Abituati alla serialità dei simpatici vecchietti del BarLume, con Massimo Viviani, il barista dell’immaginaria cittadina toscana di Pineta sempre pronto all’indagine, si resta piacevolmente sorpresi a fronte di romanzi di Marco Malvaldi in cui essi non compaiono.
Che all’autore piaccia lo sviluppo in verticale della trama collegato in modo orizzontale da una linea di continuità non è cosa dubbia, tanto da venire rafforzato in altre occasioni, come accade con “Negli occhi di chi guarda”.
Nel primo caso a fare da fil rouge sono sia il contesto, il BarLume, sia i suoi abituali frequentatori, il quartetto inossidabile formato da Ampelio, Aldo, Gino e Pilade; nel secondo, ferma restando la Toscana come luogo d’elezione, a riproporsi in due storie diverse sono Piergiorgio Pazzi, un genetista, e Margherita Castelli, esperta archivista, entrambi giovani, belli e intelligenti.
Già incontratisi per motivi lavorativi nel paesino di Montesodi Marittimo (“Milioni di Milioni”), i due si ritrovano ora ospiti per motivi diversi nella bellissima tenuta di Poggio alle Ghiande, in Maremma.
Destino vuole che ancora una volta le loro giornate siano scandite dalla scoperta di un delitto e dalle successive indagini volte a scoprirne il colpevole.
Arte, affari, soldi e passioni a Poggio alle Ghiande
La piacevolezza di questo romanzo di Marco Malvaldi sta nella sua leggerezza, nel suo scorrere pagina dopo pagina raccontando la vita, i caratteri, i sentimenti dei protagonisti senza allontanarsi mai troppo dal quotidiano.
Certamente, e per fortuna, non capita a tutti di essere coinvolti da un omicidio, ma se dovesse capitare potrebbe essere proprio così, senza astruse complicazioni e inutili ingranaggi volti esclusivamente a stupire.
Ce lo hanno insegnato i grandi giallisti dei due secoli scorsi: metti insieme una vittima, semina indizi che inducano il lettore a riflettere, incatena con una logica ferrea i fatti che porteranno alla scoperta del colpevole e il giallo è confezionato e perfettamente congegnato.
Su questa scia si pone l’autore, seguendo la pista dei grandi e inimitabili maestri del genere.
Si parta dal luogo, la tenuta di Poggio alle Ghiande, proprietà dei fratelli Alfredo e Zeno Cavalcanti, gemelli di nascita ma totalmente differenti tra di loro.
La tenuta è stata messa in vendita, dopo lunghe discussioni che hanno visto prevalere il pensiero di Alfredo, un broker perennemente spiantato e alla ricerca di nuova linfa vitale, a danno di Zeno, esperto d’arte ritiratosi da anni nella tenuta in contemplazione della sua ricca collezione.
Il probabile acquirente è un gruppo finanziario cinese, rappresentato dai suoi intermediari.
Le trattative sono agli sgoccioli, per questo sono presenti nella tenuta l’architetto Marco Giorgetti, perito immobiliare, e l’ingegner Giorgio De Finetti, agente immobiliare, che ha fiutato il più grosso affare della sua vita.
La tenuta è suddivisa al suo interno, date le dimensioni, in più appartamenti che vengono dati in affitto: il luogo è talmente bello, chiuso tra il mare e le colline, che alcuni affittuari vi tornano ogni anno e non possono che essere amareggiati da ciò che i cinesi intendono costruire dopo aver raso al suolo bosco e tenuta.
I sogni però non generano quasi mai ricchezza e Poggio alle Ghiande non fa eccezione: vendere appare inevitabile.
Piergiorgio e Margherita, invece, si trovano nella tenuta per motivi molto diversi: il primo per condurre una ricerca su come due gemelli omozigoti possano sviluppare differenze così marcate in ogni dove, come testimoniato con stupefacente continuità da Alfredo e Zeno; la seconda è invece stata incaricata da Zeno di condurre una accurata e completa opera di catalogazione sulla sua pregevole collezione.
