Squalo fermentato: che cos’è? Un cibo che fa bene (e ha un odore che si impone all’olfatto). Parliamo in particolare dell’hákarl, alimento tradizionale della cucina islandese. Una ricerca che lo riguarda ha sequenziato per la prima volta a livello mondiale il Dna delle popolazioni di fermenti, lieviti e batteri, peculiari di questo alimento. Lo studio fa parte di un vasto programma di ricerche, avviato nell’ambito dell’Università di Pisa. E’ stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Food Microbiology”.
Squalo fermentato: per saperne di più

Un’équipe di microbiologhe del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Ateneo pisano, in collaborazione con colleghi delle Università delle Marche, di Torino e dell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, ha lavorato sullo squalo fermentato.
Monica Agnolucci dell’Università di Pisa si è espressa in questo modo: “Il processo di fermentazione promosso dai lieviti e batteri nativi trasforma i filetti dello squalo Somntosus microcephalus, originario delle acque prospicienti le coste della Groenlandia e dell’Islanda (nel Nordatlantico) nell’ hákarl, una prelibatezza della cucina nordica derivante dalle tradizioni vichinghe”.
Squalo fermentato: popolare presso i Romani
In tempi antichi, in tutta Europa, hákarl era uno dei tipi di pesce fermentato consumati. Era popolare anche presso i Romani, che ne ricavavano una salsa speciale chiamata garum. In Islanda e nei paesi nordici, poi, l’hákarl rivestiva un ruolo importante nella dieta: costituisce una fonte di proteine ed energia ed è ad oggi consumato come prelibatezza tradizionale anche dai turisti. Come si presenta il prodotto? Ha una consistenza morbida, un colore biancastro simile al formaggio e un forte sapore di pesce. Oggi è spesso servito sotto forma di piccoli cubetti e accompagnato da bicchierini di Brennivín (una bevanda alcolica fermentata tipica).
Squalo fermentato: come si è svolta la ricerca in merito all’alimento dei Vichinghi
Lo studio in argomento è stato condotto con un approccio multidisciplinare e multimodale, basato sia sulla coltura dei fermenti

nativi, sia su tecniche coltura-indipendenti. E’ stato utilizzato Dna estratto dai campioni (PCR-DGGE e Illumina sequencing). Monica Agnolucci ha aggiunto: “Mentre il metodo coltura-dipendente ha permesso di determinare il numero reale di fermenti vitali nell’alimento, i due metodi basati sul Dna ci hanno fornito un quadro generale della complessa biodiversità microbica tipica dell’hákarl, identificando specie capaci di svolgere un ruolo importante nello sviluppo delle sue qualità sensoriali”.
Squalo fermentato: un tocco in più
Gli alimenti fermentati rappresentano un valore aggiunto (sia per la buona tavola, sia per la salute). Manuela Giovannetti ha così concluso: “Il successo degli studi sugli alimenti e bevande fermentati, condotti da alcuni anni nei nostri laboratori, ci ha stimolato a proseguire con un’iniziativa a essi correlata. Il corso di perfezionamento relativo ai fermentati tradizionali, recentemente riscoperti anche da chef, gastronomi e food writer, si è svolto nei giorni 28 settembre e 5, 12, 19, 26 ottobre. Il nostro fine è tuttora fornire conoscenze sulla produzione e sulle qualità prebiotiche, probiotiche e salutistiche di tali alimenti e bevande. Tutto parte dall’attività di fermenti, lieviti e batteri lattici e acetici”.
Le altre autrici dello studio pisano, insieme a Monica Agnolucci e Manuela Giovannetti, sono Michela Palla e Caterina Cristani.