Francesco Tagliabue non è nome nuovo nel panorama culturale italiano: ha lavorato ai Programmi Culturali della Rai, è stato creative producer di programmi tv seriali, ha realizzato reportage, docufilm, film polizieschi nonché lungometraggi. Una carriera di tutto rispetto, ricca di significativi successi.
Dopo “Le Cose Che Voi Umani”, un romanzo ispirato alla tragedia del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro del 2008, l’autore è tornato alla narrativa con “Settimo cielo”, un romanzo ispirato ad una vicenda realmente accaduta e a un grande sogno, di quelli che possono trasformare la vita di un uomo.
Il titolo stesso scelto da Francesco Tagliabue ci dice molto del suo racconto, ci parla della felicità infinita sebbene effimera che i protagonisti potrebbero provare se vedessero avverarsi il loro sogno, ma anche del contesto in cui ciò dovrebbe avvenire, un cielo a cui si dovrebbe guardare con il naso all’insù, stupiti come bambini di fronte ad una meraviglia.
Tempi e luoghi drammaticamente reali
E’ il gennaio 1943 quando Pietro Torriani, ventitrè anni e l’esperienza della campagna d’Africa alle spalle, sta tornando a casa, rimpatriato dopo essere stato ferito, portando con sé abiti leggeri come lo zaino sulle spalle, in cui sono racchiusi ricordi tremendi di una guerra combattuta tra le buche del deserto.
La campagna d’Africa non è ancora finita, mancano pochi mesi alla disfatta delle truppe italo-tedesche nel maggio 1943, ma l’esito è ormai chiaro a tutti, le battaglie di El Alamein simboleggiano per gli Alleati un punto di non ritorno, anche se molto sangue dovrà essere ancora versato.
Pietro torna a casa, a Sesto “vicino a Milano” come risponde a chi gli chiede dove stia andando, consapevole di essere un uomo fortunato: molti suoi coetanei sono morti in Africa, di molti altri si stanno perdendo per sempre le tracce nella gelida Russia, dove gli italo-tedeschi stanno subendo un’altra drammatica sconfitta.
Né Pietro né altri possono immaginare cosa succederà nel settembre di quello stesso anno, come cambieranno le alleanze, come essere stati sconfitti verrà vissuto come una vittoria, dolorosissima ma pur sempre una vittoria, quella degli italiani contro Mussolini e il fascismo.
L’Italia che Pietro ritrova tornando dai genitori e dal fratello Emilio è rappresentata dal microcosmo di Sesto: l’etica del lavoro è prevalente, non si sta a far nulla, anche se si portano addosso le ferite della guerra, si mangia quel poco che c’è, si vive in case provvisorie dopo i bombardamenti, ci si piega ad un faticoso spirito di sacrificio e intanto ci si rifiuta di essere solo un numero tra una moltitudine, si cerca di capire e di elaborare ideali che diventino il sale del pane raffermo che si mette in tavola.
La Breda, la grande fabbrica che insieme ad altre del polo industriale dà lavoro a migliaia di uomini e anche donne, è pronta ad accogliere Pietro, a integrarlo tra gli operai che entrano ed escono dai cancelli tra le gelide nebbie padane, sebbene lui non sia mai entrato prima in una fabbrica.
Grandi, immensi capannoni dove si lavora sperando nel futuro, illudendosi che la guerra non sia lontana dalla fine.
Ma la Breda è anche un ufficio dove lavora l’ingegner Ermes Candiani, deportato (come lui ama scherzosamente dire) a Sesto per progettare un sogno, il Breda Candiani 48, un quadrimotore monoplano per il trasporto civile transoceanico, una vera rivoluzione che dovrebbe portare l’orgoglio e l’ingegno italiano ovunque.
Francesco Tagliabue, il racconto di un sogno lungo tre anni
«La guerra è già perduta da tempo. Il mio aereo volerà in pace, in santa pace.»
Con queste parole Candiani impone una svolta al futuro del BC 48 e di tutta la Breda, degli operai, delle loro famiglie e delle loro vite: il progetto non dovrà cadere in mano né dei tedeschi né degli alleati, è e dovrà restare soltanto italiano, essere la realizzazione di un sogno e il simbolo del riscatto di un popolo troppo a lungo soffocato in una sterile obbedienza.
Alla Quinta, la sezione in cui si sta lavorando al quadrimotore costruendolo pezzo dopo pezzo, si sta dando vita al domani, non soltanto ad un aereo.
Francesco Tagliabue, con una prosa limpida e molto curata, attenta alle innumerevoli sfumature dell’animo umano in un momento storico in cui l’unico ordine era di metterlo a tacere, il proprio animo, segue la vita di Pietro sino al 1946, ai mesi in cui la guerra sarà davvero finita anche se ancora viva sulla pelle di che è sopravvissuto, bruciante per coloro che ne sono caduti vittime.
A Sesto sta nascendo l’opposizione ai nazifascisti, maggiormente significativa dopo la Repubblica di Salò, quando la fabbrica si sta facendo “rossa” nei grandi spazi dei capannoni e lo stesso Pietro matura un suo pensiero, meno radicale di quello dell’amico Sergio, ma volto comunque a un domani che dovrà essere molto differente dal presente.
Anche suo fratello Emilio, sedici anni di entusiasmo inconsapevole, non esita a seguire il pensiero più estremo, a farsene portavoce nonostante i rischi siano altissimi.
E quando Pietro viene spostato alla Quinta, con un ruolo di tramite con la dirigenza che fa fatica a concretizzare, la maestosità del BC 48 gli appare in tutta la sua evidenza, come il motivo per cui la sua costruzione vada sempre più a rilento, tra mille scuse e piccoli stratagemmi volti a non consegnarlo ai tedeschi.
Francesco Tagliabue racconta l’Italia che resiste, che combatte senza armi ma con la volontà e quel pizzico di astuzia che ancora può gestire, racconta di come i cambiamenti serpeggino non solo nei pensieri dei grandi intellettuali antifascisti di quegli anni, ma anche nelle menti semplici di chi trascorre la sua vita tra la casa, il lavoro, la sezione di partito o la parrocchia di un sacerdote disposto a pagare di persona i rischi della ribellione.
In un popolo che i tedeschi consideravano traditore e non esitavano e mettere al muro o passare attraverso un cappio legato ad un lampione, gli uomini semplici ma animati da grandi passioni possono far sentire la loro voce, trasformare il loro dolore in una rabbia che dia frutto e non altre inutili vittime.
Laddove l’animo sembra essersi per sempre inaridito può comparire invece l’amore, che per Pietro ha il nome di Virginia, grazie al quale il futuro può ancora apparire una speranza e non un vuoto incolmabile a causa della perdita di persone molto amate.
Tre anni occorrono perché il sogno del BC 48 si trasformi in realtà, abbia davvero la forma di una straordinaria macchina volante pronta ad attraversare il cielo di Milano.
In fondo non è così importante chi lo gestirà, ciò che conta è ciò che simboleggia, la certezza di un riscatto costruito con la fatica e col sangue versato da innocenti giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Cosa diventerà per gli operai della Breda e per Candiani è secondario: il gigante dei cieli è stato il sogno che li ha tenuti in vita nonostante tutto e contro ogni logica apparenza e, come dice Francesco Tagliabue, “un sogno è un buon posto per passarci la vita intera”.
TITOLO : Settimo cielo
EDITORE : A&B
EURO : 22,00