I due avevano già dimostrato affinità elettive a Montesodi Marittimo e il rivedersi ha scatenato soprattutto in Piergiorgio un bruciante desiderio di concretizzare il suo sogno interrotto.
Una varia umanità vive dunque nella tenuta, un’umanità descritta da Marco Malvaldi con ironia tipicamente toscana, capace di alleggerire anche i momenti più drammatici.
Le due vere macchiette sono però Raimondo, agricoltore e custode della tenuta in cui lavora -assunto dal signor Zeno- in modo onesto e legale da quando è uscito dal manicomio, e Piotr, uomo delle pulizie, che vive a Poggio alle Ghiande da quando è arrivato in Italia, ringraziando la Santa Vergine di Czestochowa.
Tutti i presenti si troveranno a doversi confrontare quando la loro vita quotidiana verrà sconvolta da una serie imprevedibile di fatti: un omicidio, un incendio, la scoperta di reperti archeologici, la ricerca di un quadro di Ligabue e la caduta da un dirupo.
Il giallo all’inglese di Marco Malvaldi
Due morti, un solo probabile assassino.
Tutti i presenti, però, hanno in qualche modo un qualcosa da nascondere e ognuno di loro vede quanto accaduto in modo soggettivo, legandolo alla sua esperienza, facendo sì che le verità possibili siano molteplici.
Ognuno di loro ha una parte nel gioco degli incastri e la recita con maestria, in modo tale che realtà e finzione sembrano essersi scambiate i ruoli in questo microcosmo toscano.
Il bosco in parte bruciato ha restituito il corpo di un uomo carbonizzato, particolare che non insospettisce gli inquirenti data la situazione, ma che nasconde una verità più profonda, come tutto ciò che accade.
Le indagini portano a scoprire anche la presenza di un sito archeologico all’interno della tenuta stessa: possibile che i due fratelli, soprattutto Zeno, non ne sapessero niente? Che la sua presenza sia stata occultata volontariamente per invalidare la vendita?
Le supposizioni più ardite superano la verità stessa, perché le azioni degli uomini sono sempre più semplici, più banali di quanto si potrebbe pensare, ma proprio per questo spesso sfuggono all’esame dei fatti e si palesano più per intuizione che per ragionamento.
Secondo lo schema classico, Marco Malvaldi fa sì che tutti i possibili responsabili siano concentrati in un ambito ristretto, in cui possano essere messi a confronto e smascherati nelle loro debolezze – come non pensare ai dieci piccoli indiani di Agatha Christie?
E sempre continuando su questo percorso, si diverte (probabilmente) a seminare elementi che paiono indizi ma non lo sono, che confondono le forze dell’ordine e determinano in prima battuta l’arresto di un innocente.
Poggio alle Ghiande, dopo il secondo cadavere, ha perso l’allure dell’oasi di pace, turbando profondamente gli ospiti, ignari delle varie macchinazioni – ma risolto il caso, torneranno quasi tutti a farsi cullare dalla sua quiete.
L’individuazione del vero colpevole è legata al quadro del pittore Ligabue, che tutti dicono esistere ma che in realtà (quasi) nessuno ha mai visto: Raimondo è stato davvero nel medesimo manicomio in cui fu rinchiuso il pittore e se, come sosteneva, gli fu donato un disegno, dove può essere stato nascosto per tutti quegli anni?
I nascondigli che vengono alla luce nella tenuta sono più di uno, tra lo sconcerto dei presenti, ma sarà solo un’intuizione finale a dare la vera chiave di lettura, quella che permetterà di sciogliere tutti i nodi e arrestare il vero colpevole.
Bastava guardare meglio, avere occhi più attenti e mente pronta.
Infine, tutto è bene quel che finisce bene, anche e soprattutto per Piergiorgio e Margherita.
TITOLO : Negli occhi di chi guarda
EDITORE : Sellerio
PAGG. 250 EURO 14,00 (disponibile versione eBook euro 9,99)