ci si basava sul numero di evacuazioni settimanali, per cui una persona era stitica se ne aveva meno di tre. Oggi invece sappiamo che la questione è più complessa e che non dipende solo dal numero delle evacuazioni, che possono essere anche quotidiane. Per parlare di stitichezza devono esserci sintomi legati alla difficoltà ad evacuare, come: senso di pesantezza, gonfiore e fastidio all’addome, necessità di spinte e sforzi molto forti, sensazione di ostruzione all’ano, che porta ad andare spesso alla toilette ma inutilmente o con una sensazione poi di evacuazione incompleta. E nei casi più seri, necessità di manovre manuali, come la digitazione, per liberarsi.
Difficoltà pratiche ed emotive peggirano la stipsi
La stipsi cronica riesce a compromettere la qualità della vita. Secondo una recente ricerca italiana condotta su 900 soggetti interessati dal problema, pesantezza (72%), stimolo ad evacuare senza riuscirci (66%) e gonfiore anche molto forte (63%) sono i sintomi principali accusati, che si traducono, prima di tutto, in difficoltà pratiche quotidiane: necessità di fare attenzione alla propria alimentazione (51%), sensazione di imbarazzo nel rimanere a lungo in bagno (49%) e preoccupazione di dover cambiare abitudini (41%).
A causa dei sintomi, inoltre, in una settimana si perde un’ora lavorativa nei casi più lievi, ma fino a quattro in quelli più seri. E anche quando ci si reca al lavoro, si perde in efficienza, con una riduzione delle performance lavorative del 35% nei casi più seri o del 20% in quelli più lievi.
A ciò si aggiungono implicazioni emotive come la preoccupazione di non essere riusciti a evacuare al bisogno (67%), la sensazione che il corpo non funzioni bene (62%), o la paura che i disturbi peggiorino (58%).“La sofferenza emotiva dei malati di stipsi cronica è simile a quella di importanti malattie come l’ulcera peptica e l’infarto miocardico e compromette la qualità di vita personale e lavorativa, con ripercussioni individuali ma anche sociali.
La stipsi a volte dipende da altre malattie
La stipsi cronica può essere la conseguenza di altre malattie, come diabete, disturbi della tiroide, malattie neurologiche come il Parkinson, o dell’uso di alcuni farmaci, tra cui gli antidolorifici, gli stessi medicinali usati contro il Parkinson e alcuni antipertensivi.
Ma molto più frequente è la stipsi cronica primitiva o funzionale, in cui risultano alterati il passaggio delle feci nel colon e/o il loro passaggio e l’espulsione a livello del retto. In molti casi, questo deriva da un’alterata motilità del colon: in molti soggetti, infatti, risultano inibiti i riflessi nervosi alla base dei movimenti peristaltici, cioè quelle movenze naturali, dall’alto verso il basso, che permettono all’intestino di svuotarsi.
Stipsi cronica, è importante fare diagnosi
Per parlare di stipsi cronica funzionale devono essere presenti almeno due dei seguenti sintomi, in minimo una evacuazione su quattro e da perlomeno tre mesi, con una prima comparsa già da sei mesi: sforzo; feci piccole e dure (liquide solo in caso di assunzione di lassativi); sensazione di evacuazione incompleta; sensazione di ostruzione ano-rettale; necessità di manovre manuali; meno di tre evacuazioni a settimana. Inoltre bisogna escludere una sindrome dell’intestino irritabile.
In generale, comunque, la diagnosi non va fatta con leggerezza e alla visita occorre sempre abbinare gli esami del sangue, per valutare la presenza di altri sintomi, come l’anemia o segni infiammatori, che potrebbero rimandare a altre malattie. Soprattutto se la stipsi compare dopo i 50 anni, prima di prescrivere cure croniche antistitichezza, occorrono esami specifici, come la colonscopia e il clisma opaco, per escludere la presenza di problematiche, anche serie, come forme tumorali.
Esami più approfonditi come la defecografia o esami per lo studio dei tempi di transito delle feci (cui sottoporsi nei centri per le malattie rettali presenti nei principali ospedali) sono, infine, consigliati quando le cure antistipsi non hanno avuto effetto soddisfacente.
