Si chiamano bambini farfalla perché la loro pelle è fragile come le ali delle farfalle. La sindrome dei bambini farfalla, altrimenti detta epidermolisi bollosa, colpisce in Italia un bambino ogni ottantaduemila nati: è rara e devastante. Se nel mondo è colpito un bambino su diciassettemila, il numero dei casi non è trascurabile: sono cinquecentomila in tutto.
Come curare i bambini farfalla
Nuove terapie prevedono l’utilizzo di creme e gel piastrinici – che accelerano la guarigione delle ferite e riducono le reazioni infiammatorie delle lesioni della pelle e delle mucose – e l’utilizzo di farmaci biologici, che inibiscono il rischio infiammatorio a livello sistemico. Sperimentazioni interessanti sono state poste in essere negli Stati uniti: parliamo di trapianto di midollo, cellule staminali e della terapia genica. Quest’ultima, in particolare, ha fornito interessanti risultati nel modello animale.
Ecco le principali novità delle quali si discuterà il 17 e il 18 ottobre, al primo convegno di Debra Italia onlus (Associazione per la ricerca sull’epidermolisi bollosa, ndr), che si terrà presso la Clinica Mangiagalli a Milano: possono partecipare medici e famiglie. Un centro è attivo dal 2012 a Milano, al fine di curare questa malattia, presso il Policlinico dell’Università degli Studi di Milano. Lo coordina la professoressa Susanna Esposito, presidente di WAidid, Associazione mondiale per le malattie infettive e i disordini immunologici. I bambini farfalla presenti oggi nel centro sono cinquanta. Cinzia Pilo, presidente di Debra Italia onlus e neo presidente di Debra International, ha così commentato: “L’epidermolisi bollosa è una malattia cronica, rara, da cui non si guarisce. Questo primo convegno nazionale si pone come obiettivo quello di offrire supporto e assistenza alle famiglie dei bambini e adulti che ne soffrono e, al tempo stesso, vogliamo che diventi un appuntamento importante per favorire la condivisione delle conoscenze e delle nuove sperimentazioni tra i medici che già operano in Italia nell’ambito delle malattie rare. Come mamma di un bimbo farfalla ritengo sia fondamentale ricevere una buona assistenza e informare costantemente le famiglie che sono costrette a convivere con questo tipo di malattie per le quali non esiste ancora una cura”.
Bambini farfalla, che cos’hanno?
Parliamo di una malattia sistemica, che richiede un approccio assistenziale di tipo interdisciplinare. Comporta varie complicazioni e danni che vanno ben oltre l’interessamento del tessuto cutaneo. La componente nutrizionale, come è stato dimostrato scientificamente, è molto importante: i bambini affetti da epidermolisi bollosa presentano carenze di ferro e di vitamina D, che causano stadi di malnutrizione e osteoporosi importanti.
Epidermolisi, alla lettera, significa rottura della pelle, ma anche delle mucose. Si determina la tendenza a formarsi di bolle, vesciche e scollamenti della cute e delle mucose, che si riempiono di siero, dovuti a traumi o frizioni anche minimi. Già alla nascita, il neonato presenta spesso grosse bolle ed estese lacerazioni della pelle, che necessitano di mesi di ricovero e dolorose medicazioni quotidiane per il resto della vita. Non mancano danni anche agli organi interni e agli arti, fino ad arrivare alla perdita dell’uso delle mani già in età prescolare e spesso della capacità di deambulare. Frequenti stenosi esofagee impongono spesso l’assunzione di soli cibi liquidi. Il sollevamento dalla culla è possibile soltanto con particolari precauzioni.
Bambini farfalla, funzionamento del centro milanese
Così si è espressa la professoressa Susanna Esposito, direttore dell’Unità di Pediatria ad alta intensità di cura della Fondazione Irccs Ca’ Granda, Ospedale maggiore Policlinico dell’Università degli Studi di Milano: “Il Centro Eb di Milano al momento ha in cura 50 bimbi farfalla e rappresenta un punto di riferimento nel nord Italia per i pazienti affetti da Eb. Oltre ai pediatri e al dermatologo, presso il Centro vi sono, tra gli altri, il nutrizionista, l’ortopedico, l’oculista, il chirurgo, la psicologa e l’assistente sociale. Questo approccio consente non solo una completa assistenza, ma anche lo scambio di conoscenze tra specialisti, con conseguente arricchimento sia dell’assistenza che dell’approfondimento professionale per i medici stessi”.