Haruki Murakami è oggi lo scrittore giapponese più letto al mondo, grazie al fatto che i suoi romanzi sono tradotti in circa cinquanta lingue.
Originario di Kyoto, figlio di un monaco buddista, studente ribelle ai tempi dell’università (siamo nell’immediato post ’68), lo scrittore ha mosso i suoi primi passi lavorativi in un ambiente assai diverso da quello culturale, un bar caffetteria aperto insieme a sua moglie, il Peter cat, dal nome di un suo amato gatto.
L’umanità conosciuta in questo contesto gli ha poi tracciato la strada successiva: chi sta dietro un bancone ha un punto di vista privilegiato, osserva e incamera informazioni sul mondo e sui suoi variegati abitanti.
E’ stato così che Haruki Murakami ha allestito un proprio personale archivio della memoria, da cui poi ha attinto senza sosta per i suoi romanzi a partire dal 1979 per arrivare, senza soluzione di continuità, sino ad oggi.
Questi ed altri importanti tasselli della sua vita trapelano dalle pagine del suo ultimo lavoro, “Il mestiere dello scrittore”, da poco disponibile in traduzione italiana, nel quale egli raccoglie una serie di conferenze mai tenute in pubblico.
Haruki Murakami si mette a nudo
Un’autobiografia fuori dai canoni comuni, un trattato sulla scrittura, un gioco di rimandi letterari e biografici, uno specchio dell’anima: tutto questo è racchiuso nelle pagine di Murakami.
Nell’incipit egli ci avverte: l’argomento romanzo è talmente complesso e sconfinato che egli preferisce parlare del romanziere, spostando l’attenzione dall’oggetto al soggetto.
Relazionarsi con la materia narrativa richiede un processo di distacco dalle cose, che vanno osservate dall’esterno e accumulate quasi compulsivamente nella propria memoria, la quale saprà poi da sè che tipo di cernita fare tra l’utile ed il superfluo.
Si ha l’impressione, sotto questo aspetto, che l’autore renda un implicito omaggio agli scrittori naturalisti di fine Ottocento, con lo stesso atteggiamento asettico nei confronti della società e il preciso scopo di rappresentare uomini e donne nella loro complessità, evitando di accantonare i personaggi che non piacciono a vantaggio dei preferiti.
Dei romanzieri e di se stesso ha una considerazione impietosa: non hanno un buon carattere né una lucida visione della vita, si considerano autorizzati a condurre uno stile di vita quantomeno eccentrico e sono convinti di essere sempre nel giusto, motivo per cui non apprezzano né stringono rapporti di sincera amicizia con chi pensa, ma soprattutto scrive, in modo diverso da loro.
Anche per lui, come per molti altri esordienti, la strada del successo fu tortuosa, percorsa con testardaggine dopo i primi successi, ”Ascolta la canzone nel vento” e “Il flipper”, che per trentacinque anni ha gelosamente custodito nella versione originale in giapponese, senza consentirne la traduzione in altre lingue (particolare curioso, i due romanzi furono clandestinamente tradotti in inglese e letti in Europa e negli Stati Uniti a insaputa di Murakami).
Oggi si disinteressa platealmente di quanto i critici scrivono su di lui, valutando l’adeguatezza di un suo romanzo dal suo personale livello di gradimento, non da quello della critica : in fondo, ci dice, sono tanti gli scrittori di alto livello ignorati dal Premio Nobel, per cui solo il tempo può garantire l’effettiva importanza di uno scrittore.
Tant’è, quando ci si chiama Haruki Murakami ci si può permettere anche questo.
Consigli d’uso da Haruki Murakami
“Il mestiere dello scrittore” non è soltanto una piacevole e insolita autobiografia, a tratti anche ironica ( il suo migliore editor? Sua moglie, l’unica di cui ascolta i consigli, mentre quelli degli addetti ai lavori vengono sistematicamente ignorati o contraddetti), perché l’autore concentra in queste pagine anche alcuni consigli per chi voglia cominciare o continuare a scrivere.
Partendo da una premessa universalmente valida, quella per cui tutti sentono la chiamata alla scrittura e si improvvisano romanzieri senza averne le capacità, Murakami individua nella lettura la base necessaria ed indispensabile per chi voglia iniziare a scrivere.
Fagocitare libri, belli o brutti, è il primo passo, da compiere armandosi di pazienza certosina sui tempi di ritorno: il successo si misura in decenni, non in semestri di visibilità.
Il mondo è l’incipit dell’arte dello scrivere, osservarlo e descriverlo deve essere un processo costante, mai accantonato, nemmeno quando la presunta ispirazione latita.
Occorre insistere, per potersi lentamente avviare verso un proprio stile personale, che possa permettere allo scrittore di diventare un unicum, distinto da tutti gli altri e dunque destinato a durare a lungo.
Haruki Murakami ha raggiunto tutti gli obiettivi mediante questo percorso, così semplice da descrivere quanto arduo da mettere in pratica, come ben ci dimostrano i dilettanti che ogni giorno raggiungono l’effimero successo editoriale.
La pazienza è certo una virtù propria non solo dei santi, ma anche dei romanzieri: l’aneddoto della riscrittura totale del suo romanzo “Dance Dance Dance” a seguito della presunta perdita del file originale (poi ritrovato) ne è un bell’esempio.
Il mestiere dello scrittore è uno dei più belli al mondo, se ti permette di garantirti il pane quotidiano, ma non è il risultato di una improvvisazione: occorre tempo per assodarlo ed affinarlo, un tempo che Murakami ha impiegato dedicandosi anche ad altre attività, che sono una sorta di filosofia di vita, la corsa e la musica, non necessariamente disgiunte.
Aprirsi e rivelarsi ai suoi innumerevoli lettori non è stato facile per un uomo schivo e riservato come lui, più propenso a chiudersi a riccio di fronte al mondo esterno e a non far trapelare nulla di sé.
Raccogliamo dunque con il dovuto rispetto le sue confidenze, il suo autoritratto, con una consapevolezza in più, l’amore per i suoi lettori di cui egli dice di non poter fare a meno.
TITOLO : Il mestiere dello scrittore
EDITORE : Einaudi
PAGG. 200, EURO 18,00