Le cure tradizionali contro la stipsi
Contro la stitichezza tradizionalmente si può intervenire modificando lo stile di vita e/o assumendo farmaci lassativi.
Il cambiamento dello stile di vita
Per quanto riguarda la modifica dello stile di vita, alcune persone traggono beneficio dall’aumento dell’assunzione di acqua e di fibre, che aumentano la morbidezza e il volume delle feci, favorendo lo stimolo alla defecazione, e dalla pratica di una regolare attività fisica, che rinforza tutti i muscoli, compresi quelli delle pareti addominali coinvolti nello svuotamento intestinale. È bene ricordare però che le fibre, senza un corretto apporto di acqua, possono diventare addirittura pericolose e dare più effetti collaterali che benefici: il consiglio è quindi quello di non eccedere ma di farne un consumo regolare, di circa 20 grammi al giorno, pari a circa 2 porzioni di verdura e due di frutta, ‘da ristorante’.
I lassativi
L’altra classica cura è rappresentata dai farmaci, i lassativi, che si acquistano in farmacia senza bisogno della ricetta medica. Ne esistono diverse categorie:
- -i formanti massa, costituiti da fibre, idrosolubili (come l’agar) o non idrosolubili (come la crusca): le prime diventano una massa gelatinosa, le seconde si imbevono di acqua, e entrambe aumentano il volume delle feci, con un’azione meccanica di stimolo all’evacuazione;
- – da contatto o irritanti, a base di estratti vegetali (come il rabarbaro, la senna) o di principi attivi come il bisacodile o il sodio picosolfato, che a contatto con le pareti del colon lo irritano stimolandone la motilità;
- -gli osmotici, come il macrogol, che richiamano e trattengono acqua nell’intestino per ridurre la consistenza delle feci (normalmente usati per la preparazione in vista degli esami all’intestino);
- -gli emollienti, a base per esempio di glicerina o olio di vaselina, che ammorbidiscono le feci, facilitandone l’espulsione.
Puntano tutti ad aumentare la frequenza delle evacuazioni, ma spesso non producono sollievo da tutti gli altri sintomi. Anzi: i formanti massa, soprattutto quelli con fibre non idrosolubili, possono finire, se assunti in eccesso, con irritare il colon e causare occlusioni, quelli osmotici possono causare squilibri nei liquidi dell’organismo, quelli stimolanti e gli emollienti aumentano i dolori e i fastidi a carico del colon e a lungo possono determinare assuefazione, per cui vanno presi per tempi limitati.
Le cure anti stipsi spesso non soddisfano
Solo una persona su cinque dei colpiti da stipsi cronica è soddisfatto delle cure cui si sottopone: secondo la ricerca già citata, l’insoddisfazione riguarda il 35% dei malati di grado moderato, ma addirittura la metà di chi fa i conti con forme più serie.
Indipendentemente dalla tipologia di lassativo utilizzato il grado di insoddisfazione non cambia: si va dal 35% per chi assume fibre o lassativi formatori di massa, al 37% per i lassativi osmotici, al 42% per i lassativi stimolanti, al 39% per chi assume una combinazione di più lassativi.
I farmaci contro la stipsi cronica
Proprio dall’esigenza di trovare un’alternativa di cura più efficace e soddisfacente è derivata una nuova classe di farmaci, gli enterocinetici, la cui azione consiste nel favorire la motilità intestinale in modo fisiologico.
Il principio attivo è il prucalopride ed è un agonista selettivo del recettore della serotonina: in pratica agisce sulla serotonina prodotta dalle cellule dell’intestino e il cui compito è stimolare il sistema nervoso dell’apparato digerente a produrre i movimenti peristaltici.
Il principio attivo quindi è utile in quei casi, frequenti, in cui viene riscontrata un’alterata motilità del colon.
Il farmaco però non è privo di effetti indesiderati, i più comuni riscontrati sono mal di testa, nausea, diarrea e dolore addominale. Non va somministrato a pazienti con perforazione od ostruzione intestinale e condizioni infiammatorie serie dell’intestino (Morbo di Crohn, colite ulcerativa, megacolon e megarectum tossici).